Omelie

Omelia Ordinazione Diaconale di Roberto di Lorenzo e Sanjay Dhanwar


XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (anno C)

Ab 1,2-3; 2, 2-4; Sal 94; 2 Tm 1,6-8.13-14; Lc 17, 5-10

Ordinazione Diaconale di

Roberto di Lorenzo e Sanjay Dhanwar

 

Sabato  1  Ottobre  2022

 

Lasciamoci sorprendere dalla Parola di Dio di questa Domenica, sorprendere che nel senso letterale significa: prendere da sopra, sollevare.

Gesù durante la sua salita verso Gerusalemme è interrogato, invocato o pregato, a volte contestato per il suo comportamento e le sue parole.

Egli si rivolge ai discepoli che lo seguono, a volte ad un gruppo di farisei e di scribi, a volte agli “apostoli” cioè quel piccolo gruppo di discepoli da Lui resi “i dodici” (Lc 6, 13; 9, 1) e mandati ad annunciare il Vangelo, che saranno i testimoni qualificati della sua Resurrezione.

Proprio gli apostoli, che hanno ascoltato le esigenze abbastanza “dure” poste da Gesù per la sua sequela, consapevoli della propria debolezza, chiedono a Gesù, designato come il Signore: “Accresci in noi la fede!”.

La domanda degli apostoli rischia di non essere compresa nella realtà e quindi occorre riflettere sulla “fiducia-adesione” richiesta per essere discepoli di Gesù. La fede, intesa come adesione, è presente laddove c’è una relazione personale con Lui. La fede non è credere in una dottrina o in una verità astratta o in formule, ma è un atto di fiducia, di abbandono, nel Signore.

“Si tratta di aderire al Signore, di legarsi a lui, di mettere fiducia in lui fino ad abbandonarsi a lui in un rapporto vitale, personalissimo. La fede è riconoscere che dalla parte dell’uomo c’è debolezza, quindi non è possibile avere fede-fiducia in se stessi. Proprio per questo, soprattutto sulla bocca di Gesù, è frequente l’uso del verbo “credere” (pisteúo) e del sostantivo “fede” (pístis) in modo assoluto, senza complementi o specificazioni:

Credi, non temere (Lc 8,50; Mc 5,36).

La tua fede ti ha salvato (Lc 7,50; 17,19; 18,42; Mc 5,34 e par.; 10,52).

Va’, e sia fatto secondo la tua fede (Mt 8,13).

Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri (Mt 15,28).

Credere senza complementi, avere fede senza specificazioni è per Gesù determinante nel rapporto con Dio e con lui stesso” (Enzo Bianchi).

Si tratta, quindi, di passare dalla incredulità alla fede. Questa conversione richiede l’invocazione a Dio e, come risposta, la Sua grazia che in realtà è sempre preveniente.

La prima risposta di Gesù alla domanda degli apostoli consiste nel far comprendere loro che basta avere fede quanto un granello di senape per sradicare un gelso e trapiantarlo nel mare. Gli apostoli sono consapevoli di avere una fede piccola, fragile, e vorrebbero averla più grande, ma Gesù fa comprendere loro che la fede, anche se piccola, se è reale adesione a Lui è sufficiente per nutrire la relazione con Lui e accogliere la Sua salvezza. Pertanto anche se la fede è sempre piccola basta avere in noi il seme di questa adesione all’amore di Dio che opera in Gesù Cristo.

In ultima analisi credere significa seguire Gesù!

“La fede è la fede: sempre, anche se piccola, è adesione a una relazione, è obbedienza (hypakoépísteos: Rm 1,5); sempre, anche se è debole, è accompagnata dall’amore, e l’amore sostiene la fede, supplisce alla mancanza di fede, rinnova la fede come adesione al Signore” (Enzo Bianchi”.

Gesù prosegue, poi, sempre rispondendo alla domanda degli apostoli con una parabola: “Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?”.

Gesù con realismo fa comprendere loro, proprio con la parabola, che nel rapporto tra padrone e schiavo non può accadere il ribaltamento dei loro ruoli, e se questo non può avvenire, gli apostoli inviati a lavorare nella vigna del Signore quando hanno terminato il loro lavoro devono essere consapevoli di essere servi inutili e che hanno fatto quanto dovevano fare.

Nella sequela di Gesù non si rivendica nulla, non si pretendono riconoscimenti, non si attendono premi perché anche il compito svolto non è né garanzia né merito.

Nella vita della Chiesa la gratuità del servizio dev’essere chiara e visibile.

Ciò che si fa per il Signore si fa gratuitamente e bene, per amore e nella libertà, non per conquistare un merito o per avere un premio.

La grande contraddizione che purtroppo oggi accade spesso nella vita ecclesiale è che i premi e i meriti vengono dati da se stessi e a se stessi e non si aspetta qualcosa da Dio, il Signore.

