Intervento di Mons. Francesco Savino: I cattolici e la politica vista da Papa Leone XIV

Carissimi,

desidero anzitutto ringraziare il Serra Club di Reggio Calabria per questo invito e per la scelta del tema con cui si apre il nuovo anno sociale: “I cattolici e la politica vista da Papa Leone XIV”.

Non è uno slogan tra i tanti. È una domanda scomoda e bellissima: come guardare oggi alla politica con gli occhi del Vangelo, lasciandoci provocare dal magistero del nuovo Papa?

Non viviamo in un laboratorio sterile, ma in una società fluida e confusa, segnata da una profonda crisi di etica e di senso, come ricorda Papa Leone. In questo contesto il Santo Padre chiede ai cattolici impegnati nel sociale e nelle istituzioni di non pensare la politica come una semplice professione, ma come una missione di verità e di servizio: un modo concreto di cercare il bene delle persone e della comunità.

Vorrei articolare la mia riflessione in tre passaggi:

  1. Le radici: da Leone XIII a Tommaso Moro, passando per Sturzo e De Gasperi.

  2. La politica come missione, non come mestiere.

  3. Alcune piste per un impegno cristiano oggi, tra bene comune, libertà e intelligenza artificiale.

1. Le radici: Leone XIII, Tommaso Moro, Sturzo, De Gasperi

Papa Leone XIV ha spiegato di aver scelto il suo nome guardando in modo particolare a Leone XIII, il Papa che nel 1891, con la Rerum novarum, ha aperto la grande stagione della Dottrina sociale della Chiesa.

In un tempo segnato dalla “questione operaia” e dalla prima rivoluzione industriale, Leone XIII ha posto le basi per leggere i problemi sociali nella loro interezza: lavoro, salario, famiglia, conflitto, ruolo dello Stato e dei corpi intermedi. Oggi Leone XIV ci dice, in fondo, che siamo davanti a una nuova rerum novarum: la rivoluzione digitale e l’intelligenza artificiale, le disuguaglianze globali, la fragilità delle democrazie, la crisi antropologica.

Non possiamo affrontare questi temi con strumenti vecchi o con una fede relegata alla sacrestia. Abbiamo bisogno di una nuova generazione di cattolici capaci di pensare e di agire dentro la storia, non ai margini.

Accanto a Leone XIII, il Papa indica alcune figure-chiave:

  • San Tommaso Moro, “martire della libertà e del primato della coscienza”, che visse la politica non come mestiere, ma come missione per la crescita della verità e del bene. La sua vita ci ricorda che la coscienza non è un optional privato, ma il luogo in cui si decide la fedeltà a Dio e all’uomo, anche a costo della vita.

 

  • Don Luigi Sturzo, che dopo la fine del non expedit ha chiamato i cattolici a “uscire dalle sacrestie” costituendo il Partito Popolare Italiano, per portare nel dibattito pubblico i principi della Dottrina sociale.

Alcide De Gasperi, servitore dello Stato e della democrazia nel tempo drammatico del dopoguerra, che ha saputo coniugare fede cristiana, senso delle istituzioni e ricostruzione civile, economica e morale del Paese.

Sono uomini diversi tra loro, ma uniti da un tratto comune: hanno preso sul serio la Rerum novarum e hanno fatto dei cattolici protagonisti della vita politica, senza rinunciare né alla fede né alla ragione, né al Vangelo né alla Costituzione.

In questa prospettiva, Leone XIV si colloca con naturalezza dentro quella linea di papi che hanno avuto una spiccata sensibilità sociale: da Leone XIII a Pio XI, da Giovanni XXIII a Paolo VI, fino a Giovanni Paolo II e a Francesco. È come se dicesse: la Dottrina sociale non è un capitolo chiuso, ma una storia che continua, e oggi continua nell’urgenza di leggere la nuova “questione sociale” della rivoluzione digitale e delle disuguaglianze globali.

2. La politica come missione, non come mestiere

In uno dei suoi interventi più significativi, rivolto a settecento parlamentari di 68 Paesi, Papa Leone XIV ha ricordato che la politica è chiamata a “tutelare il bene della comunità”, a promuovere la libertà religiosa e a fronteggiare le sfide dell’intelligenza artificiale, soprattutto per il futuro dei giovani.

Riprendendo Pio XI, il Papa definisce l’azione politica come “la forma più alta della carità” e, insieme alla Fratelli tutti, la presenta come un’opera di amore reale, non teorico: un modo in cui l’agire di Dio in favore dell’uomo prende carne nelle istituzioni, nelle leggi, nelle scelte di bilancio.

