Omelie

XXVI domenica del Tempo Ordinario – A


Ez 18,25-28; Sal 24; Fil 2,1-11; Mt 21,28-32

 

1  Ottobre  2023

 

Gesù, il Messia libero e vero, è attorniato dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo i quali lo detestano perché racconta il volto di un Dio molto estraneo alle loro categorie di pensiero e di vita.

Lo mettono, così, alla prova chiedendogli con quale autorità Egli insegna e opera guarigioni.

Gesù, rispondendo, domanda loro se il battesimo di Giovanni veniva dal cielo oppure dagli uomini, e di fronte al silenzio imbarazzato conclude: “Neppure io vi dico con quale autorità agisco” (Mt 21, 27).

A questo punto Egli pronuncia tre parabole che ascolteremo nelle tre Domeniche successive, rivolte a questi uomini induriti dalla loro presunzione.

La prima delle tre parabole che viene proclamata in questa Domenica, è quella dei due figli.

Un uomo ha due figli e chiede al primo di andare a lavorare nella vigna ed egli, dopo aver acconsentito a parole, non fa ciò che ha detto; l’altro risponde negativamente ma poi, pentitosi, va al lavoro. È il secondo ad aver compiuto la volontà del padre, ammettono gli interlocutori di Gesù, che vengono appunto interrogati. La domanda implica anche il nostro discernimento e giudizio, in quanto veniamo coinvolti dal racconto stesso del Vangelo. Gesù commenta: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

“Con queste parole Gesù pone la propria missione in stretta relazione con quella di Giovanni, suo maestro e precursore: rifiutare l’uno è rifiutare anche l’altro (cfr. Mt 11,16-19). Egli rivela inoltre che la salvezza può essere accolta solo da chi è disponibile a fare ritorno a Dio, pentendosi del male fatto e abbandonando le proprie vie di peccato. In questo senso vale la pena analizzare più in profondità il senso del detto paradossale: «I pubblicani e le prostitute vi precedono nel Regno» rivolto da Gesù agli uomini religiosi del suo tempo e, con loro, a ciascuno di noi” (Enzo Bianchi).

Gesù è consapevole che tutti gli uomini sono peccatori, ma perché la sua preferenza per la compagnia dei peccatori pubblici, riconosciuti tali dagli uomini?

Chi pecca di nascosto non è mai spronato alla conversione da un rimprovero che gli venga da altri, perché continua ad essere stimato per ciò che della sua persona appare all’esterno: questa è la malattia della maggior parte delle persone, tra le quali primeggiano quelle devote, che disprezzano gli altri considerandoli immersi nel peccato, mentre ringraziano Dio per la loro pretesa giustizia (cfr. Lc 18,9-14). Chi invece è un peccatore pubblico si trova costantemente esposto al biasimo altrui, e in tal modo è indotto a un desiderio di cambiamento: nel pentimento che nasce da un «cuore spezzato» (Sal 34,19) egli può divenire sensibile alla presenza di Dio, quel Dio che non vuole la morte del peccatore, ma piuttosto che si converta e viva (cfr. Ez 18,23). 

Gesù amava sedere a tavola con i peccatori pubblici, manifesti, e quindi condividere con loro questo gesto di comunione profonda, proprio in base a questa consapevolezza che lo abitava.

Il comportamento di Gesù rivela l’atteggiamento di Dio verso il peccatore, e per questo Egli è contestato dagli uomini religiosi, che prima cercano di scandalizzare i suoi discepoli: “Perché il vostro maestro mangia e beve con i pubblicani e i peccatori?” (Mt 9, 11), poi lo accusano in modo diretto: “Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (Mt 11, 19). È chiaro che Gesù non ci invita certo ad assumere lo stesso stile di vita di pubblicani e prostitute, in tutto riprovevole, il Vangelo ci testimonia che alcuni di questi, Zaccheo, la Maddalena, lo stesso pubblicano Matteo, se si mostrava nei loro confronti apertura e fiducia, stima e benevolenza, erano capaci di cose grandiose e di cambiare veramente, anche nelle opere, la loro esistenza.

Sì, il vero miracolo – più grande che resuscitare i morti, diceva Isacco il Siro – consiste nel riconoscersi peccatori: siamo noi i pubblicani, siamo noi le prostitute! È davvero una fatica vana quella fatta per nascondere agli altri il proprio peccato: basterebbe riconoscerlo consapevolmente, per scoprire che Dio è già là e ci chiede solo di accettare che egli lo ricopra con la sua inesauribile misericordia.

«Chiediamo la grazia che il nostro cuore non si indurisca, che sia aperto alla misericordia di Dio, e la grazia della fedeltà». E anche «quando ci troviamo noi a essere “infedeli”, la grazia di chiedere perdono» (Papa Francesco).

Chiediamo dunque al Signore la grazia di ricordare tutta la misericordia che continuamente ci è donata da Lui e dai fratelli e non tratteniamola!

In questa Domenica siamo invitati a pregare per la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi: “Per una chiesa sinodale. Comunione, partecipazione e missione” di cui il Santo Padre Francesco aprirà la prima sessione il 4 Ottobre p.v.

“Senza preghiera non ci sarà Sinodo!”.

Il Sinodo è innanzitutto un evento di preghiera e di ascolto che coinvolge ogni battezzato, ogni chiesa particolare.

Lo Spirito Santo, il Paraclito, con la preghiera di ascolto, adorazione, intercessione e ringraziamento, sostenga e accompagni l’Assemblea sinodale perché ne ascolti la voce e generi una chiesa sempre più missionaria, capace di incontrare gli uomini e le donne del nostro tempo facendoli innamorare di Gesù Cristo.

Buona Domenica.

 

   Francesco Savino