Omelie

XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (anno C)


2 Mac 7, 1-2. 9-14; Sal 16; 2 Ts 2,16-3,5; Lc 20, 27-38

6  Novembre  2022

Al centro delle letture di questa Domenica troviamo la fede nella Resurrezione nei morti. Nella prima lettura la morte per il martirio di sette fratelli, in epoca maccabaica, attesta la fede in Dio capace di far risorgere i morti; nel Vangelo, invece, il caso, che è una finzione costruita ad arte, dei sette fratelli che sono morti senza lasciare figli dopo aver sposato in successione la stessa donna, viene strumentalizzato dai Sadducei per mettere in ridicolo la fede nella Resurrezione dai morti.

Sostiamo sul Vangelo che interroga anche l’uomo di oggi e i credenti.

I Sadducei “negano che vi sia Resurrezione” (Lc 20, 27) e, facendo ricorso alla legge del levirato, presente nella Torah (cfr. Dt 25, 5-10), che autorizzava un uomo a sposare la cognata rimasta vedova e senza figli, cercano di demolirne la convinzione, che anche Gesù e i suoi discepoli condividevano con gli altri figli di Israele, ridicolizzando la fede nella Resurrezione. Lo scopo della Torah è evidente: ai figli che nasceranno sarà dato il nome della famiglia del padre, così la discendenza sarà assicurata al fratello defunto. I Sadducei, in virtù di questa legge, dicono: di chi sarà moglie dopo la morte questa donna che è stata moglie di sette fratelli? Perché tutti e sette l’hanno avuto in moglie!

Occorre sapere che al tempo di Gesù si aveva una concezione abbastanza materiale del regno messianico e di tutte le realtà a esso connesse. Non possiamo non notare il cinismo dei Sadducei, cinismo presente purtroppo anche oggi in molti uomini religiosi, per i quali non esiste innanzitutto la sofferenza umana ma piuttosto la lettura e l’interpretazione della realtà attraverso una casistica morale. Non percepiscono il dolore umano insopportabile, ma a loro interessa soprattutto la “purezza della dottrina”, e per questo misurano tutto appellandosi alla legge. Gesù interpreta diversamente la realtà e l’idea della Resurrezione e risponde con autorevolezza dicendo che questo mondo passerà e che la novità del Regno di Dio non consisterà più nella necessità scritta nella vita biologica degli uomini e delle donne. “Per Gesù, tra questo mondo e il mondo che viene c’è un contrasto radicale, non perché questa terra e questo cielo debbano essere distrutti e tornare al nulla, ma nel senso che l’assetto e la necessitas inscritti in essi non saranno più presenti. Il mondo che viene è una realtà altra da quella che conosciamo: vi entreranno quanti, in base al giudizio universale da parte di Dio (cfr. Mt 25,31-46), saranno ritenuti degni, i “benedetti dal Padre” (Mt 25,34). Il giudizio provocherà una crisi e una cernita: quelli che sulla terra hanno vissuto secondo la volontà di Dio – la conoscessero o meno –, prenderanno parte al Regno. Su quelli che invece hanno contraddetto questa volontà che è l’amore, nient’altro che l’amore verso gli altri, ovvero sui “maledetti” (Mt 25,41), non c’è alcuna parola nel vangelo secondo Luca: su di loro un silenzio totale, come se non fossero degni di essere rialzati dal nulla della morte” (E. Bianchi).

La vita oltre la morte sarà una trasfigurazione radicale e cesserà ogni attività di prosecuzione della specie, ogni attività sessuale, perché non si morirà più. La realtà dopo la morte sarà comunione e armonia assoluta con Dio e con tutti gli altri esseri umani. L’annuncio della Resurrezione di fronte alla realtà della morte, il vero “caso serio” della vita, è la sostanza della fede cristiana. Come ha predicato l’Apostolo Paolo, se Cristo non è risorto dai morti vana è la fede cristiana, e se non c’è la Resurrezione dei morti neanche Cristo allora ha vinto la morte, pertanto Lui non è il vivente per sempre (cfr. 1Cor 15, 12-17).

L’apice della discussione con i Sadducei possiamo trovarla in una affermazione che Gesù fa nel brano parallelo di Marco e di Matteo: “voi vi ingannate, perché non conoscete le scritture né la potenza di Dio” (Mc 12, 24; Mt 22, 29). L’accusa di Gesù ai Sadducei è veramente dura e terribile perché competeva a quei sacerdoti il compito di dare al popolo una giusta conoscenza di Dio. Le parole conclusive di Gesù correggono l’ignoranza dei suoi interlocutori: “che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui”.

Gesù, ancora una volta, fa comprendere a coloro che cercano sempre e comunque di metterlo in difficoltà, la loro ignoranza che consiste nel non comprendere, in questo caso, le parole dette da Dio a Mosè. Questo Vangelo non è soltanto testimonianza e confessione della Resurrezione da parte di Gesù ma anche un Vangelo che pone a noi oggi delle domande di senso: crediamo veramente che la morte non è l’ultima parola ma soltanto la penultima perché il nostro destino, il fine ultimo per cui siamo nati, è la Resurrezione? Quali sono le motivazioni per cui ci diciamo cristiani e viviamo? Crediamo che l’amore di Dio è più forte della morte e va oltre la morte? Crediamo che la morte è un evento pasquale che dobbiamo vivere e attraversare per amare fino all’estremo, facendo della nostra morte un atto di consegna della vita a Dio che ce l’ha donata? Non è forse vero che la crisi della fede, che attraversa anche oggi noi Chiesa, è soprattutto la debolezza della fede nella Resurrezione, nella vita eterna?

Venne la luce a illuminazione di coloro che stanno seduti all’ombra dei sepolcri, e illuminazione voleva dire: riconoscere il dono della luce e mutare anche se stessi in luce che si dona. Ciò sarebbe stata la morte dell’istinto e la sua resurrezione nell’amore” (Hans Urs Von Balthasar).

Augurando a tutti una bella e buona Domenica, lasciamoci interrogare dalla Parola di Dio che ci invita a credere nella Resurrezione.

   Francesco Savino

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