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II Assemblea Ecclesiale Diocesana, le conclusioni del Vescovo


CONCLUSIONI DEL VESCOVO [SCARICA]

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A tutto il popolo di Dio che è in Cassano all’Jonio

Introducendo l’Assemblea Diocesana ho puntualizzato che, come Chiesa locale, siamo consapevoli di vivere un processo di scristianizzazione del tessuto sociale che si manifesta spesso in una vera e propria indifferenza dell’ esperienza cristiana. Il “caso serio” della Chiesa, che è al tempo stesso esigenza urgente e compito ineludibile, è la trasmissione della fede. Il “filo rosso” del nostro incontro assembleare, molto bello, interessante e fecondo, è stato la Gioia del Vangelo, l’Evangelii Gaudium che Papa Francesco ha consegnato alla Chiesa italiana nell’Assemblea Ecclesiale di Firenze, lo scorso anno, con l’invito a tradurlo nelle Diocesi in modo sinodale. Accogliendo questo invito, vogliamo metterci in gioco e osare una traduzione del ”manifesto programmatico” del Santo Padre nel nostro territorio.

Articolerò le mie conclusioni in alcuni punti:
1) Cosa ci ha detto l’Assemblea. La crisi come tempo di grazia.

La domanda da cui è partito il prof. Magatti: “Ma il figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (cfr. Lc 18, 8 ) è una domanda pertinente. Si sono disfatti alcuni mondi culturali, la questione “Dio” non interessa, il regime di cristianità si è proprio estinto, la vita cristiana è relegata a minorità sociale. La sovrapposizione, sostiene Giuliano Zanchi, della comunità cristiana con l’anagrafe civile un tempo quasi matematica, si è trasformata in un conteggio dell’appartenenza sempre più ridotto, operato su linee di confine sempre più fluide. Le parrocchie si trovano ad essere una porzione di margine dell’ambiente in cui vivono. Nello spazio operativo dell’organizzazione pastorale, quando si fa la conta, ci si scopre in pochi. Ma anche la domanda religiosa, di natura sociologica, i matrimoni, i funerali, i battesimi, le comunioni, le cresime, quella tenuta della domanda sacramentale che sembrava mantenere le comunità nella loro funzione di riferimento esistenziale per la maggioranza della gente, manda ormai segnali di un ridimensionamento sempre più significativo. Quel mondo non cristiano o non credente, che era stato percepito per tanto tempo come cultura dotta di un’élite intellettuale e che non toccava i legami sociali ancora imbevuti di linfa cristiana, adesso è l’habitat di base che circonda, con la sua placida indifferenza, la marginalità sempre più tangibile e visibile delle comunità credenti. Sempre Giuliano Zanchi, nella sua interessante e lucida riflessione sul compito pastorale della Chiesa dopo la fine della cristianità, scrive: “…la tentazione più forte della Chiesa sarebbe in questo momento di guardare a se stessa, alle sue sorti storiche, al suo avvenire istituzionale. Si tratta dello stato d’animo comprensibile ma a cui non bisogna cedere. In questa tentazione infatti serpeggia la propensione a disperare della forza dell’annuncio evangelico, una volta distolto da un cristianesimo interpretato come religione civile, come se la fine della cristianità significasse la fine del Vangelo”.

A giusta ragione il prof. Magatti ci ha invitati a ripensare al nostro essere chiesa e al nostro compito pastorale, cioè al progetto di evangelizzazione, partendo da tre snodi fondamentali sotto il profilo antropologico: il desiderio, la verità, l’affezione. Suggeriva, pertanto di elaborare una grammatica pratica e non una teoria, capace di intercettare la totalità della persona senza escludere il corpo. Siamo chiamati, oggi, ad imparare la fede in maniera nuova, inedita, ad intraprendere strade diverse per comprendere e far comprendere il desiderio più grande che ci accomuna: Dio, l’Infinito. Siamo impegnati ad individuare percorsi che implicano anche l’esodo, il passaggio dal vuoto, attraverso una specie di kenotizzazione dell’ “io”, consapevoli che il processo di umanizzazione si avvera quando accogliamo l’istanza dell’altro.

