Oltre le parole

Veglia di preghiera per dare voce a chi voce non ha

28-11-2024

Questa sera il silenzio che ci circonda non è vuoto, ma carico di attese e speranze. È il silenzio dei poveri, degli ultimi, di chi è troppo spesso dimenticato o ignorato. È un silenzio che si intreccia con il nostro, perché anche dentro di noi ci sono voci soffocate: voci di compassione non ascoltate, voci di giustizia messe a tacere, voci di una conversione rimandata.

Ma questo silenzio è preghiera, perché – come ci ricorda il tema della VIII giornata mondiale dei poveri: “La preghiera del povero sale fino a Dio” (Sir 21, 5). Una preghiera senza maschere, priva di ornamenti, che parla con l’unico linguaggio che il cielo ascolta davvero: quello della verità. È una preghiera che non teme il buio, perché sa che anche nelle notti più profonde Dio rimane vigile, come una sentinella dell’anima.

Questa verità ci chiama a spogliarci delle nostre certezze e dei nostri timori, per aprire finalmente le porte del cuore. Solo un cuore libero, infatti, può accogliere la grazia di essere “compagni di viaggio” di chi soffre. Come ci ricorda Simone Weil: “La compassione è il miracolo che permette a due esseri di condividere, senza paura, la stessa miseria”.

Risuona qui la promessa del Vangelo: il povero che prega non è mai solo. La sua voce raggiunge il cuore di Dio e, passando attraverso il cielo, chiede a ciascuno di noi di essere risposta viva e concreta.

Questa veglia è un invito a fare spazio, a dare voce a ciò che conta davvero. La Giornata Mondiale dei Poveri, che abbiamo celebrato di recente, ci ha ricordato che ogni povero è una domanda aperta, un grido che risuona nel cuore stesso del Vangelo. Ma non basta celebrare una giornata: siamo chiamati a vivere ogni giorno con gli occhi aperti, con il cuore disponibile, con le mani pronte a costruire fraternità.

Il Vangelo di Matteo ci pone davanti a una verità semplice e sconvolgente: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete accolto; ero nudo e mi avete vestito; ero malato e mi avete visitato; ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,35-36).

Queste parole non sono solo un richiamo alla carità, ma un appello alla conversione dei nostri stili di vita. Ogni gesto di amore verso il prossimo è un gesto verso Cristo stesso. Nelle periferie del mondo e del cuore, Dio continua a bussare, chiedendo di essere riconosciuto soprattutto nei volti delle persone più marginali, gli scarti.

Edith Stein ci ricorda che “Chi cerca la verità cerca Dio, anche senza saperlo”. Ebbene, noi troviamo quella verità nella carne viva del povero, nello sguardo del sofferente, nella mano tesa di chi chiede aiuto.

 

Luciano Manicardi, monaco della Comunità di Bose, sulla compassione, ci offre parole preziose: “La compassione è la ferita che ci apre all’altro, che ci espone alla sua sofferenza e ci rende capaci di prossimità. È una forza che non ci lascia fermi, ma ci spinge verso l’incontro”.

Compassione significa “patire con”, portare il peso di chi non ce la fa, accogliere le sue domande e i suoi dubbi come fossero nostri. Non è solo un vago sentimento: è un atto di fede, di indignazione e di ribellione contro la cultura dello scarto, che Papa Francesco denuncia con forza.

Le povertà che incontriamo ogni giorno sono molteplici e spesso nascoste. Non sempre si presentano con il volto evidente della privazione materiale, molte volte si nascondono nei dettagli, nei silenzi, negli sguardi che non osano chiedere aiuto. Ma riconoscere la povertà non è abbastanza, dobbiamo interrogarci sulle cause, sul modello di sviluppo e su quella economia che ammazza.

Urge dare dignità a tutte le persone impoverite e fragili che ci interpellano sui sentieri più o meno interrotti delle nostre esistenze.

C’è una poesia di Wislawa Szymborska che recita:
“Nulla due volte accade / né accadrà. / Per tal ragione / dobbiamo vivere come più ci è dato.”

Ogni incontro con l’altro è unico e irripetibile. È un tempo di grazia, un’occasione per scoprire il volto di Cristo, per ricordare che ogni vita è un dono irripetibile e prezioso.

Ogni sorriso, ogni parola di conforto, ogni gesto d’amore può cambiare una vita. Non perdiamo l’occasione di essere strumento della grazia di Dio. Come scriveva Charles Péguy: “La più grande carità è forse questa: vedere un’anima, un volto umano, con gli occhi stessi di Dio.” Guardiamo i poveri con quegli occhi, con quello sguardo che non giudica ma accoglie, che non si accontenta ma si impegna, che non si ferma alla compassione ma diventa condivisione.

