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 “Il pane che a voi sopravanza è il pane dell’affamato” Riflessione di S.E. Mons. Savino per la VI Giornata Mondiale dei poveri


VI  Giornata Mondiale dei Poveri

13 Novembre 2022

 

«Il pane che a voi sopravanza è il pane dell’affamato;

la tunica appesa nel vostro armadio è la tunica di colui che è nudo;

le scarpe che voi non portate sono le scarpe di chi è scalzo;

il denaro che tenete nascosto è il denaro del povero;

le opere di carità che voi non compite sono altrettante ingiustizie che voi commettete».

— San Basilio Magno.

 

Caro Francesco,

scrivo questa mia all’indirizzo del tuo cuore affinché si posi lieve, come una carezza, sul tuo animo sofferente. Scrivo a te Lucrezia, a te Guglielmo, a te Gianni e proprio a te Agnese, a voi tutti e tutte che avete un selciato nel cuore, delle pieghe e delle piaghe che l’occhio non scorge, quell’anima rotta che vorrei ricomporre in una lusinga di eternità che vi restituisca la giusta pace e la giusta dignità. A te Domenico dedico questi pensieri che fluiscono dal cuore senza la paura che la retorica li soffochi perché, quando a parlare è il cuore, nessun discorso è artificioso o falso. Scrivo a ciascuna e a ciascuno di voi, in occasione di questa VI giornata mondiale dei poveri per ricordarmi che siete, tutti e tutte, quegli affamati a cui spetta il pane che sopravanza, proprio come dicono le parole di San Basilio Magno che, in questi ultimi giorni, ho riletto ed impresso nei miei pensieri. Le parole di questo padre della chiesa sono profetiche perché ci dicono come la prosperità della vita possa essere, per molti, occasione di tentazione. San Basilio ci insegna, con poche audaci parole, che cosa è la circolarità e la giusta distribuzione delle ricchezze. “Se ciascuno si prendesse ciò che è necessario per il suo bisogno e lasciasse il superfluo al bisognoso, nessuno sarebbe ricco e nessuno sarebbe bisognoso”[1]. A tal proposito, mi sono chiesto quale fosse il senso della memoria di questo giorno che si celebra in un tempo così strano, così fragile che a parlarne sembra si spezzi, un fuscello che si piega al vento, una foglia che danza prima di toccare il suolo. Proprio questo tempo, di silenzio sotto attacco, di solitudini troppo rumorose ed individualità irrispettose, mi ha spinto a cercare un senso ed a ripensare alla povertà come ad una ambizione e non, come spesso accade di intenderla, come ad un impedimento. Siamo spinti, forse per un bizzarro intoppo culturale, a rileggere la povertà in numeri, percentuali, potenzialità e fragilità economiche e non ci rendiamo conto che parliamo dei poveri senza parlare ai poveri, dopo averli ascoltati. Questo perché la povertà sembra essere un abito scomodo e sgualcito, un’etichetta che ci scontenta, un pezzo di dignità in saldo che non ingolosisce nessun acquirente. Non abbiamo capito niente. Non abbiamo capito che, come intuiva con brillante sensibilità il Venerabile don Tonino Bello, la povertà è una carriera, per giunta tra le più complesse o forse in assoluto la più difficile tanto che Gesù stesso ha voluto riservarsene l’insegnamento. Gesù che è il poeta della carità ci ha insegnato e ci insegna che i poveri sono poesia senza versi, un richiamo di intimità così potente, al punto che egli stesso, dice San Paolo, da ricco che era ha deciso di farsi povero per voi (Cfr 2 Cor 8,9).

In occasione di questa giornata, infatti, Papa Francesco ha voluto iniziare il suo messaggio proprio con queste parole esortandoci a fare discernimento su tutte le povertà del momento presente, a censirle, a dar loro un nome e a non dimenticarne alcuna. Sì, tutte le povertà. Perché non è solo e semplicemente povero chi non ha soldi, non è povero solo chi non ha il pane. Più povero è chi ha abbondanza di ogni bene materiale e nessuno con cui condividere una carezza alla sera. Forse sarebbe più opportuno che noi tutti ci dicessimo impoveriti più che poveri perché ci stiamo privando di quello spazio nel cuore per accogliere il prossimo, per andargli incontro in maniera concreta, perché negli occhi del povero c’è Gesù, perché non c’è amore senza accoglienza e condivisione. Accogliere è sinonimo di evangelizzare, e l’accoglienza è il sostantivo più prossimo alla condivisione, senza lo scudo di una ideologia ma con una potente identità che ogni giorno dovrebbe portarci a fare un esame di coscienza personale e comunitario e a domandarci se la povertà di Gesù Cristo è la nostra fedele compagna di vita.