Per questo non si può andare a Dio senza l’altro, il fratello. La dott.ssa Rita Torti ha richiamato la necessità di luoghi comuni in cui “rigenerare la propria vita in Gesù crocifisso e risorto, in cui condividere le proprie domande più profonde, e le preoccupazioni del quotidiano, in cui discernere in profondità con criteri evangelici sulla propria esistenza ed esperienza, al fine di orientare al bene e al bello le proprie scelte individuali e sociali” (EG 77). Le parrocchie, le associazioni., le aggregazioni ecclesiali, i movimenti, la diocesi non devono essere club per iniziati con capi e sottocapi che si fissano in ruoli di piccolo o grande potere. Ancora tendiamo, come diceva Rita Torti, a replicare strutture verticistiche, malamente copiate dalle ecclesiologie del passato, dinamiche in cui c’è chi comanda e chi obbedisce, chi capisce e decide e chi esegue, chi agisce e chi può fare da spettatore o da spettatrice, ed invece dobbiamo orientarci nella direzione opposta. Nell’Evangelii Gaudium leggiamo che la comunione, l’unità e lo slancio missionario si costruiscono parlando di più, confrontandosi di più, studiando, formandosi e ricercando insieme: laici, laiche, presbiteri, religiosi e religiose, giovani e adulti, esperti di teologia ed esperti di vita. La diversità, ha puntualizzato ancora Rita Torti, è una ricchezza e non è uno slogan buonista, ma la legge della incarnazione: “a quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature, ciò può sembrare un’imperfetta dispersione. Ma la realtà è che tale varietà aiuta a manifestare e a sviluppare meglio i diversi aspetti della inesauribile ricchezza del Vangelo” (EG 40).

All’interrogativo su “come si esce dallo stallo, dalla sfera globale che annulla, da una parte, e la “parzialità isolata” che rende sterili” (EG 235) Papa Francesco risponde con l’immagine del poliedro che “riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità” (EG 236). Abbiamo un modo per capire se stiamo procedendo secondo lo Spirito che ci libera sia dall’ omologazione che dai particolarismi: è il Vangelo.

Papa Francesco insiste su una richiesta: “Ai cristiani di tutto il mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutualmente e come vi accompagnate. Quanto ci fa bene amarci gli uni gli altri al di la di tutto. Si al di la di tutto!” (EG 99). E’ la mistica della sorellanza e della fratellanza, l’unica che può smuovere le radici delle strutture di esclusione e iniquità, dell’indifferenza globalizzata, della povertà e dei conflitti violenti e fare della Chiesa un «ospedale da campo», casa accogliente per tutti noi che abbiamo nel cuore il desiderio “di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio …” (EG 87).

L’itinerario biblico per l’evangelizzazione degli adulti, propostoci dal biblista Giuseppe Florio, mi sembra “ad hoc” per noi perché fa sintesi tra il mistero pasquale-kerigma, la mistagogia-accompagnamento, la fraternità come sinfonia di ministeri tra i presbiteri e i laici.

2) Chi è il cristiano? “Cristiani non si nasce ma si diventa” (Tertulliano).

In questo contesto socio-culturale completamente cambiato, sorge la domanda: “chi è il cristiano?” La domanda si pone oggi in maniera martellante. Nei secoli passati, quando la società era cristiana, la domanda era superflua ma, a partire dalla metà del secolo scorso, quasi contemporaneamente al Vaticano II, essa è emersa in maniera preponderante. Non abbiamo nulla da temere perché il solo porsi la domanda indica che c’è ancora una passione per Cristo. Vogliamo ancora vivere della fede in Lui. Certo: Gesù Cristo è lo stesso ieri oggi e sempre, come leggiamo nella Lettera agli Ebrei. Anche il Vangelo è sempre uguale a se stesso e, poiché abbiamo a disposizione mezzi e abilità per una maggiore comprensione rispetto al passato, siamo in grado comprenderlo meglio, diceva Papa Giovanni XXIII.

