Es 17, 8-13a; Sal 120; 2 Tm 3, 14 - 4, 2; Lc 18, 1-8

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario –

Giornata dei Poveri

Siamo quasi alla conclusione del Tempo Liturgico Ordinario e il Vangelo ci aiuta a meditare in profondità sulle cose ultime.

La Sua venuta non ci è dato di saperne il giorno, ma ci sarà! Gesù ci dà dei criteri per prepararci alla Sua venuta e vivere sapientemente e responsabilmente il tempo presente.

Innanzitutto Egli ci invita a non essere pessimisti, catastrofisti, pensando che la fine del mondo arrivi subito: bisogna prima attraversare situazioni problematiche e sconvolgenti.

“Il tempio di Gerusalemme, la cui ricostruzione da parte di Erode era iniziata circa cinquant’anni prima, appariva come una costruzione sontuosa, che impressionava chi giungeva a Gerusalemme. Essa non era come le altre città capitali: era “la città del gran Re” (Sal 48,3; Mt 5,35), il Signore stesso, meta dei Giudei residenti in Palestina o provenienti dalla diaspora (da Babilonia a Roma), la città sede (luogo, maqom) della Shekinah, della Presenza di Dio. Il tempio nel suo splendore ne era il segno per eccellenza, tanto che si diceva: “Chi non ha visto Gerusalemme, la splendente, non ha visto la bellezza. Chi non ha visto la dimora (il Santo), non ha visto la magnificenza”. Anche i discepoli di Gesù nella valle del Cedron, di fronte a Gerusalemme, o sul monte degli Ulivi erano spinti all’ammiraz2ione; ma Gesù risponde: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”, parole che per i Giudei suonavano come una bestemmia, al punto che saranno uno dei capi di accusa contro Gesù nel processo davanti al sinedrio (cfr. Mc 14,58; Mt 26,61). Gesù non vuole negare la bellezza del tempio, né decretarne la distruzione, ma vuole avvertire i discepoli: il tempio, sebbene sia casa di Dio, sebbene sia una costruzione imponente, non deve essere oggetto di fede né inteso come una garanzia, una sicurezza. Purtroppo, infatti, il tempio di Gerusalemme era diventato destinatario della fede da parte di molti contemporanei di Gesù: non al Dio vivente ma al tempio andava il loro servizio, e la loro fede-fiducia non era più indirizzata al Signore, ma alla sua casa, là dove risiedeva la sua Presenza” (cfr. Enzo Bianchi).

Gesù, come aveva fatto secoli prima il profeta Geremia, ammonisce il popolo dei credenti dicendo che non basta ripetere “Tempio del Signore, Tempio del Signore, Tempio del Signore!” e ritenere che esso poteva salvare, ma occorre vivere secondo la volontà di Dio, praticare la giustizia. Le parole di Gesù sono molto coerenti con l’annuncio e la testimonianza dei profeti, che più volte avevano ammonito i credenti, mettendoli in guardia dal rischio di trasformare uno strumento di comunione con Dio in un luogo idolatrico, una falsa polizza di salvezza.

Gesù, con la sua visione profetica, vede che il Tempio andrà in rovina e non sarà in grado di dare salvezza ad Israele. I discepoli di fronte a questo annuncio per curiosità domandano: “Quando accadrà questo? Ci sarà un segno premonitore?”. A questi interrogativi Gesù non risponde ma avverte i discepoli su come è necessario prepararsi per quel giorno che viene.

“Nessuna data, nessuna risposta precisa alle febbri apocalittiche sempre presenti nella storia, tra i credenti, nessuna immagine terroristica come segno, ma delle indicazioni affinché i credenti vadano in profondità, leggano i segni dei tempi e vivano con vigilanza il proprio oggi, mai dimenticando, ma al contrario conservando la memoria della promessa del Signore e attendendo che tutto si compia. Gli ultimi tempi sono i tempi dell’allenamento al discernimento, a quell’esercizio attraverso il quale si può giungere a “vedere con chiarezza”, a distinguere ciò che è bene e ciò che è male e si possono trovare le ragioni per la decisione, per la scelta della vita e il rigetto della morte”. (Enzo Bianchi).

