30 Novembre 2025
Inizia un nuovo Anno Liturgico con la Prima Domenica di Avvento, tempo della memoria, tempo dell’invocazione, tempo che colloca la nostra esistenza tra il “già” della prima venuta del Signore nella debolezza della carne umana e il “non ancora”, l’ultima venuta del Signore nella gloria, la parusia.
Sarà il Vangelo di Matteo che Domenica dopo Domenica, giorno dopo giorno, ci accompagnerà, nutrirà il nostro “cuore pensante”.
Nel brano del Vangelo di oggi ascoltiamo le parole di Gesù dette non alle folle ma in disparte, solo ai discepoli, al “piccolo gregge”, nelle ore che precedono la sua fine, attraverso l’arresto, la condanna e la morte.
“Sul monte degli Ulivi, a est di Gerusalemme, dove si contempla la città santa e il tempio nel suo splendore, Gesù avverte: “Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo conosce, è un termine fissato alla storia che solo Dio conosce” (cfr. Mt 24,36). Per questa ignoranza da parte degli umani, quando ci sarà la parousía, la venuta del Figlio dell’uomo, regneranno l’indifferenza, la distrazione, il non sapere. Gesù dice queste parole con tristezza, ma sa che per l’umanità è sempre come ai tempi di Noè, quando venne la grande inondazione e colse l’umanità impreparata” (Enzo Bianchi).
Nel libro della Genesi (cfr. Gen 6,5-9,17), il diluvio universale è presentato come castigo di Dio su un’umanità da lui creata ma diventata malvagia, violenta. Decodificando quel testo, possiamo comprendere che, allora come oggi, a volte sembra prevalere su tutto la violenza, l’immoralità, la perdita della dignità umana e della fraternità. In questo caso emerge con evidenza che le scelte di uomini e donne sono mortifere, che il comportamento umano sfigura la terra in un modo devastante, ben rappresentato dalle acque del diluvio o dal deserto che avanza. E di fronte a eventi che fanno prendere coscienza della nostra responsabilità, si manifesta come gli umani siano stati fino all’ultimo distratti, incapaci di capire ciò che stavano preparando con il loro comportamento.
Sostiene opportunamente padre Ermes Ronchi: “Al tempo di Noè gli uomini mangiavano e bevevano… e non si accorsero di nulla. Non si accorsero che quel mondo era finito. I giorni di Noè sono i giorni della superficialità: «il vizio supremo della nostra epoca» (R.Panikkar). L’Avvento che inizia è invece un tempo per accorgerci. Per vivere con attenzione, rendendo profondo ogni momento”.
Il modo in cui viviamo l’Avvento è il segno della perdita della dimensione escatologica, che è uno dei tratti distintivi del cristianesimo moderno e contemporaneo in occidente. Viviamo l’amnesia della parusia! Il grande teologo J.B.Metz in una preziosa meditazione sull’Avvento pone veramente una domanda di senso: “Domandiamoci una volta in questi giorni di Avvento e di Natale: non agiamo forse, segretamente, come se Dio fosse restato tutto alle nostre spalle, come se noi – frutti tardivi di questo ventesimo secolo post Christum natum – potessimo trovare Dio solamente in un facile e malinconico sguardo del nostro cuore, una debole luce riflessa alla grotta di Betlemme, al bambino che ci è stato dato? Abbiamo noi qualche cosa di più della visione di questo bambino negli occhi, quando nelle nostre preghiere e nei nostri canti proclamiamo: è l’Avvento di Dio? Pendiamo qualche cosa di più del Dio dei nostri ricordi e dei nostri sogni? Cerchiamo realmente Dio anche nel nostro futuro? Siamo uomini dell’Avvento, che hanno nel cuore l’urgenza della venuta di Cristo, e con gli occhi che spiano, cercando negli orizzonti della propria vita il suo volto albeggiante?”.
Dobbiamo ammetterlo: il nostro modo di vivere l’Avvento è patologico, eppure è il tempo dell’Anno Liturgico più eloquente per i credenti di ogni tempo. È un tempo di grande speranza! Un tempo nel quale siamo chiamati a “svegliarci”, a preparare la nostra vita.
“Se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa”: Mi ha sempre inquietato l’immagine del Signore descritto come un ladro di notte. Cerco di capire meglio: perché so che Dio non è ladro di vita. Solo pensarlo mi sembra una bestemmia. Dio viene, ma non è la morte il suo momento. Verrà, già viene, nell’ora che non immagini, cioè adesso, e ti sorprende là dove non lo aspetti, nell’abbraccio di un amico, in un bimbo che nasce, in una illuminazione improvvisa, in un brivido di gioia che ti coglie e non sai perché. È un ladro ben strano: è incremento d’umano, accrescimento di umanità, intensificazione di vita, Natale (Ermes Ronchi).
“Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà” …..
“Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate viene il Figlio dell’Uomo”: siamo chiamati a vivere la vita come responsabilità, per non mancare l’incontro, per non sbagliare l’appuntamento con un Dio che viene come dono, come Incarnazione, “tenerezza di Dio caduta sulla terra come un bacio” (Benedetto Calati).
L’Avvento, al di là del tempo liturgico coincide con il tempo della vita: allora è un tempo da non sprecare, da non sciupare, da non lasiare alla banalità del male e al male della banalità.
“La legge comanda, la fede domanda, domanda le stesse cose la fede, domanda di non vivere in ubriachezze e gozzoviglie, domanda di non vivere in impurità e licenze, domanda di non vivere in contese e gelosie, quello che la legge, quello che l’apostolo, quello che Gesù nel Vangelo comanda, la fede domanda, domanda Lui perché “senza di me non potete far niente” ( Giacomo Tantardini)
A tutti un buon Anno Liturgico, generativo di una fede più vera e autentica, buon tempo di Avvento, all’insegna della domanda, della responsabilità, dell’attenzione, della cura di sé stessi e degli altri.
Buona Domenica.
✠ Francesco Savino
