Omelie

Giovedì Santo 2016, Santa Messa nella Cena del Signore: «Li amò sino alla fine»


Giovedì Santo 2016 Santa Messa nella Cena del Signore «Li amò sino alla fine» [SCARICA]

In preghiera mi sono chiesto: quali sentimenti mi abitano in questo Giovedì Santo in cui celebriamo il memoriale della Cena del Signore?

Vi dico che provo sentimenti contrastanti: da una parte emozione, stupore e seduzione, perché come vivo la prima Pasqua con voi, come vostro Vescovo, dall’altra provo sentimenti di preoccupazione e tristezza ed anche di indignazione per le condizioni socio-economiche in cui versa la nostra amata terra.

Desidero leggere il racconto della “lavanda dei piedi” soffermandomi sul primo versetto in cui l’evangelista annota: “Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine”. In particolare vorrei evidenziare l’ ”oraʺ di Gesù e l’espressione del suo sentimento “e li amò sino alla fine”.

Innanzitutto la parola «ORA»: Gesù sa che è arrivata la sua ora di passare da questo mondo al Padre. C’è sempre un’ora che accompagna la vita di Gesù. Alle nozze di Cana dice a Sua madre “Donna, non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2,4).

Di quale ora si tratta?

Per dirla in sintesi, è l’ora in cui il Figlio dà la vita proclamando ad alta voce, in modo che tutti possano ascoltare, la salvezza per gli uomini che sono oppressi dal peccato. E’ l’ora della redenzione! Del riscatto! Della liberazione!

Tutta la vita terrena di Gesù è orientata verso quest’ora.

E’ l’ora del compimento della sua missione. E’ l’ora dell’amore oltre misura, folle, asimmetrico ed eccedente. E’ l’ora della sua consegna, senza “se” e senza “ma”. Gesù è pronto. Non si tira indietro. Ha superato la tentazione della prova. Vive la conseguenza delle sue scelte. Lui è il segno della contraddizione e della rottura.

Con l’espressione «LI AMO’ FINO ALLA FINE» si rimarca che Gesù ha amato i suoi sino alla morte: la morte è l’ultima testimonianza del suo amore. Li ha amati compiutamente. Totalmente. Radicalmente. E’ il paradosso dell’amore di Gesù.

E tutto accade nella notte in cui Gesù viene tradito. Al tradimento, negazione dell’amore, che è prostituzione di corpo e anima, Gesù risponde con l’amore. Pensiamo un attimo: in quel cenacolo Gesù ha amato delle persone concrete.

L’amore di Gesù non è un amore platonico ma un amore che attraversa le ragioni concrete di una persona.

Ama Giuda, che lo tradisce per denaro. Ama Pietro, che aveva avuto la responsabilità di guidare il gruppo dei dodici e lo rinnega dicendo “quello non lo conosco”. Ama i “figli del tuono” Giacomo e Giovanni la cui madre aveva detto: “lascia che questi miei figli siedano alla tua destra e alla tua sinistra”, con le loro ambizioni di potere. Gesù ama la tenerezza di Giovanni, il discepolo amato. Ama Filippo, il discepolo della trasparenza. Ama Tommaso, il discepolo del dubbio e dell’inquietudine.

In quel cenacolo Gesù ama tutte le umanità possibili, nella consapevolezza che ogni persona è unica e irripetibile. Gesù ama l’altro nella sua concretezza, nel suo vissuto, nei suoi limiti e contraddizioni. Gesù ama nella verità, senza lasciarsi condizionare dalle forme inquinate di amore altrui.

Papa Francesco ripetutamente ci dice che l’amore di Gesù non ci delude mai, perché lui non si stanca di amare, come non si stanca di perdonare, non si stanca di abbracciarci. Testimonianza concreta di questo amore che spiazzava ieri gli Apostoli, i Discepoli e la folla, e oggi anche noi, è la lavanda dei piedi.

Al tempo di Gesù era uso, quando si entrava in casa, lavare i piedi sporchi di polvere. Lavavano i piedi gli schiavi: era un lavoro da schiavi. E Gesù come schiavo lava i piedi dei discepoli e lava i nostri piedi. Per questo dice a Pietro: “quello che io faccio, tu ora non lo capisci, …lo capirai dopo” (Gv 13,7). Quanto è grande l’amore di Gesù! Egli, il Figlio di Dio, si è fatto schiavo per servirci, per liberarci, per ripulire le nostre incrostazioni di sporcizia.

In questa Coena Domini, sono i sacerdoti e i Vescovi che lavano i piedi a dodici persone scelte in memoria dei dodici Apostoli.

Tra poco laverò i piedi a dodici fratelli e sorelle immigrati- profughi del progetto SPRAR di Cassano, segno della nostra Chiesa locale che accoglie, integra e interagisce con chi fugge dalla fame, dalla guerra, dalla persecuzione.

Vi esorto, miei cari fratelli e sorelle, a non essere emotivi nelle decisioni, nelle scelte.

Non identifichiamo ogni immigrato con un terrorista! Ci vuole la prudenza dello Spirito che è altra rispetto alla prudenza della carne. Quest’ultima dice intolleranza e indifferenza.

E’ la sfida della “convivialità delle differenze”!

Siamo chiamati a passare dalla cultura dello scarto che erige muri e fili spinati, alla cultura dell’incontro, del dialogo, della condivisione.

Un invito rivolgo a noi tutti: a conclusione di ogni giornata, ogni sera, domandiamoci: “Ho lavato i piedi a chi ho incontrato oggi?”. Ho lavato i piedi soprattutto alle persone marginali, ai senza voce, ai senza dignità?

Dalla risposta che daremo sarà giudicata la serietà del nostro essere amici di Gesù.

Con questi sentimenti di amore che ʺserveʺ, senza utilità personale o convenienza, vogliamo fare Pasqua quest’anno.

+ Francesco Savino