Omelie

II Domenica di Quaresima anno B


Gn 22,1-2.9a.10-13.15-18; Sal 115; Rm 8,31b-34; Mc 9,2-10

 

25Febbraio2024

 

“Lungo il cammino della vita non è sempre facile capire dove Dio ci stia portando. Ci sono passaggi decisivi nei quali non ci resta che consegnare a Lui i nostri desideri. Come su un sentiero di montagna, a volte ci ritroviamo dentro una nube, dove predomina il sentimento dell’incertezza e della solitudine. Quante volte ci siamo fermati attoniti, incapaci di capire il senso di quello che stava accadendo, ci siamo chiesti probabilmente perché il Signore ci avesse portato proprio là, dentro situazioni incomprensibili. È quaresima non solo nelle settimane che ci preparano alla Pasqua, ma tutte le volte che ci sentiamo morire, per tutte le volte che aspettiamo di risorgere” (padre Gaetano Piccolo, SJ).

E l’esperienza della trasfigurazione dà proprio un senso a questi passaggi della vita nei quali ci sentiamo incerti, impauriti e smarriti.

E’ proprio lungo questo itinerario di vita che Gesù ci fa cogliere, al di là di ogni apparenza, il senso vero e autentico di ciò che stiamo vivendo. Gesù ha da poco comunicato alla sua comunità itinerante che, con consapevolezza, si sta dirigendo con loro verso Gerusalemme dove soffrirà e sarà ucciso.

Di fronte a questa prospettiva dolorosa, i discepoli sono sfiduciati, scoraggiati, senza speranza, smarriti, ed ecco il senso dell’esperienza della trasfigurazione sul monte, esperienza di anticipazione della resurrezione, una esperienza di incoraggiamento, una iniezione di fiducia e di apertura al vero senso di ciò che accadrà a Gerusalemme.

L’evangelista Marco ci dice che “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, da soli”.

Puntualizza Enzo Bianchi: «Gesù prende e porta in alto, con sovrana e libera iniziativa, i tre discepoli più vicini a lui, facenti parte del gruppo dei Dodici ma separati dagli altri in alcune occasioni, per essere testimoni privilegiati di esperienze uniche: la resurrezione della figlia di Giairo (cf. Mc 5,37-43), la trasfigurazione e poi la de-figurazione, l’agonia al Getsemani (cf. Mc 14,32-42). Tre situazioni vissute da Gesù in disparte, in una solitudine condivisa solo con i tre prescelti per entrare nella sua intimità con il Padre. Si potrebbe dire che Gesù se li carica sulle spalle e li porta in alto, su un monte, luogo della rivelazione di Dio e della sua teofania; monte che la tradizione antica ha individuato nel Tabor (Tab ‘or, “vicino alla luce”)».

Ed ecco la rivelazione: “Gesù fu trasfigurato (passivo divino) davanti a loro”. Dio, il Padre, muta le sembianze umane e visibili di Gesù, in modo che Egli sia visto diversamente.

L’evangelista Matteo cerca di descrivere questa trasformazione scrivendo che “il suo volto brillò come il sole” (Mt 17, 2).

Luca attesta che “L’aspetto del suo volto divenne altro” (Lc 9, 29, mentre Marco con molta discrezione attesta il mutamento avvenuto, dichiarando che “le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche”.

Ci troviamo di fronte al mistero da contemplare, senza alcuna pretesa di spiegarlo e di narrarlo.

Ciò che è avvenuto resta indicibile, e anche quando i padri della Chiesa interpreteranno questo biancore splendente ricorrendo alla metafora delle “energie divine increate”, presenti nel corpo di Cristo, approfondiranno il mistero ma non lo descriveranno. Il bianco è il colore della luce, è il colore del mondo celeste (cfr. Dn 7,9), del cielo aperto, e nulla sulla terra vi si avvicina o può produrlo. Sono le creature del cielo, gli angeli a essere luminosi, vestiti di bianco, e solo Mosè ha avuto un volto luminoso che rifletteva la luce, avendo visto Dio, Colui che era la luce (cfr. Es 34,29-35). Gesù non riflette la luce di Dio, ma grazie all’azione del Padre è luce divina, è la luce del Figlio amato (cfr. Enzo Bianchi).

