Omelie

Festa del Crocifisso, Mons. Savino: “Croce strumento d’innalzamento dell’uomo”


OMELIA FESTA DEL CROCIFISSO [SCARICA]

Venerdì 4 marzo 2016

Carissimi confratelli nel sacerdozio, carissimi fedeli tutti,

in questo primo venerdì di marzo, come vuole l’antica tradizione, siamo convocati  per gustare la gioia del Vangelo e rinnovare il voto di fedeltà al Crocifisso.

Il voto  ha una tradizione  molto antica e richiama eventi cui il popolo di Cassano è molto legato. Il primo rimanda al 1783 quando i Cassanesi, usciti illesi da un terremoto, stabilirono  di commemorare solennemente la protezione del Santissimo Crocifisso. A distanza di circa due secoli, nel 1943, , durante la seconda guerra mondiale, ancora una volta la città di Cassano invocò il santo Crocifisso per allontanare il pericolo dei bombardamenti aerei e risparmiare la vita dei suoi figli in combattimento. Mons.Raffaele Barbieri decretò, con un voto solenne, che ogni anno venisse celebrata la festa votiva, in segno di perenne gratitudine.

La solennità del Crocefisso, dunque, è uno dei momenti più rilevanti  della nostra vita religiosa e civile. Riconoscenti per la sovrabbondanza della Grazia che si riversa sulla cara ed amata città di  Cassano, celebriamo questa festa anche per consegnare alle future generazioni una testimonianza di gratitudine.

Il Crocifisso che “sembra abbracciare il mondo intero” come diceva San Gregorio di Nissa, stasera ci accoglie numerosi, nella bella Basilica Cattedrale.

Nel Suo nome, porgo il mio affettuoso saluto, a tutti i convenuti, tra cui le autorità civili e militari. E vi dico che è bello per me ritrovarvi qui mossi dal bisogno di essere  sempre più comunità viva e solidale.

Non si capirà  mai Gesù senza la croce, come peraltro non si capirà la croce senza il cammino verso di essa. Il teologo svizzero von Balthasar  afferma “Tutta la vita di Cristo fu croce e martirio“.  La storicità della crocifissione di Gesù è testimoniata all’unanimità dai vangeli e dagli scritti del N.T. Anzi, secondo la felice intuizione di M. Kahler, “i vangeli non sono altro che la storia della passione preceduta da una lunga introduzione“.

La predicazione, infatti, non si caratterizza per discorsi razionali di sapienza umana (1 Cor 2,1-4), ma proclama la morte di Cristo innalzato sulla croce. Chi cerca la verità in argomenti migliori, non la troverà (1,18).

Nella liturgia della Parola di oggi riscontriamo un elemento comune che è “l’innalzamento di un segno” portatore di salvezza.

Nel Libro dei Numeri,  abbiamo sentito che Mosè innalza un serpente di bronzo come antidoto al veleno dei serpenti, segno anticipatore dell’efficacia della salvezza che Dio offre a chi guarda al Cristo innalzato con gli occhi della fede.

L’inno della seconda lettera di san Paolo ai Filippesi  esalta la contrapposizione abbassamento/esaltazione del Cristo. I cinque verbi della Kénosis (spogliarsi, assumere la condizione di servo, divenire simile agli uomini, umiliarsi, farsi obbediente) se da una parte evidenziano il senso della Croce, dall’altra esprimono come la Croce sia il passaggio obbligato per la gloria pasquale. “Dove c’è la croce, la risurrezione è vicina” (DBonhoeffer).

Nel passo del vangelo di Gv (3,13-17) è riportato  il dialogo notturno tra Gesù e Nicodemo. L’analogia con l’episodio del serpente nel deserto è esplicita: al serpente corrisponde il Figlio dell’uomo;  alla vita garantita dallo sguardo al segno del serpente corrisponde la vita eterna che il Cristo dona a chi crede in Lui. L’innalzamento apre ad un cammino di fede che porta a ‘credere’   per avere “la vita eterna”, cioè la salvezza “per mezzo di lui”.

La Croce è dunque strumento di innalzamento dell’uomo e della sua vita ad un livello soprannaturale che può essere garantito solo dall’accettazione del mistero della stessa. Innalzare lo sguardo, oltre al moto degli occhi, denota anche quello del cuore di colui che arriva a individuare l’inaudita identità di colui che è trafitto esanime sulla croce. Gesù, innalzato sul trono della sua vittoria, è diventato sorgente della salvezza. Da lassù egli attira tutti a sé come salvatore della nostra condizione di peccato.

Fissando il Crocifisso, rimanendo ai piedi della croce, siamo resi capaci di guardare alle croci dell’umanità, alle nostre croci che hanno nomi e volti diversi: le patologie del corpo e dello spirito, le molte debolezze che snervano le relazioni umane, in particolare le relazioni di amore tra uomo e donna, le diverse forme di disagio sociale, i focolai di guerra che si accendono in luoghi diversi.

Cari fratelli e sorelle, alziamo lo sguardo oltre il sole e guardiamo a Cristo trafitto in Croce! È Lui la rivelazione più sconvolgente dell’amore di Dio.

