11 Maggio 2025

Festa della mamma, pensiero di S.E. Mons. Francesco Savino

La forza umile che regge il mondo

 

A voi, madri, che amate lontano dalle parole squillanti,
che rammendate il respiro del mondo nei silenzi dell’alba,
che opponete tenerezza alla resa,
che fate spazio al futuro anche quando il presente sprofonda,
a voi che siete dimora amniotica, spazio sacro dove la fragilità si fa forza,
oggi affido la mia voce, il mio ascolto, la mia benedizione.

Essere madri in Calabria è, sempre più spesso, un atto di esile resistenza.

A pochi giorni da questa festa, i dati del rapporto “Le equilibriste – La maternità in Italia 2025”, ci parlano di una realtà che interpella la coscienza civile e la responsabilità collettiva, troppo spesso evasiva, rinunciataria, quasi atarassica nel suo distacco.

La nostra regione si colloca tra gli ultimi posti nella classifica delle aree “mother friendly” d’Italia. Qui essere generatrice di vita significa essere nel gorgo della solitudine più sprezzante, lasciate ai bordi di una periferia per negletti, rese invisibili da un sistema che fagocita, accidioso, che non cura.

Il divario occupazionale tra padri e madri con figli minori sfiora i 30 punti percentuali. In Calabria, meno di una madre sola tra i 25 e i 34 anni riesce a lavorare.

È un dato che non è solo statistica: è l’istantanea di un’ingiustizia sociale incancrenitasi da tempi or sono. E a questa si aggiunge una solitudine che si muta in ferita sistemica, crudele e taciuta.

Crescono le famiglie monogenitoriali – in gran parte madri sole – e decresce il numero delle nascite. Il futuro appare sempre più mortificato, sempre più antropocentricamente smarrito.

Ma proprio da questa fragilità può nascere una forza nuova: un passo inatteso, un guizzo che rompe la quiete del buio.

Perché ogni voce che nutre, ogni donna che continua a generare amore in condizioni così ostili, è seme di Vangelo. È profezia incarnata.

Ma non sia questa festa soltanto sdegno che grida: sia anche luce che annuncia.

Voglio che sia anche annuncio, voglio dire, con forza, che la maternità non si esaurisce nel parto biologico. È madre chi genera nella cura, nella responsabilità, nell’amore gratuito. È custode dell’origine chi sa farsi casa per l’altro, rifugio mite, dimora che non reclama, chi non smette di sperare per una creatura amata che non c’è più, per un figlio ferito, in cui il corpo fatica ma il cuore brilla di un mistero da custodire, per un figlio mai arrivato.

Lo scrive Kahlil Gibran:

“La madre è tutto. È la nostra consolazione nel dolore, la nostra speranza nella miseria e la nostra forza nella debolezza. È la fonte dell’amore, della misericordia, della simpatia e del perdono. Chi perde sua madre perde un’anima pura che lo benedice e lo protegge costantemente.”

Queste parole dicono con bellezza ciò che le madri vivono ogni giorno, al riparo dal clamore e senza retoricumi deposti sull’altare delle circostanze.

Sono madri le donne che educano, che proteggono, che vegliano vicino.

Sono madri le donne consacrate che si donano al servizio del Regno. Sono madri le nonne che salvano intere famiglie, le insegnanti che credono in ragazzi difficili, le operatrici che ogni giorno stanno accanto a chi nessuno vuole. Sono madri anche le donne che hanno perso un figlio, eppure continuano a generare vita attorno a sé.

Non è solo il corpo a generare: è l’attenzione operosa che dà alla luce, che accompagna, che cura.

Le vere madri sono quelle che credono nel futuro anche quando tutto lo smentisce. Quelle che si chinano sulle fragilità, che tessono relazioni anche nella notte, che educano al bene senza cercare applausi. Quelle che pregano in silenzio per i figli smarriti, che lottano contro il disincanto, che resistono all’antivangelo dell’utile.

La filosofa Luisa Muraro ci ricorda:

“Saper amare la madre fa ordine simbolico poiché dà o restituisce l’autentico senso dell’essere.”

La madre non è solo origine biologica, ma luogo simbolico del riconoscimento, prima esperienza viva della relazione, apertura alla differenza e alla vita.

E come non pensare, oggi, a Maria, madre del Figlio e madre dell’umanità. Lei che, senza capire, ha detto “sì”. Lei che ha accompagnato Gesù fino alla Croce, che ha custodito nel cuore ogni attesa, ogni gioia, ogni spina.

Maria è madre della speranza, madre delle madri. È la custode di tutte le donne che partoriscono nella carne o nello spirito.

E come Maria, anche la Chiesa è chiamata ad avere un cuore materno: non giudicante, non distante, ma capace di farsi prossima, capace di accogliere ogni storia, ogni ferita, ogni fatica.

A voi tutte, madri calabresi, madri della mia diocesi, dico con forza: non siete sole. La Chiesa vi riconosce, vi ascolta; e vogliamo camminare con voi, perché siete la carne viva della speranza, la prima parola di futuro.

E con le parole del filosofo Emmanuel Lévinas, voglio chiudere:

“Il volto dell’altro è un appello che ci chiama a prenderci cura della sua esistenza. Di fronte al volto dell’altro, l’io perde il suo potere, è disarmato.”

Ogni sorgente di cura conosce questo disarmo. Ogni maternità vera è responsabilità accolta, vita offerta, amore che precede ogni legge.

A voi e a tutte le donne che generano vita in ogni forma, rivolgo il mio grazie e la mia benedizione.
Alla Madre del Signore affido i vostri cuori.

 

✠ Francesco