Da qui deriva un punto decisivo, su cui Leone XIV è molto chiaro: non è possibile “sdoppiare” la persona. Non esiste, da una parte, il politico e, dall’altra, il cristiano.

Per usare le sue parole:

«Non c’è separazione nella personalità di un personaggio pubblico: non c’è da una parte l’uomo politico e dall’altra il cristiano. Ma c’è l’uomo politico che, sotto lo sguardo di Dio e della sua coscienza, vive cristianamente i propri impegni e le proprie responsabilità».

Se la fede viene lasciata fuori dalla porta quando si entra in aula consiliare o in Parlamento, si svuota di senso anche la pratica religiosa.

In questa prospettiva la carità diventa carità sociale e politica: ci spinge ad amare il bene comune, a cercare concretamente il bene di tutte le persone, a cominciare dai più deboli. Non è una carità “al ribasso”, fatta solo di elemosina o di gesti individuali, ma una carità che si traduce in politiche abitative, fiscali, sanitarie, educative, che promuovono giustizia e dignità.

Per orientarsi in questo compito, il Papa richiama anche una grande tradizione del pensiero cristiano:

  • la legge naturale, quella “diritta ragione” di cui parlava Cicerone, non scritta da mani d’uomo ma valida per tutti e in ogni tempo. In altre parole, la legge naturale è quella soglia sotto la quale nessuna legge positiva può scendere senza diventare ingiusta: è il promemoria continuo che non tutto ciò che è tecnicamente possibile o giuridicamente approvato è, per questo, anche moralmente buono.

  • e, in continuità, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, in cui questa legge trova una formulazione moderna e condivisibile, rimettendo la persona al centro e difendendo la coscienza come luogo inviolabile.

Qui la Dottrina sociale non è nostalgica né ideologica: è profezia realista. Ricorda che non può esserci vera politica cristiana senza rispetto per la dignità di ogni persona, senza ascolto del grido dei poveri, senza difesa della coscienza e della libertà religiosa.

3. Tre piste per un impegno cristiano oggi

A partire da queste premesse, mi permetto di indicare tre cantieri nei quali i cattolici, anche in Calabria, sono chiamati a misurarsi con coraggio.

a) Bene comune e poveri come criterio di giudizio

Leone XIV denuncia l’“inaccettabile sproporzione” tra la ricchezza di pochi e la povertà dilagante. Ricorda che molti vivono in condizioni estreme, gridano, ma non trovano orecchie che li ascoltano; e che questo squilibrio genera ingiustizia, violenza, guerre.

Per noi significa una cosa molto semplice e molto esigente: un progetto politico è evangelicamente credibile solo se cambia la vita degli ultimi. Non solo dei già forti, non solo dei già garantiti.

Per un cattolico impegnato in politica questo comporta:

assumere come criterio ordinatore la tutela delle famiglie in condizione di vulnerabilità socio-economica, dei giovani disoccupati o «né-né» e dei minori privati di reali opportunità educative e di socializzazione;valutare ogni scelta di politica economica in termini di impatto redistributivo, di riduzione delle disuguaglianze e di ampliamento effettivo dei diritti sociali per i gruppi più esposti;considerare il contrasto alle mafie e ai circuiti corruttivi come dimensione strutturale delle politiche per il bene comune e la qualità istituzionale dei territori, non come capitolo separato o risposta emergenziale.

Una buona azione politica, ci ricorda il Papa, promuovendo una più equa distribuzione delle risorse, diventa servizio concreto all’armonia sociale e alla pace, anche internazionale.

b) Libertà religiosa, dialogo e diritto naturale

Il secondo cantiere riguarda la libertà religiosa e il dialogo tra le fedi. A prima vista potrebbe sembrare un tema lontano dalle urgenze economiche e sociali; in realtà, Leone XIV mostra che è un nodo politicamente decisivo.

Garantire la libertà religiosa, innanzitutto, significa riconoscere a ogni cittadino il diritto di credere in Dio e di professare la propria fede senza costrizioni. Ma non è solo un problema di diritti individuali.

La libertà religiosa, infatti, genera effetti positivi anche per la comunità: il credente, qualunque sia la sua tradizione, si esercita nella costruzione di rapporti solidali, condivide valori di giustizia, di misericordia, di responsabilità. È per questo che il Papa richiama Sant’Agostino: il passaggio dall’amor sui chiuso e distruttivo all’amor Dei che apre al dono di sé, costruisce quella civitas Dei in cui la legge fondamentale è la carità.

