Nm 11,25-29; Sal 18; Gc 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48
26 Settembre 2021
Il Vangelo di questa Domenica, XXVI del Tempo Ordinario, riporta una serie di parole di Gesù pronunciate in contesti diversi ed eterogenei per indicare la qualità dell’essere discepoli nella dimensione comunitaria.
Mentre va verso Gerusalemme insieme ai suoi, Gesù annuncia la sua passione ma essi non capiscono, anzi si ribellano come Pietro.
Un tale aveva chiesto ai discepoli di guarire suo figlio epilettico, ritenuto posseduto da uno spirito impuro, ma essi non erano riusciti per cui l’avevano portato da Gesù che lo aveva liberato dalla malattia. I dodici si mettono, poi, a discutere su chi sia più grande tra loro.
Tutto il viaggio verso Gerusalemme, nel Vangelo di Marco, è contraddistinto da tensione e incomprensione tra Gesù e i suoi. Ancora un episodio attesta la distanza tra Gesù e i discepoli: Giovanni, il fratello di Giacomo, uno dei primi quattro chiamati, uno dei discepoli più intimi di Gesù, testimone della sua trasfigurazione, dice a Gesù: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Egli mostra uno zelo che rivela la gelosia nei confronti di Gesù e, al tempo stesso, la pretesa che solo i Dodici siano autorizzati a compiere gesti di liberazione nel nome di Gesù. Viene espressa, dunque, la volontà di controllare il bene che accade, affinchè sia attribuito alla istituzione di appartenenza. Sono così ritratte le nostre patologie ecclesiali che a volte emergono fino ad avvelenare il clima nella chiesa, fino a creare al suo interno divisioni e opposizioni, fino a fare della chiesa una cittadella che si erge contro il mondo, contro gli altri uomini e donne ritenuti tutti nello spazio della tenebra.
Dobbiamo confessarlo con franchezza: negli ultimi decenni il clima della chiesa è stato avvelenato in questo modo e tale malattia, nonostante i continui ammonimenti di papa Francesco, non è ancora stata riconosciuta, né tanto meno vinta. Vi sono cristiani che, con certezze granitiche, giudicano gli altri fuori della tradizione o della chiesa cattolica e aspettano di poter ascoltare da parte dell’autorità ecclesiastica condanne verso quanti non somigliano a loro o non fanno parte del loro gruppo (cfr. Enzo Bianchi).
Dobbiamo vigilare affinchè non pensiamo di essere una chiesa perfetta, autosufficiente e autoreferenziale. Gesù non ha mai escluso nessuno, né ha mai obbligato qualcuno a seguirlo. Nessuna propaganda! Nessun proselitismo! Gesù supera ogni frontiera e ogni confine e sa che il bene si può operare in tante forme grazie alla libertà e alla creatività dello Spirito Santo che “soffia dove vuole” (Gv 3, 8). Spesso noi appartenenti alla chiesa soffriamo della malattia dell’“esclusivismo” e non riconosciamo a chi non fa parte della comunità dei credenti la capacità di compiere il bene. Siamo chiamati a rifuggire ogni settarismo e a camminare insieme agli altri.
La domanda seria che dobbiamo porci non è: “chi è contro di me, contro di noi?”, ma “sono io, siamo noi, di Cristo?”. Dobbiamo imparare ad avere i pensieri e i modi di Cristo!
Per quanto concerne le sentenze di Gesù riguardanti lo scandalo, siamo chiamati a vigilare sul nostro comportamento, sugli organi di comunicazione di cui siamo dotati, le mani, i piedi, gli occhi, che ci consentono il fare, l’andare e il vedere ma che possono essere ostacoli sulla via del Regno. Tagliare un membro del corpo o cavare un occhio sono indicazioni di una lotta molto determinata nella logica del perdere la propria vita (bíos) per guadagnare la vita autentica ed eterna (zoé), quella di Cristo nel Regno. E non si compia una facile attualizzazione delle parole di Gesù, restringendole allo scandalizzare i bambini, ma si tenga conto che i mikroí, i piccoli individuati da Gesù, sono tutti quelli che, rispetto al discepolo, sono meno muniti, più esposti e deboli.
Gesù ci pone davanti a due esiti contrapposti: la vita eterna con Cristo Risorto nel Regno di Dio, oppure la Gheènna che è una valle vicino a Gerusalemme utilizzata come discarica di rifiuti, in altri termini la morte, la tenebra, il caos. La Gheènna come separazione dall’amore, dalla vita.
Gesù ricorre all’immagine della Gheènna non per condannare ma soltanto per esortare e ammonire.
Significativa è anche l’esortazione di Gesù quando afferma che chiunque darà un bicchiere di acqua nel suo nome perché si appartenga a Lui, non “perderà la sua ricompensa”.
Buona Domenica.
✠ Francesco Savino