martedì I settimana di Avvento

Funerali Chiara e Antonio

Oggi questa chiesa è un cenacolo di lacrime. Quel cenacolo che richiama al luogo dove Gesù, poche ora prima di salire sulla croce, ha accolto i suoi discepoli: uno spazio raccolto, intimo in cui si vive il passaggio decisivo. Vedete, questo cenacolo è un cuore che pulsa di attesa, di amore sospeso, di comunione profonda che diventa preghiera e silenzio. Ed oggi, come in quel luogo santo, siamo radunati intorno ad un mistero che ci unisce in una veglia collettiva, ci tiene stretti tra queste lacrime perché viviamo un tempo ed uno spazio che non è solo dolore ma che ci chiama a custodire un legame, un amore, quello tra Chiara e Antonio, che è un amore ormai sacro, intessuto nella nostra comunità.

Il silenzio che sentiamo dentro e fuori è come un grande Sabato Santo: il tempo della prova suprema, il tempo in cui tutto sembra perduto, la giornata sospesa tra una croce, che ci ha spaccato il cuore, ed una Pasqua che ancora non riusciamo a vedere. Ma, come vi dicevo, è anche un tempo di attesa, di un attendere che conosce ancora la luce della Resurrezione anche se ci sembra interminabile. E noi stiamo vivendo proprio il nostro Sabato Santo, sospesi tra quella croce e quella Pasqua che è una promessa di rinascita, di rivelazione. Questo è il tempo del lutto, di radicamento del mistero della vita oltre la morte in cui il dolore diventa partecipazione al dolore stesso di Cristo che muore e vive. In questo morire ed in questo vivere ci sono dei genitori che stringono fotografie mentre vorrebbero toccare, una volta ancora, le mani dei loro figli, un ultimo tocco ancora di quel calore che oggi è già memoria; ci sono amici che si guardano e non trovano le parole perché non ne esistono di opportune davanti ad un tale vuoto. La vita, a volte spezza senza preavviso e ci rendiamo conto che il nostro passaggio su questa terra è più fragile di quanto avremmo mai immaginato.

E ci ritroviamo qui, come quei discepoli al cenacolo, che aspettano, aspettano senza sapere. In questo non sapere, in questa attesa silenziosa c’è però una realtà più grande: l’amicizia, la comunione di chi soffre e la promessa di chi risorge. Chiara e Antonio, poco più che ventenni, erano un’epifania di futuro, un’alba promessa nel cielo della nostra comunità. Mi ha colpito una fotografia che ho visto in cui, la sera prima di morire, Chiara aveva scritto sulla sua torta di compleanno una frase leggera, ironica, da ragazza: “Come me nessuna”. Oggi quelle parole suonano come un piccolo versetto inciso nel marmo, una rivelazione involontaria. Perché davvero, davanti a Dio, “come lei nessuna”: unica nel suo modo di amare, di ridere, di studiare, di sognare; e “come lui nessuno”, Antonio, capace di portare nel mondo la dignità semplice del lavoro, della cura, della presenza. In quella frase, detta quasi per scherzo, si nasconde un’altra verità grande: ogni persona è un originale, mai una copia. Il Vangelo lo suggerisce quando Gesù ci parla dei capelli del nostro capo tutti contati, come a dire che nessuno è anonimo, nessuno è intercambiabile, nessuno è ripetibile. Ed oggi noi stiamo sussurrando: “Come Chiara nessuna, come Antonio nessuno”, e proprio per questo la ferita è così profonda. Guardando a Chiara e Antonio, viene spontaneo pensare alle nozze di Cana. Là c’era una festa di nozze, una giovane coppia, un amore che iniziava, amici, parenti, musica, un villaggio in festa. Mancava il vino, e Maria si accorge che la gioia sta per spegnersi. Allora Gesù interviene e trasforma l’acqua in vino buono, salvando la festa e restituendo futuro alla coppia.

Oggi ci sembra che la festa di Chiara e Antonio sia stata interrotta proprio sul più bello. Il loro banchetto di nozze era ancora nei sogni, nelle conversazioni serali forse, nelle promesse sussurrate. Eppure, nella fede, si può osare un pensiero audace: la loro Cana non è stata spezzata, ma spostata; il vino che qui non hanno fatto in tempo a gustare fino in fondo, ora lo bevono alla tavola del Regno, dove l’Agnello è Sposo e ogni lacrima viene asciugata. Anche il luogo del loro incidente, per noi oggi, ha un richiamo di Vangelo, quella strada buia e improvvisamente spezzata, somiglia tanto alla strada di Emmaus e noi siamo come quei due discepoli disillusi e confusi dalla morte che imploriamo “Resta con noi, perché si fa sera”. E noi oggi che camminiamo sulla strada del lutto, ci diciamo a vicenda: “Noi speravamo… noi sognavamo… noi pensavamo che avrebbero avuto una lunga vita insieme…” Ma il Vangelo racconta che proprio su quella strada di delusione arriva un Compagno misterioso, Gesù Risorto, che cammina accanto, ascolta, accoglie il dolore e lentamente fa ardere il cuore. Forse anche quella notte, su quella strada, quando tutto sembrava solo tragedia, Chiara e Antonio non erano soli: il Signore li ha presi per mano nel momento che noi chiamiamo fine e per Lui è solo una soglia. La vita di Chiara e Antonio non era fatta di gesti straordinari, ma di una quotidianità che, agli occhi di Dio, è già liturgia. Il lavoro di Antonio, con le giornate di fatica, è un pezzo di Vangelo concreto: è la continuazione delle mani di Gesù falegname, che ha santificato ogni mestiere e ogni cantiere. La routine di Chiara, il suo aiuto all’attività paterna, è un’altra liturgia: quella dell’amore offerto, del desiderio di servire meglio. È come il gesto di Maria di Betania, che versa il profumo prezioso ai piedi di Gesù: agli occhi del mondo sembra spreco, agli occhi di Dio è amore che si fa dono.