Per ricercare l’identità cristiana occorre fare delle precisazioni. Una identità non è compiuta mai definitivamente. L’identità è sempre molto esposta e, per sua natura, è fragile e aperta. L’identità rimane una ricerca incessante, non è acquisita una volta per tutte. E’ una ricerca a caro prezzo, è sempre soggetta alla crisi ed è sempre inquieta. La ricerca dell’identità cristiana è il vero compito spirituale e consiste nel lasciarsi vivere e abitare dallo Spirito. In una società come la nostra, definita liquida, dove i legami non sono stabili e non siamo capaci di costruire la storia, il cristiano è chiamato ad essere colui che fa del Battesimo, immersione nella morte e resurrezione di Cristo, la ragione, il senso e il fine della vita. Nel Nuovo Testamento leggiamo che diventiamo cristiani con il Battesimo. Il cristiano è, dunque, chi vive di Cristo, aperto all’orizzonte escatologico, cioè al compimento del Regno di Dio, al giudizio, all’incontro con il Risorto. Il cristiano vive il primato della fede, grazie allo Spirito che lo abita e vive, come opera della fede, la carità, l’amore. Significative mi sembrano le testimonianze di un grande santo, l’abbà Antonio del deserto, e di un vescovo santo, Ignazio di Antiochia. A 92 anni, l’abbà Antonio, a chi gli chiedeva che cosa fare per essere cristiani, rispondeva: “oggi incomincio ad essere cristiano”. E Ignazio di Antiochia, mentre veniva condotto a Roma, incatenato per essere martirizzato, diceva: “oggi incomincio ad essere discepolo”. L’essere cristiani è un continuo divenire tra l’azione della Grazia e la disponibilità della persona. L’identità cristiana, va bene ribadirlo, presuppone l’identità umana: il cristianesimo è un modo di vivere l’umano. Per noi cristiani, l’unico.

3) Che fare? Il Progetto Pastorale Diocesano: la Gioia del Vangelo.

Tra qualche giorno vi sarà distribuito il Progetto Pastorale elaborato da un gruppo di presbiteri e laici che si sono lasciati interrogare dai segni dei tempi del nostro territorio, e non solo.

Mi soffermerò soltanto su alcuni snodi del Progetto che i Parroci sono invitati a presentare e a discutere nelle comunità. Esorto tutte le Aggregazioni e i Movimenti ecclesiali della Diocesi a leggerlo e studiarlo, perché tutti, proprio tutti, possiamo camminare insieme sinfonicamente, nel rispetto delle diverse sensibilità.

Icona di riferimento del Progetto Pastorale 2016-2020 “La gioia del Vangelo” è l’esordio della prima lettera di San Giovanni Apostolo (1Gv 1,1-4). Il testo, che è stato oggetto della Lectio Divina con cui abbiamo aperto la nostra Assemblea, mi sembra fortemente illuminante perché dice l’esperienza personale dell’incontro con Cristo cui ciascuno di noi è chiamato e che va condiviso fraternamente. L’evangelista Giovanni al cap.13, ver.25, scrive: “… reclinandosi così sul petto di Gesù”. L’espressione esprime l’intimità della relazione del discepolo con Gesù. Nel testo greco c’è un participio verbale che letteralmente significa “dopo essersi adagiato, disteso”. Questo gesto probabilmente consuetudinario in Giovanni, carico di affettuosa confidenza, ma anche di forza suggestiva, vorrei che sia il nostro, di ciascuno di noi, discepoli alla sequela del Signore. Siamo discepoli amati da Gesù, come Giovanni. Il Signore è tra noi, noi sediamo alla sua mensa e sul suo petto possiamo reclinare il capo. Sentire il battito del suo cuore, certi di trovare un appoggio forte come la roccia per osare sogni condivisi nella Chiesa, sulle nostre comunità, sulle nostre persone. L’esordio della lettera di San Giovanni si conclude con “perché la nostra gioia sia perfetta”. Tutto è finalizzato alla nostra gioia perfetta. E se la Chiesa esiste per evangelizzare, è condizione urgente e necessaria per “trasmettere Cristo”, avere questa frequentazione con Gesù.

