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Auguri della Chiesa Diocesana a Sua Ecc.za Mons. Francesco Savino per il suo onomastico


La semplicità della liturgia di oggi – venerdì santo – ci spinge ad un raccoglimento profondo per contemplare il mistero della morte di Cristo.

L’originalità del Dio cristiano si dice nella sua forma più alta e completa nella figura del crocifisso che viene a rappresentare il culmine dell’estasi del Dio trinitario, come colui che si china sulle sofferenze dell’uomo.

Nella sua costante fioritura, l’albero della Croce porta sempre frutti rinnovati di salvezza. Per questo i credenti si rivolgono alla Croce con fiducia, traendo dal suo mistero d’amore il coraggio e la forza per camminare sulle tracce di Cristo crocifisso e risuscitato. Il messaggio della Croce è così entrato nel cuore di tanti uomini e di tante donne, trasformando la loro esistenza. Chi l’abbraccia insieme con Cristo, partecipa alla sua vittoria e riesce a vincere il male con il bene, l’odio con l’amore, la violenza con il perdono.

L’evoluzione della società ci porta ad occultare e a dimenticare la croce, eppure non esiste vita cristiana senza croce. Ne costituisce riprova l’esperienza mistica di san Francesco di Paola che sia in vita che “ora mortis” la Croce l’ha abbracciata nella pienezza della sua verità. Non a caso il giovedì Santo del 1507, dopo aver ascoltato la Messa, si fece distendere su una grossa croce e il venerdì, mentre si stava cantando la “Passione” dal Vangelo secondo Giovanni, spirò in coincidenza con le parole «Et inclinato capite, tradidit spiritum» (E, chinato il capo, rese lo spirito). 

Del grande santo di Calabria il nostro amatissimo vescovo Francesco ne porta il nome. I latini che per primi usarono “nomen omen” credevano che il nome segnasse il destino di una persona. Tale assunto, applicato all’identità della esistenzialità incarnata del nostro vescovo Francesco, non lo trovo affatto fuori luogo. Ed è proprio nella lettura, in chiave pastorale e sociale, dell’opera di san Francesco di Paola che recupero la cifra epistemologica che mi consente di interpretare la biografia di mons. Savino, come una nuova forma di metafisica della carità.

Non a caso, la prima peculiarità che ci ha colpiti è che in Lui la riverenza verso il divino si è subito polarizzata nell’amore verso il prossimo. È lì che punta ostinatamente l’ago della sua bussola, lì rivela una debolezza d’amore particolare. Ed ancora dal caleidoscopio delle differenti testimonianze fluisce il profilo naturale di un pastore che scintilla per la sua intelligenza insieme alla sua lealtà al sacerdozio e alla Chiesa. È un uomo umile nel servizio pastorale e allo stesso tempo fine e aggiornato nella ricerca intellettuale. L’esperienza di mons. Savino ci dice che il primato spirituale non distacca dal mondo, anzi, radica in maniera ancor più significativa nella storia e nella comunità! In una Chiesa “ospedale da campo”, insomma, c’è bisogno di vescovi samaritani attenti e misericordiosi, che scendono lungo le strade della vita, capaci di mostrare che il vero culto al Dio della Nuova Alleanza si traduce nell’esercizio della carità evangelica e non si esaurisce, quindi, nello spazio sacro. Se si rileggono con attenzione le omelie e gli scritti di mons. Savino dal 31 maggio del 2015 ad oggi, è facile rinvenire in esse una sorta di filo rosso che le attraversa tutte: l’insistenza sul bene comune come cifra di ogni agire pastorale. Infatti, testimoniano la tenacia con la quale egli insegue gli avvenimenti, lasciandosi interpellare dai problemi ecclesiali e civili emergenti, alla ricerca di mediazioni soddisfacenti, per soluzioni di equilibrio che non per questo richiedono la rinuncia ad affermazioni risolute di principio, mentre mostrano grande attenzione all’uomo, alle sue difficoltà e alle sue speranze. Capire la società – e una società oggi più di ieri complessa, contraddittoria, ambigua – è la condizione necessaria perché la Chiesa possa adempiere alla sua missione evangelizzatrice e per consentire alla fede di transitare – per dirla con Carmelo Dotolo – nella complessità dei nuovi areopaghi della postmodernità. Fede, ragione, intelligenza, capacità di sintesi, profondità di analisi, ampiezza di orizzonti, fanno di lui un protagonista della Chiesa calabrese. Animato da un’ansia squisitamente pastorale, sa mediare genialmente fra l’oggettivismo del pensiero tradizionale e il soggettivismo moderno, sforzandosi di dare un solido fondamento alla soluzione dei concreti problemi e insieme di interpretare i valori alla luce della concretezza esistenziale. La ripresa del coinvolgimento esistenziale sembrerebbe – secondo Savino – necessario per schivare uno sbilanciamento intellettualistico della fede e concepire la testimonianza come la forma minima della trasmissione della fede. Se nell’ultimo quinquennio il tessuto sociale e morale della Calabria si è rafforzato di fronte alle complesse sfide della modernità, lo si deve anche alla capacità del suo servizio episcopale che ha saputo esaltare la componente persona nel rapporto e nel dialogo con la città e, in una terra di frontiera come la nostra, ne ha messo in evidenza le “luci”, le tante virtù e potenzialità di bene che la onorano, e sistematicamente ne denunzia con vigore le “ombre” e i mali morali e sociali che la umiliano, soprattutto quello più oscuro e pervasivo: la mafia.

Mentre, come UCS a nome di tutta la nostra chiesa diocesana, Le formuliamo gli auguri più veri di buon onomastico, rinnoviamo i nostri sentimenti di affetto e ammirazione, invocando il Signore – crocefisso e risorto –  per intercessione di San Francesco di Paola – perché non Le faccia mai mancare protezione, sostegno e consolazione per sperimentare sempre più la bellezza di essere sempre e comunque servo per amore.

Auguri