Fino a qualche decennio fa il mistero della croce non costituiva un capitolo centrale della riflessione cristiana, era più che altro una dimensione che faceva da sfondo, un tema più contemplato che discusso. Ma con la rimessa al centro della teologia della croce, l’evento del Golgota non solo è diventato locus theologicus ma ha aiutato a scoprire un nuovo volto di Dio-Trinità. Non vi è altro modo per concepire la divinità di Dio se non muovendo dalla sua umanità che si è rivelata pienamente nel Crocifisso.

Il Crocifisso per Júngel  è il modo nuovo per parlare di Dio,  è auto-definizione di Dio espressa in linguaggio umano, è vestigium Trinitatis.  Moltmann ritiene che l’evento della croce  sia il capolavoro del Dio dei cristiani.

Nella sua costante fioritura, l’albero della Croce porta  frutti rinnovati di salvezza. Per questo i credenti si rivolgono alla Croce con fiducia, traendo dal suo mistero d’amore il coraggio e la forza per camminare sulle tracce di Cristo crocifisso e risuscitato. Il messaggio della Croce entra nel cuore di tanti uomini e di tante donne, trasformando la loro esistenza. Un esempio  di tale singolare rinnovo interiore è il cammino spirituale di Edith Stein, una giovane alla ricerca della verità, diventata  santa e martire: si tratta di Teresa Benedetta della Croce, che ripete oggi a tutti, dall’alto dei Cieli, le parole che hanno segnato la sua esistenza: Quanto a me, non sia mai che mi glori d’altro che della Croce di Nostro Signore Gesù Cristo (Gal 6, 14)

La croce di Gesù è anche un altare di perdono e di misericordia. Nel mistero della Croce si rivela  la potenza incontenibile della Misericordia del Padre. E mentre sembra decretare il fallimento di Gesù, in realtà segna la sua vittoria. Sulla Croce  si incrociano due povertà: la povertà radicale dell’uomo traviato e la miseria di un Dio che si è abbreviato al nulla per noi. Dall’incontro di queste due povertà sboccia e si concretizza la nostra salvezza. “In Cruce Salus! Per crucem ad lucem!” Ed ecco piantato in mezzo alla nostra terra, tra le nostre case, tra le nostre croci il Crocifisso, l’albero della Croce col suo frutto.

L’esperienza dell’amore, che nasce dallo sguardo al Crocifisso ci tutela dal rischio del ripiegamento su noi stessi. Accogliere la Croce come orientamento dell’intera esistenza richiede, pertanto,  una radicale conversione  insieme alla disponibilità ad accondiscendere all’irruzione della Sapienza di Dio entro le maglie strette della logica umana.  Il Dio crocifisso e muto, sulla Croce, rivela e dischiude al mondo un amore che va oltre ogni bisogno umano e va a costituire una manifestazione inaudita di solidarietà che richiede un’ effervescente e quotidiana  ‘ripetizione nella vita’, nel senso che occorre corrispondere a tale amore ed impegnarsi poi a comunicarlo agli altri: Cristo “mi attira a sé” per unirsi a me, perché impari ad amare i fratelli con il suo stesso amore.

La Chiesa, vivacizzata dalla Croce, deve sapersi configurare in coloro che, con Cristo e nel suo Spirito, si sforzano di uscire da sé per entrare nella via dolorosa dell’amore: “Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà” (Mc 8,34-35).

Accodarsi a Cristo, mettersi in viaggio con Lui, implica testare sulla nostra pelle i fastidi, gli orrori, i rischi della strada come disaccordi, afflizioni, prevaricazioni, angherie, cattiverie di ogni genere, ma provare  anche tenerezza, amicizia, comprensione, amore, perdono: è questa l’esaltante avventura della vita cristiana.

La “parola della Croce” è  lieta notizia e mostra che la via del dono di sé, apparentemente perdente, è oltremodo “via vittoriosa” che ci addestra  a pregustare la certezza che la fede nel Crocifisso Risorto è l’unica e universale via di salvezza per l’uomo di ogni tempo.

Affermare che l’evento della Croce segna l’inizio di una esistenza nuova significa dire che la prossimità del Dio di Gesù Cristo all’uomo non è l’insopportabile vicinanza dell’altro, ma lo spazio credibile perché questi possa camminare sulle tracce di una presenza che  spesso dimentichiamo o addirittura riteniamo inutile.

La Croce è “scientia”  evento rivelativo come sapere su Dio, come metafisica che occorrerebbe enucleare o come ermeneutica dell’esistenza che bisognerebbe riproporre oggi. Pensare criticamente a partire dalla Croce, ‘filosofare con la Croce’  non è un’ idea peregrina, ma è un compito indispensabile per il terzo millennio allo scopo di rifondare una cultura della pace, della solidarietà, la sola che possa permettere un vero incontro tra etnie diverse  nella società multiculturale e multireligiosa.

Il Crocefisso, a cui piedi stasera ci prostriamo, sia il “punto” su cui la nostra città  dirige il suo sguardo perché non muoia ma viva in Cristo.

La presenza di Maria ai piedi della Croce sia la nostra immagine: vogliamo essere con Lei ai piedi delle infinite croci, su cui Gesù viene ancora crocifisso nei nostri fratelli e  recare il nostro conforto e la nostra cooperazione redentrice.

Allora, “duc in altum”, Cassano, “respice stellam et voca Maria”. Questo vi auguro  di tutto cuore!

†  Francesco Savino

 

(foto: Marco Leone)

 

 

IMG_6723 IMG_6724 IMG_6725