Le ragioni di un Progetto Pastorale Diocesano rispondono soprattutto alla necessità di lavorare tutti insieme su un progetto organico: è necessario ripensare alla nostra azione pastorale. E’ il primo passo verso una pastorale di conversione. E’ urgente accordarci per progettare una pastorale in termini di missionarietà, in “uscita” dalle singole comunità. Già nel lontano 1973 il direttorio per il Ministero pastorale dei Vescovi dichiarava indispensabile che il Vescovo formulasse “un piano o programma generale dell’apostolato di tutta la Diocesi” finalizzato ad “una sempre più proficua cura delle anime” (n.148).

Per l’attuazione del nostro Progetto Pastorale suggerisco i “tre tratti” indicati dal Santo Padre a Firenze: Umiltà. Disinteresse. Beatitudine. Sono i tratti dell’umanesimo cristiano, che è l’umanità dei “sentimenti di Cristo Gesù”. Questi tre tratti “non sono astratte sensazione provvisorie dell’animo”, dice Papa Francesco, “ma rappresentano la calda forza interiore che ci rende capaci di vivere e di prendere decisioni”. Evitiamo, nella nostra Pastorale, di cadere sia nell’errore del pelagianesimo, sia nell’errore dello gnosticismo. La tentazione pelagiana ci spinge a non essere umili, disinteressati e beati pensando che produce il bene “la fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte”. La tentazione gnostica ci rinchiude nella convinzione determinante che ogni ragionamento logico e chiaro sia superiore alla “carne del fratello”. Assumiamo questa sera tutti, come chiesa locale, con decisione, l’impegno prioritario di vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. La preghiera e la vicinanza alla gente siano i nostri segni distintivi.

Prima di entrare in alcune specificità del Progetto, desidero puntualizzare ciò che mi sembra manchevole nella nostra Diocesi e che ritengo indispensabile: la fraternità. Lasciate che lo ripeta fino ad essere importuno. Sosteneva il cardinale Joseph Ratzinger, oggi Papa emerito, che “l’esito catastrofico delle catechesi nei tempi moderni è un problema ecclesiologia, che riguarda la capacità o meno della Chiesa di configurarsi come reale comunità, come vera fraternità, come corpo e non come macchina o come azienda”. Una Chiesa che trasmette la fede è una Chiesa “madre”, capace di maternità, in cui si fa esperienza di amore . Questo vuol dire che dobbiamo essere capaci di umanità. La fede, l’atto del credere, è un atto di “affidamento su”, ed è innanzitutto un atto umano che avviene in un contesto umano, umanizzato. Come possiamo dire di avere fede in una presenza reale ma invisibile, Dio, se non abbiamo fiducia tra di noi che siamo reali e visibili? La crisi di fede è anche crisi di fiducia fra le persone. Abbattiamo i pregiudizi, distruggiamo i giudizi consolidati o stabilizzati, facciamo crollare i muri invisibili ma reali che abbiamo costruito tra un ufficio e l’altro, tra persone e persone, ne va di mezzo la credibilità del nostro essere Chiesa. Solo una Chiesa fraterna è credibile nell’evangelizzazione.