In questa esperienza indicibile si rendono presenti Elia e Mosè che conversano con Gesù. Elia è colui che secondo la visione profetica di Malachia precederà la venuta del Signore (cfr. Ml 3, 23-24), e Mosè, il profeta escatologico cui va rivolto l’ascolto (cfr Dt 18, 18), che diventano i testimoni di Gesù. Entrambi rappresentano la profezia e la legge, che riconoscono in Gesù il compimento.

Gesù, come attesta la voce venuta dal cielo è il Figlio, l’amato, al quale deve andare l’ascolto. La conversazione tra Gesù, Elia e Mosè è tutta un dialogo di concordanze, di convergenze, di compimenti.

Il messaggio che si evince è dossologico cioè a gloria di Dio !

In questo contesto nel quale tutto è coinvolgente, una vera e propria esperienza di seduzione mistica, Pietro interviene dicendo a Gesù: “Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”.

Pietro è talmente contento di questa esperienza di bellezza e di beatitudine che vorrebbe “eternizzarla”, almeno prolungarla. E come dargli torto?

Indubbiamente Pietro balbetta prendendo la parola, non sa bene cosa dice, è in preda di una esperienza che probabilmente gli ha fatto perdere i sensi ma lui, come sempre, osa.

E mentre accade tutto questo, venne una nube, è la nube della Shekinah, della Presenza; è la nube che stava sul Sinai, che aveva guidato il popolo di Israele nel deserto e che aveva riempito il tempio di Gerusalemme fissandovi la dimora di Dio. Ora è qui che avvolge i tre discepoli e fa ascoltare loro una parola che deve accompagnarli sempre, soprattutto quando vivono momenti di difficoltà e di incertezza: “Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questo è il figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» (cfr. Sal 2, 7; Gen 22, 2; Dt 18, 18)”.

Se nell’esperienza battesimale nel Giordano la voce del Padre era rivolta solo a Gesù, qui, invece, la rivelazione è per i tre discepoli, che sono chiamati a capire fino in fondo l’identità di Gesù: Gesù è il Figlio, è veramente l’unico figlio amato, e a Lui va l’ascolto.

“E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro”.

Il racconto dell’esperienza della trasfigurazione termina così in modo brusco. I discepoli guardandosi attorno non vedono più nessuno se non Gesù, il Gesù tutto umano che avevano sempre visto, il loro Maestro che avevano seguito. Si ritorna alla realtà, ma quella esperienza della trasfigurazione resterà sempre nei loro cuori, che si renderà più chiara nella sua interpretazione dopo la Pasqua, resterà sempre nei loro cuori.

Se nella I Domenica di Quaresima abbiamo contemplato Gesù provato, in tentazione, in questa II Domenica opportunamente la Liturgia ci chiama a contemplare Gesù trasfigurato nella gloria del Padre. Queste due Domeniche di Quaresima sono la memoria dell’agonia di Gesù nell’orto degli ulivi e della sua resurrezione dai morti.

Con Pietro e gli altri discepoli seguiamo Gesù, alla sua sequela, per imparare ancora oggi e sempre meglio l’alfabeto, la grammatica e la sintassi della vita di Gesù.

Essere cristiani, ieri, oggi e domani, consisterà nel mettersi alla sequela di Gesù sempre sul passo degli ultimi per imparare da Lui ad avere i suoi stessi sentimenti.

“Scendete nella valle, vivete nel mio amore

da questo capiranno che siete miei fratelli.

Parlategli di me, arriveranno al padre,

se li saprete amare la strada troveranno.

RIT. Ma il vostro posto è là, là in mezzo a loro,

. l’amore che vi ho dato portatelo nel mondo.

Io sono venuto a salvarvi dalla morte,

mio padre mi ha mandato ed io mando voi.”

(Il vostro posto è là, C. Chieffo)

 

Buona Domenica.

   Francesco Savino

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