 

C’è una realtà, sorelle e fratelli, che non possiamo ignorare: la povertà generata dalla violenza, dalla corruzione, dalla criminalità organizzata. In questa terra, come in altre, i poteri malavitosi generano povertà.

Questa sera voglio lanciare un appello: ai figli dei mafiosi, a chi ha scelto la strada dell’illegalità, a chi sfrutta i poveri per arricchirsi, dico con forza: Cambiate vita! Cambiate strada! Dio non si stanca di chiamarvi, di offrirvi una possibilità di redenzione. “Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (Ez 33,11): queste parole di Dio sono per voi, per ciascuno di voi, per tutti noi.

La nostra chiesa locale deve essere una comunità, di speranza, di accoglienza, di trasformazione. Propongo alcune iniziative che possano concretizzare il nostro impegno:

  1. Progetti di educazione alla legalità.

L’educazione alla legalità non è soltanto un percorso formativo, ma un cammino di consapevolezza e responsabilità. Significa insegnare che la legalità è il mezzo e il fine è la giustizia. Dobbiamo coeducarci che il rispetto per la legge è rispetto per l’altro, che ogni diritto ha un dovere corrispondente e che ogni scelta, anche la più piccola, ha conseguenze su tutta la comunità.

  1. Un fondo comunitario per le necessità urgenti.

La costituzione di un fondo comunitario non è solo un’azione di solidarietà economica, è un segno di appartenenza reciproca, di responsabilità condivisa. È dire a chi vive un momento di difficoltà: “Non sei solo. La tua sofferenza ci riguarda, e insieme troveremo una strada.” Le necessità quotidiane, un affitto non pagato, una bolletta in scadenza, la spesa per la famiglia, non sono solo problemi materiali, ma spesso ferite che minano la dignità della persona e di un’intera famiglia. Questo fondo vuole essere una presenza stabile di accompagnamento di chi è nel bisogno. Ogni euro raccolto è un seme di fiducia, un tassello che costruisce una rete di protezione con e per per i più fragili.

  1. Iniziative per il lavoro dignitoso.

Il lavoro dignitoso e solidale non è solo un diritto fondamentale, è il pilastro su cui si costruisce una vita libera. Ogni persona ha il diritto di sentirsi utile, di contribuire con il proprio talento al bene comune, di vivere del frutto del proprio impegno. Ma questo non può accadere se il lavoro è precario, sfruttato, degradante o, come si dice oggi, un lavoro povero. Urge una sussidiarietà verticale con le istituzioni e circolare con le aziende e le realtà locali per generare opportunità che restituiscano dignità e valore a chi lavora.
Occorre promuovere percorsi formativi per chi cerca un’occupazione, sostenere le piccole imprese che offrono opportunità di lavoro onesto e combattere con decisione ogni forma di sfruttamento e di caporalato. Solo così il lavoro diventa coerente con il progetto di creazione di Dio che ci ha chiamati a “custodire e coltivare” la terra.

Fratelli e sorelle, ricordiamoci che “giustizia e misericordia si abbracciano” (Sal 85,11). La giustizia che il Vangelo ci chiede non è un freddo bilancio di ciò che è dovuto, ma il calore di un amore che non si rassegna. È la giustizia del buon samaritano, che non si limita a osservare, ma scende dalla sua cavalcatura, si sporca le mani e prende su di sé il peso dell’altro.

Non dimentichiamo che ogni atto di giustizia, se non è radicato nella carità, rischia di essere sterile. Come scriveva Dietrich Bonhoeffer: “Non basta la semplice idea di giustizia per sanare il mondo; solo l’amore che si fa responsabilità dell’altro può farlo”. Questa responsabilità è il cuore pulsante della giustizia evangelica.

 
Preghiamo perché questa veglia accenda in noi una luce, una speranza che non si spegne. Ma lasciamo che sia una luce che ci guida nell’oscurità del mondo, come il faro per il navigante. Non accontentiamoci di preghiere che si chiudono con un Amen: portiamo con noi il coraggio di vivere ciò che abbiamo pregato.

Che questa luce illumini le nostre scelte quotidiane, ci sostenga nelle difficoltà e ci renda capaci di costruire una comunità più giusta, più solidale, più umana. Che Maria, madre dei poveri e madre della misericordia, ci accompagni nel nostro cammino e ci insegni a custodire, come lei, ogni grido e ogni sorriso che incontriamo.

Amen.

 

 

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