La libertà religiosa è allora un’occasione politica per costruire uno Stato basato sull’amore per gli altri, quell’amore che le religioni predicano. Favorisce il dialogo interreligioso all’interno dei singoli Paesi e la collaborazione tra popoli diversi, contribuendo alla costruzione di una pace mondiale più solida.

Proprio da questo dialogo nasce la ricerca di ciò che accomuna: il diritto naturale, quella legge non scritta da mani d’uomo, ma riconosciuta come valida universalmente e in ogni tempo, che trova nella stessa natura umana la sua forma più plausibile. È una bussola che orienta il legiferare, soprattutto sulle questioni etiche più delicate, che oggi toccano la sfera dell’intimità personale.

In continuità con Leone XIII e Giovanni Paolo II, Leone XIV lascia intendere che la legge dell’uomo è giusta quando rispetta questa legge più profonda, che non è proprietà di una confessione religiosa, ma patrimonio di tutta l’umanità.

Per i politici credenti questo significa assumere la libertà religiosa non come concessione di favore, ma come fondamento di una convivenza aperta al trascendente, capace di riconoscere principi universalmente validi e, proprio per questo, condivisibili.

c) L’intelligenza artificiale e il protagonismo dell’uomo

La terza considerazione del Papa riguarda la “grande sfida dell’intelligenza artificiale”. Leone XIV vede lucidamente come questa nuova tecnologia possa diventare un aiuto straordinario per la società, ma solo a una condizione: che non intacchi l’identità e la dignità della persona, né le sue libertà fondamentali.

L’IA, dice il Papa, deve restare uno strumento al servizio dell’essere umano, non il contrario. In questa breve formula è racchiusa la sua preoccupazione: il rischio che lo strumento prenda il sopravvento su chi l’ha creato, che l’algoritmo si trasformi in padrone, schiacciando la libertà e la responsabilità delle persone.

Il Papa non demonizza la tecnologia, ma teme un rovesciamento antropologico: che ci si abitui a delegare decisioni fondamentali a sistemi automatizzati, a misurare il valore delle persone in base ai dati, a ridurre le relazioni a semplici scambi di informazioni.

Per questo affida alla politica un compito decisivo: garantire all’essere umano quel protagonismo naturale che gli spetta.

Nessuna macchina, per quanto sofisticata, potrà mai sostituire la memoria viva, creativa, generativa di una persona; nessun algoritmo può decidere al posto della coscienza.

Da qui discendono alcune responsabilità concrete per i cattolici impegnati in politica e nelle istituzioni:

  • promuovere una regolazione etica dell’IA che tuteli i lavoratori, i più fragili, le nuove generazioni;

  • impedire che il divario tecnologico diventi il nuovo nome della povertà, creando un’umanità di “connessi” e una di “scartati digitali”;

  • collegare la questione digitale con quella sociale, educativa e lavorativa, affinché il progresso tecnologico non produca nuove forme di sfruttamento e di esclusione.

La vita personale vale più di un algoritmo; le relazioni sociali chiedono spazi umani ben più ampi degli schemi limitati che una macchina senz’anima può preconfezionare. Qui la politica, illuminata dal Vangelo e dalla Dottrina sociale, è chiamata ad alzare lo sguardo e a pensare al futuro dei giovani, non solo al prossimo sondaggio.

Conclusione: cattolici interi, non “a compartimenti stagni”

Carissimi,

Papa Leone XIV non ci consegna un “partito cattolico chiavi in mano”. Ci offre una visione: la politica come missione di bene comune, illuminata dalla legge naturale e dalla Dottrina sociale, sostenuta dalla coerenza tra fede e vita.

A noi, Chiesa che vive in questa terra, spetta il compito di:

  • formare coscienze, più che schieramenti;

  • accompagnare chi è già impegnato nella vita pubblica, perché non si senta solo e non si scoraggi;

  • incoraggiare i giovani a non tirarsi indietro, a non rassegnarsi alla logica del “tanto non cambia nulla”.

Vorrei concludere con l’eco della figura di Tommaso Moro: un uomo che ha servito lo Stato proprio in forza della sua fede, che ha difeso la famiglia, i poveri, i diritti delle persone, e che ha preferito perdere tutto pur di non tradire la sua coscienza. È questo, in fondo, il profilo di cui abbiamo bisogno: credenti capaci di mettere in gioco la propria vita pubblica alla luce del Vangelo, senza nostalgie e senza compromessi al ribasso.

Chiediamo allo Spirito Santo che i cattolici e le cattoliche del nostro tempo siano così: non perfetti, ma veri; non irreprensibili, ma liberi; non “a compartimenti stagni”, ma interi, perché unificati dall’unico desiderio di servire Dio servendo il popolo.

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