L’articolazione della Diocesi comprende le Parrocchie, le Vicarie, gli Uffici di curia e pastorali, le Comunità di Parrocchie. Essi sono luoghi in cui si condivide innanzi tutto la gioia del Vangelo, si collabora in fraternità concreta e vengono convogliate le varie esperienze di fede e di pastorale, vere risorse di tutta la Chiesa locale. Più che rispondere ad una logica di un centro diocesano che funzioni nella sua struttura articolata, le vicarie, gli Uffici, le Comunità di Parrocchie sono costituiti per la comunione missionaria.

La scansione del Progetto è di quattro anni:
2016-2017: evangelizzazione adulti-famiglia e comunità
2017-2018: evangelizzazione iniziazione cristiana e comunità
2018-2020: evangelizzazione adolescenti-giovani e comunità

Il Progetto Pastorale mette a tema, nel primo anno, l’evangelizzazione degli adulti e famiglie in rapporto alla costruzione di una comunità cristiana; nel secondo anno mira a ripensare tutta la iniziazione cristiana (battesimo, confessione-eucarestia, cresima) sempre all’interno della dinamica tra evangelizzazione e comunità cristiana. Gli altri due anni, orienta l’attenzione sulla questione adolescenti-giovani, sempre nel circuito virtuoso del rapporto fra evangelizzazione e comunità. Nel progetto troverete per ogni anno alcune “indicazioni pastorali”.

Mi soffermo, ora, su alcune indicazioni per questo anno 2016-2017. L’urgenza dell’ora è evangelizzare adulti-famiglie. La focalizzazione sugli adulti, sulla famiglia e sulla comunità cristiana come soggetti di evangelizzazione costituisce un avvio di un progetto pastorale diocesano che richiede uno sguardo allargato su orizzonti molto ampi e di lunga durata. Ci attende un impegno delicato e laborioso in cui saremo sostenuti dalla pazienza dei piccoli passi e delle soste necessarie per fermarci nelle verifiche e ad attendere chi è rimasto nelle retrovie o si attarda perché viene fermato da ostacoli diversi. Riprendiamo alcune consapevolezze che il Concilio Vaticano II ha auspicato: occorre superare la concezione clericocentrica e favorire lo sviluppo e la crescita di una comunità cristiana in cui la corretta sinergia tra i vari ministeri e carismi favorisca la “corresponsabilità” come stile ed identità.

La Parrocchia è una comunità. Non importa il numero dei frequentanti o di coloro che partecipano alle assemblee, a volte con una presenza soltanto precettistica. La Comunità parrocchiale diventi luogo di incontro tra cristiani capaci di leggere i segni dei tempi e “organizzare segni di Vangelo vissuto”, idonei a costruire processi educativi. Occorre che tutti diventino – e siano aiutati ad esserlo – “soggetti di evangelizzazione”: gli adulti, la famiglie, gli operatori pastorali dei vari settori di evangelizzazione (liturgia, catechesi e carità). Al genericismo o pressapochismo formativo vanno sostituiti processi di formazione programmati e condivisi.

La famiglia, prima della comunità parrocchiale, è il luogo dove si genera la vita e si genera alla vita eterna. Sono i genitori, i nonni, gli zii che con le proprie condotte di vita educano alla buona vita del Vangelo. Nella famiglia i bambini imparano a condividere fra fratelli il poco o molto che hanno, ad essere lieti delle piccole gioie, a dire grazie e scusa, a rispettare tempi e spazi dei nonni, del papà e della mamma, a collaborare per portare insieme il carico delle faccende da sbrigare in modo che non schiaccino soltanto qualcuno, di solito la mamma. Nelle mura domestiche, piccole o grandi, ricche o povere, i bambini imparano a ringraziare il Signore al mattino, appena svegli, alla sera prima di andare a letto, a prestare attenzione a qualche parente o vicino che è ammalato o che soffre di solitudine, a condividere la gioia della festa con tutti, senza escludere nessuno, a superare gli inevitabili litigi con l’esperienza rigenerante di essere perdonati e perdonare le offese.