Anche per questo la morte di Chiara e Antonio è una croce che scandalizza. Il nostro cuore grida: “Perché loro? Perché adesso? Perché così?”. È lo stesso grido che sale dal Golgota quando il Figlio innocente viene trafitto ma quella croce, che sembrava la fine, è diventata l’albero della vita. Così anche oggi, questa croce assurda piantata nel cuore di una famiglia e di una comunità può diventare, misteriosamente, seme di vita nuova. Gesù dice: “Chi crede in me, anche se muore vivrà” e promette una casa con molte dimore, un luogo preparato, una comunione che non conosce più interruzioni. Io credo che Chiara e Antonio ora abitano quella casa; non sono ombre disperse nel nulla, sono persone vive, trasfigurate, immerse in una giovinezza che non invecchia, in un amore che non teme più le separazioni. Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Tuttavia, non come voglio io, ma come vuoi tu (Mt 26,39).

Cari genitori, caro Biagio, cara Emanuela, il vostro dolore non posso conoscerlo fino in fondo ma immagino sia come un Getsemani: un giardino dove si suda sangue, dove si vorrebbe che il calice passasse oltre, come lo voleva Gesù, nell’ora della passione, quando non per paura ma per amore ha accettato la croce. Non ci sono parole giuste davanti a voi, solo un silenzio che deve somigliare alla preghiera ed in cui solo una cosa può essere detta con timore e rispetto: voi non siete soli in questo pianto. Maria, l’Addolorata, prima di voi ed ora con voi, ha stretto tra le braccia il Figlio morto e ha continuato a credere.

Quando la vostra casa vi sembrerà troppo grande senza di loro, quando il silenzio delle stanze vi urlerà addosso, pensate a Maria ai piedi della croce: anche lei non capiva, ma teneva insieme dolore e fiducia. In quel momento, Dio non le ha tolto il Figlio; lo stava consegnando al mondo in una forma nuova. Permettetemi infine di rivolgere una preghiera a tutti questi giovani qui presenti con il cuore spaventato, oggi Chiara e Antonio vi consegnano un testimone prezioso, vi dicono: “non vivete da spettatori, non accontentatevi di versioni low-cost della felicità, siate responsabili, non sprecatela la vita”. E’ fragile, sì, ma proprio per questo è preziosa: ogni gesto di bene, ogni scelta coraggiosa, ogni ti voglio bene detto in tempo è già un pezzo di eternità. Fratelli e sorelle, non permettiamo che questa notte scivoli via senza lasciare un segno indelebile nei nostri cuori spezzati. Lasciamo che il dolore ci attraversi, che frantumi le nostre difese, perché solo così potrà aprirsi un varco per una consolazione più grande, quella che solo Dio può donare. Lasciamo che le lacrime cadano, sincere e amare, come pioggia che bagna una terra arida e distrutta, pronta a diventare fertile e a far germogliare una speranza che sembrava perduta. Che il ricordo di Chiara e Antonio tocchi il cuore di ciascuno di noi e diventi una domanda che ci colpisce come un pugno nello stomaco: “Cosa sto facendo del mio tempo, del mio amore, della mia vita, seppure così fragile?” A voi, genitori che ora sentite il cuore spaccato, so che non ci sono parole che possano colmare il vuoto che vedo nei vostri occhi, né pensieri che possano distrarre il dolore profondo di un figlio perduto. Vi porto nel cuore con una tenerezza che vuole accogliere ogni lacrima, ogni grido muto, ogni notte insonne. In questo momento, con la voce rotta e il respiro che si fa fatica, affidiamoli insieme a Colui che ha promesso: «Io sono la risurrezione e la vita» (Giovanni 11,25). Immaginate Chiara e Antonio, mano nella mano con il Signore, come forse quella notte si tennero tra loro, camminare verso una luce morbida e calda, verso una festa che non conosce fine, dove il tempo non esiste più e l’amore finalmente vince ogni distanza. E a tutti noi che restiamo qui, con il cuore che sanguina per l’assenza e il vuoto che pesa ogni giorno, il Signore conceda la forza di non arrenderci mai a un addio definitivo. Che possiamo credere, anche nel buio più fitto, che la morte non segna la fine, ma solo quella porta stretta, dolorosa, che si apre sull’abbraccio più grande e più pieno dove ogni lacrima sarà asciugata e ogni ferita trasformata in pace.

Non siete soli in questa notte, non lo sarete mai. Vi abbraccio con tutto l’amore di cui sono capace. Amen!

    Francesco Savino

Cassano all'Ionio
02/12/2025
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