Gesù mette in guardia nei confronti di quelli che si presentano come detentori del nome di Dio la cui pretesa coincide con l’arrogarsi un primato e una autorità che appartengono solo al Signore.

Mai il credente, il discepolo di Gesù, può affermare: “Io sono”.

La tentazione perenne di noi umani è cercare un idolo in cui mettere fede! Gesù avverte di non andare dietro a coloro che si arrogano questa pretesa perché l’unica sequela è quella testimoniata da Gesù stesso nel Vangelo. Tra l’altro i cristiani devono saper distinguere la “parousía”, cioè la venuta finale di Gesù, che sarà accompagnata da eventi che metteranno fine a questo mondo, dagli avvenimenti che sono sempre presenti nella storia come le guerre, le rivoluzioni, i terremoti, le carestie, le distruzioni di città … Vanno poi messe in conto le persecuzioni violente che i discepoli conosceranno fin dai primi giorni della fine della Chiesa. Come Gesù è stato perseguitato fino alla morte in croce, così accadrà per tutti coloro che gli saranno fedeli. Occorre essere consapevoli che le persecuzioni sono una occasione per rendere testimonianza a Cristo!

Il discepolo sa: guai se tutti dicono bene di lui. E sarà beato quando lo si insulterà, lo si accuserà e lo si calunnierà dicendo ogni male di lui.

È chiaro che l’ora della fine ha il potere di incutere paura ma questa deve diventare occasione per rafforzare la fiducia in Dio e la speranza nel suo Regno.

Una consapevolezza deve abitare i discepoli di Gesù: nulla potrà mai separarci dal Suo amore. Siamo chiamati ad essere perseveranti e la perseveranza salverà la nostra vita: questa è la virtù cristiana per eccellenza!

La perseveranza-pazienza è la capacità di non disperare, di non lasciarsi abbattere nelle tribolazioni e nelle difficoltà, di rimanere e durare nel tempo, che diviene anche capacità di supportare gli altri, di sopportarli e di sostenerli. La vita cristiana, infatti, non è l’esperienza di un momento o di una stagione della vita, ma abbraccia l’intera esistenza, è “perseveranza fino alla fine” (cfr. Mt 10,22; 24,13), continuando a vivere nell’amore “fino alla fine”, sull’esempio di Gesù (Gv 13,1). Ecco perché questa pagina evangelica non parla della fine del mondo, ma del nostro qui e ora, del tempo che precede la fine: la nostra vita quotidiana è il tempo della difficile eppure beata (cfr. Gc 5,11) e salvifica perseveranza.

In questa Domenica si celebra la IX Giornata Mondiale dei Poveri, fortemente voluta da Papa Francesco.

Nel Messaggio per questa Domenica, dal titolo: “Sei tu, mio Signore, la mia speranza” (Sal 71, 5), Papa Leone tra l’altro sostiene: “I poveri non sono un diversivo per la Chiesa, bensì i fratelli e le sorelle più amati, perché ognuno di loro, con la sua esistenza e anche con le parole e la sapienza di cui è portatore, provoca a toccare con mano la verità del Vangelo. Perciò la Giornata Mondiale dei Poveri intende ricordare alle nostre comunità che i poveri sono al centro dell’intera opera pastorale. Non solo del suo aspetto caritativo, ma ugualmente di ciò che la Chiesa celebra e annuncia. Dio ha assunto la loro povertà per renderci ricchi attraverso le loro voci, le loro storie, i loro volti. Tutte le forme di povertà, nessuna esclusa, sono una chiamata a vivere con concretezza il Vangelo e a offrire segni efficaci di speranza”.

Lasciamoci evangelizzare, convertire, dalle persone impoverite, vittime di una economia che uccide la speranza!

Buona Domenica.

 

   Francesco Savino

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