La “chiesa domestica” diventa modello della parrocchia che altro non è che “casa vicina alle altre”, luogo, spazio, tempo in cui le case tutte convergono per celebrare il Giorno del Signore: ascoltano insieme la Parola, spezzano il pane eucaristico, condividono quello che possiedono e che vivono con semplicità di cuore.

Alla famiglia deve essere restituito il ruolo educante che le è proprio.
Auspico, allora, una Pastorale “della” Famiglia e una Pastorale “di” Famiglia. Cosa significa? La Pastorale della famiglia si trova a fare i conti con una famiglia indubbiamente in difficoltà. Come fare Pastorale della Famiglia quando la famiglia non c’è? Si constata la difficoltà crescente dei corsi di preparazione al matrimonio, dato che il concetto stesso di “fidanzamento” è sempre più vago. Ai corsi partecipano persone che stanno già insieme, “accompagnate” come si suol dire. Quando arrivano, magari con qualche bambino, il corso per i fidanzati si trova a dover essere modulato in funzione della nuova realtà. Il dopo-matrimonio resta poi tutto da inventare. Sicuramente non è facile per la Parrocchia seguire gli sposi, se essi si ritrovano in situazioni di vita che rendono loro faticoso persino trovarsi insieme dopo il lavoro, se hanno un lavoro. E’ comunque un tentativo da fare. Mettere insieme gli sposi per aiutarli a condividere un cammino di fede, le difficoltà, gli impegni. La Pastorale della Famiglia ha urgenza di ri-definirsi.

Per questo è stato indetto un doppio Sinodo, ordinario e straordinario, che ha avuto come oggetto la famiglia e, come risultato, l’Esortazione Apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia” di Papa Francesco. Quest’anno, sia a livello presbiterale che a livello comunitario, in Diocesi cercheremo di intrecciare l’Evangelii Gaudium con l’Amoris Laetitia in un cammino di conoscenza e di riflessione condivisa che ci aiuti ad elaborare una Pastorale che includa tutti nella verità e nella misericordia. La sfida è vivere la famiglia come Chiesa e la Chiesa come famiglia dove, a partire dalla richiesta del Battesimo, ogni circostanza diventi occasione di una evangelizzazione per l’edificazione, nella fraternità, di piccole ma credibili comunità cristiane. Dalla interrelazione tra la “Famiglia come Chiesa” e la “Chiesa come Famiglia” scaturisce un metodo che è stato decisivo nella prima evangelizzazione e torna oggi di particolare attualità per una evangelizzazione rinnovata: la Pastorale di Famiglia deve essere ben curata, ma il modo migliore di realizzarla è fare a monte una “Pastorale di Famiglia”, ossia una Pastorale che miri a promuovere la dimensione-famiglia che caratterizza la Chiesa stessa. E’ qui il punto di leva. Più cresce il senso della Chiesa nel suo rapporto con Cristo, al punto di prevedere anche cristiani celibi e vergini “per il Regno dei cieli”, più si ravviva il senso della stessa famiglia coniugale, che dalla Chiesa- Famiglia attinge forza per affrontare le sue fatiche e non arrendersi alla sklerocardia sempre in agguato, contrastando una visione accomodante e labile del matrimonio, lontana sia dal progetto originario del Creatore che dalla configurazione sacramentale ad esso data da Cristo. In altri termini, costruire comunità cristiane, piccole e significative, come famiglie di cristiani e famiglie cristiane, significa costruire luoghi dove le umanità di tutti, evangelizzate, diventano luoghi belli di vita comunitaria. A questo proposito è significativo ricordare quanto osservava il cardinale Kasper: “Abbiamo bisogno di grandi famiglie di nuovo genere. Perché le famiglie nucleari possano sopravvivere, devono essere inserite in una coesione familiare che attraversa le generazioni, nella quale soprattutto le nonne e i nonni svolgano un ruolo importante, in cerchie interfamiliari di vicini e amici, dove i bambini possono avere un rifugio in assenza di genitori e gli anziani soli, i divorziati e i genitori soli possano trovare una sorta di casa. Le comunità spirituali costituiscono spesso l’ambito e il clima spirituale per le comunità familiari” (cfr. W.Kasper, “il Vangelo della Famiglia”, Queriniana). Come vostro vescovo, suggerisco per quest’anno, di dare avvio così come emerge dalla maggior parte dei gruppi di studio, ad una catechesi sistematica degli adulti-famiglie. Nelle modalità e nei tempi che ciascuna comunità troverà opportuni, vengano svolti incontri di catechesi comunitaria per famiglie, adulti, persone sole, operatori pastorali, tutti insieme per costruire comunità fraterne (cfr. J.Ratzinger, “La fraternità cristiana”, Queriniana). Una proposta che ritengo valida per l’evangelizzazione degli adulti in tutte le comunità è seguire l’itinerario biblico Shalom, di Giuseppe Florio, perché mette insieme Bibbia, kerigma, mistero pasquale.

