Omelie

XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (anno C)


Ab 1,2-3; 2, 2-4; Sal 94; 2 Tm 1,6-8.13-14; Lc 17, 5-10

2  Ottobre  2022

 

Lasciamoci sorprendere dalla Parola di Dio di questa Domenica, sorprendere che nel senso letterale significa: prendere da sopra, sollevare.

Gesù durante la sua salita verso Gerusalemme è interrogato, invocato o pregato, a volte contestato per il suo comportamento e le sue parole.

Egli si rivolge ai discepoli che lo seguono, a volte ad un gruppo di farisei e di scribi, a volte agli “apostoli” cioè quel piccolo gruppo di discepoli da Lui resi “i dodici” (Lc 6, 13; 9, 1) e mandati ad annunciare il Vangelo, che saranno i testimoni qualificati della sua Resurrezione.

Proprio gli apostoli, che hanno ascoltato le esigenze abbastanza “dure” poste da Gesù per la sua sequela, consapevoli della propria debolezza, chiedono a Gesù, designato come il Signore: “Accresci in noi la fede!”.

La domanda degli apostoli rischia di non essere compresa nella realtà e quindi occorre riflettere sulla “fiducia-adesione” richiesta per essere discepoli di Gesù. La fede, intesa come adesione, è presente laddove c’è una relazione personale con Lui. La fede non è credere in una dottrina o in una verità astratta o in formule, ma è un atto di fiducia, di abbandono, nel Signore.

“Si tratta di aderire al Signore, di legarsi a lui, di mettere fiducia in lui fino ad abbandonarsi a lui in un rapporto vitale, personalissimo. La fede è riconoscere che dalla parte dell’uomo c’è debolezza, quindi non è possibile avere fede-fiducia in se stessi. Proprio per questo, soprattutto sulla bocca di Gesù, è frequente l’uso del verbo “credere” (pisteúo) e del sostantivo “fede” (pístis) in modo assoluto, senza complementi o specificazioni:

Credi, non temere (Lc 8,50; Mc 5,36).

La tua fede ti ha salvato (Lc 7,50; 17,19; 18,42; Mc 5,34 e par.; 10,52).

Va’, e sia fatto secondo la tua fede (Mt 8,13).

Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri (Mt 15,28).

Credere senza complementi, avere fede senza specificazioni è per Gesù determinante nel rapporto con Dio e con lui stesso” (Enzo Bianchi).

Si tratta, quindi, di passare dalla incredulità alla fede. Questa conversione richiede l’invocazione a Dio e, come risposta, la Sua grazia che in realtà è sempre preveniente.

La prima risposta di Gesù alla domanda degli apostoli consiste nel far comprendere loro che basta avere fede quanto un granello di senape per sradicare un gelso e trapiantarlo nel mare. Gli apostoli sono consapevoli di avere una fede piccola, fragile, e vorrebbero averla più grande, ma Gesù fa comprendere loro che la fede, anche se piccola, se è reale adesione a Lui è sufficiente per nutrire la relazione con Lui e accogliere la Sua salvezza. Pertanto anche se la fede è sempre piccola basta avere in noi il seme di questa adesione all’amore di Dio che opera in Gesù Cristo.

In ultima analisi credere significa seguire Gesù!

“La fede è la fede: sempre, anche se piccola, è adesione a una relazione, è obbedienza (hypakoépísteos: Rm 1,5); sempre, anche se è debole, è accompagnata dall’amore, e l’amore sostiene la fede, supplisce alla mancanza di fede, rinnova la fede come adesione al Signore” (Enzo Bianchi”.

Gesù prosegue, poi, sempre rispondendo alla domanda degli apostoli con una parabola: “Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?”.

Gesù con realismo fa comprendere loro, proprio con la parabola, che nel rapporto tra padrone e schiavo non può accadere il ribaltamento dei loro ruoli, e se questo non può avvenire, gli apostoli inviati a lavorare nella vigna del Signore quando hanno terminato il loro lavoro devono essere consapevoli di essere servi inutili e che hanno fatto quanto dovevano fare.

Nella sequela di Gesù non si rivendica nulla, non si pretendono riconoscimenti, non si attendono premi perché anche il compito svolto non è né garanzia né merito.

Nella vita della Chiesa la gratuità del servizio dev’essere chiara e visibile.

Ciò che si fa per il Signore si fa gratuitamente e bene, per amore e nella libertà, non per conquistare un merito o per avere un premio.

La grande contraddizione che purtroppo oggi accade spesso nella vita ecclesiale è che i premi e i meriti vengono dati da se stessi e a se stessi e non si aspetta qualcosa da Dio, il Signore.

Servi inutili senza secondi fini e che non cercano il proprio utile.

Buona Domenica.

 

                                                                               Francesco Savino

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