Servi inutili senza secondi fini e che non cercano il proprio utile.

È questo il codice spirituale che deve caratterizzare la vostra vita, carissimi Roberto e Sanjay, che questa sera ricevete l’ordine sacro del diaconato, tappa fondamentale e propedeutica, se Dio vorrà, al presbiterato.

Domandiamoci: che cosa ci possono dire due giovani uomini che oggi ci hanno chiamato qui per pronunciare davanti a tutti poche parole, ma di senso, otto in tutto: Un “Eccomi”, sei “Si, lo voglio”, un “Si lo prometto”?

“Eccomi” è la parola più bella e sublime che un uomo può dire a Dio. Significa: ci sono, sono presente, disponibile a farmi plasmare e usare da te se lo vuoi.

La vita diaconale che da questa sera iniziate vi invito a svilupparla nell’essere “l’ombra di Cristo”, lasciando a Lui il ruolo di persona principale della vostra vita ministeriale. Accettando di essere l’ombra del Signore fate in modo che il vostro ministero non lasci alcuna ombra. Chi vi osserva vi trovi limpidi, irreprensibili e credibili. Questa sera come Vescovo, a nome della chiesa, vi affido il libro del Vangelo di Gesù, che, nel contesto culturale di oggi abbastanza complesso, caratterizzato da una sorta di indifferenza nei confronti di Dio, chiede di essere ridetto in tutta la sua semplicità e testimoniato senza alcuna edulcorazione.

Il Vangelo è la vera forza dirompente della chiesa di Gesù. Diventate sillabe del Vangelo vissuto.

Mi piace dirvi con le parole dell’apostolo Paolo: “Voi siete una lettera di Cristo scritta non con l’inchiostro ma con lo spirito del Dio vivente” e inviata alle vostre diocesi, tu Roberto alla nostra chiesa locale, e tu Sanjay, per decisione del tuo Vescovo, alla diocesi di appartenenza in India.

Questa sera è anche il giorno delle promesse.

La promessa di vivere nel celibato non consiste nel rinunciare ad amare, anzi, consiste nell’amare con il cuore pieno e con le mani vuote.

Ricordatevi, imprimendole nel cuore, le parole del salmista: “Il Signore è buono, il suo amore è per sempre. Il suo amore è per sempre!”.

La promessa di obbedienza nelle mani del Vescovo consiste nel comprendere che nella chiesa la volontà di Dio passa attraverso le mediazioni umane che ci proteggono dal rischio di scambiare la volontà di Dio con le proiezioni del nostro desiderio. Ma vi invito a vivere l’obbedienza mai come atto formale e ipocrita ma come esperienza bella e positiva di rispondere alla volontà di Dio, frutto di un discernimento sapienziale condiviso.

Il gesto di prostrarvi a terra, come il veggente dell’Apocalisse che appena vide il figlio dell’uomo cadde ai suoi piedi come morto, sia per voi la consapevolezza della vostra fragilità, del vostro essere terra, e al tempo stesso la convinzione che Gesù, il Risorto, è il Vivente e che vi sosterrà per tutti i giorni della vostra vita. Riceverete stasera l’abito liturgico della dalmatica per le celebrazioni, ma Gesù vi dona l’abito liturgico più importante della vostra vita, il grembiule, con cui si è cinto i fianchi e ha lavato i piedi ai discepoli. Indossare la dalmatica senza assumere quotidianamente il grembiule sarebbe un tradimento della diaconia di Gesù.

Che la vostra giovinezza, quella del vostro cuore, sia un impeto missionario, trascinatore per voi e per quanti incontrerete sulla vostra strada. “È la febbre della gioventù che mantiene il resto del mondo alla temperatura normale. Quando la gioventù si raffredda, il resto del mondo batte i denti.”(George Bernanos)

Ringrazio le vostre due Comunità parrocchiali, San Nicola di Bari di Morano che accompagna te, caro Roberto, e la comunità di San Teodoro di Laino Castello che, con cura, ti ha sostenuto, caro Sanjay.

Ringrazio i parroci don Ciccio Di Chiara, il nostro Vicario Generale, e don Davide Bage e tutti coloro che hanno intercettato la vostra vita e che vi hanno confermato nella chiamata al presbiterato, alla quale avete risposto in età diverse.

Auguri, cari Roberto e Sanjay.

Auguri alla nostra chiesa diocesana, alle comunità parrocchiali, alla comunità del Seminario, che ringrazio nella persona del Rettore, degli educatori e dei padri spirituali, e alle vostre famiglie.

Maria di Nazareth, donna di servizio, serva del Signore, vi accompagni nel vostro diaconato facendo degli ultimi, degli scartati, la passione della vostra vita.

  Francesco Savino

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