Ora tutti al lavoro: gli uffici Pastorali si incontrino. L’Azione Cattolica si incontri, le Aggregazioni e i Movimenti si incontrino per tradurre in una “Agenda Pastorale” tutto ciò che vogliamo vivere quest’anno, evitando sovrapposizioni di date. Tutto questo lavoro sarà coordinato dal Vicario per la Pastorale, don Giovanni Maurello. Anche se è faticoso “camminare insieme”, la sinodalità dev’essere il “sine qua non”. Condivido l’affermazione di Piero Coda secondo cui “nel concetto di sinodalità si intende indicare la dinamica specifica del cammino della Chiesa nella storia, quale espressione adeguata di quel soggetto comunitario che viene escatologicamente istituito, in Gesù Cristo, come Popolo di Dio, votato alla testimonianza dell’avvento del Regno tra tutti gli uomini”. Il nostro sogno condiviso consiste nel trasmettere, senza mercificazione alcuna, il Vangelo che non può e non deve percorrere la traiettoria dei prodotti comprati e venduti, né essere valutato in base all’audience che riesce a suscitare. L’evangelizzazione non sia mai dominato, come dice E.Bianchi “dalla logica dell’apparire, dell’efficacia, del consenso, o dalla volontà di creare condizioni in cui la Chiesa conti e condizioni il cammino della società: ciò contraddice l’Evangelo, si risolve nel rifiuto degli uomini e non può che accrescere l’afasia dei cristiani impegnati nella testimonianza”.

Recuperiamo coraggio e dinamismo, creatività e innovazione, aiutandoci e aiutando a far rinascere la bellezza dell’esperienza cristiana. Ma ci vuole unione! Ci vuole tempo! Ci vuole preghiera!

Custodiamo l’Evangelo nei vasi d’argilla che siamo noi, consapevoli che esso è per tutti gli uomini e le donne. Rallegriamoci della Parola di Dio che va prima testimoniata con la vita e poi comunicata. Questa è l’evangelizzazione di una Chiesa capace di generare martiri: sì, questa è evangelizzazione di martiri!

Una convinzione non ci abbandoni mai: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5).

A voi tutti, che siete popolo di Dio in Cassano allo Ionio, dico con fermezza: entusiasmatevi, siate innamorati di Cristo e sarete fecondi. Sentiamo insieme l’ebbrezza dell’ora in cui lo Spirito parla e non opponiamo barriere di divisione tra noi che impediscano le meraviglie che Dio opera in ciascuno e attraverso le nostre scelte condivise. Rimbocchiamoci le maniche e…andiamo. Il Risorto ci sarà compagno del nostro andare e si farà riconoscere. Buon lavoro!

Cassano all’Jonio, 16 Settembre 2016

 don Francesco Vostro Vescovo