Ci siamo così focalizzati nel determinare poveri coloro che non sanno come sfamarsi (che sono pur sempre, dolorosamente poveri) da dimenticare le altre forme di povertà che la contemporaneità ci sta palesando. Sono poveri gli uomini e le donne che vivono in solitudine e coloro che la provocano; sono poveri quei giovani che sprecano la loro vita dietro l’incertezza del futuro; sono poveri quegli adulti che hanno smesso di sognare; quei bambini che scappano dalla guerra; quelli che si arruolano inconsapevolmente; quelli che costruiscono barricate e che le distruggono; quegli uomini e quelle donne che spendono l’intera vita ad inseguire il successo dimenticando quanto valga una domenica in famiglia. Per questo ho pensato di scrivervi chiamandovi per nome, nomi di fantasia certo, ma nomi nei quali ciascuno e ciascuna di voi possa riconoscersi come portatore e portatrice di una missione: la povertà.

Una missione che, ispirandomi al compianto vescovo di Molfetta, don Tonino Bello, va appresa e va insegnata, va trasmessa come fosse un’educazione e va allenata per scolpirla robustamente nell’anima. E tutti noi, quanto siamo allenati alla povertà? Quanto siamo stati educati ed educhiamo all’essere poveri? Quando saremo liberi di rinunciare a viverla come una condizione irrisolvibile e vergognosa e disposti ad assumercene la responsabilità dell’insegnamento? Quando ci assumeremo la consapevolezza di fare della povertà un annuncio di salvezza, una vocazione da custodire, quella “categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica”.[2] Ricordiamoci sempre che Dio concede ai poveri la sua prima misericordia e, come cristiani, siamo chiamati a vivere con e nel cuore di Dio una spiritualità incarnata che ci aiuti a colmare le distanza con il mio altro senza lo spettro di una fratellanza subalterna ed irriconoscibile.

Sento spesso parlare dei poveri come degli invisibili, qualcuno che si muove tra le maglie del mondo con muta sensibilità e silenziosa dignità. E’ vero, spesso coloro che sperimentano la povertà vivono in sordina rispetto al mondo, stendendo i panni della dignità sotto il sole e ricamando nell’ombra la fame della giustizia. Come un lenzuolo bianco, quella dignità si asciuga al vento del riscatto e restituisce un profumo di pulito, come quello che ci capita di sentire, in estate, passeggiando per le viuzze nascoste dei nostri paesi  osservando i panni stesi alle carezze del sole.  La povertà è come un lenzuolo bianco da stendere con orgoglio, perché profuma di annuncio, di rinuncia liberatoria come quella di Gesù che depose le vesti per mettersi al servizio. Ma è anche denuncia (per recuperare le tre regole della povertà delineate da don Tonino Bello -annuncio, rinuncia, denuncia), perché non ci può zittire, ci deve spingere a raccontare e raccontare ancora dell’imperdibile squarcio d’estate che svolazza nel candore di un lenzuolo pulito. Tutto questo ci riguarda in prima persona e non a caso il primo destinatario di questa lettera sono proprio io, Francesco, perché come Gesù, che non ha demandato nessuno nella sua missione di povertà, così io non posso che abbracciare la sua profezia vera ed autentica e farmi io stesso annuncio, rinuncia e denuncia dei poveri. Sono felice che questa giornata Santa ricada proprio in occasione del mio compleanno che ho scelto di vivere con voi che siete così tanto cari al mio cuore. Per voi, il mio amore sarà sempre come quel lenzuolo bianco che sventola dignità negli occhi di una giocosa estate ed emana il profumo di salvezza alle anime che sanno coglierla ed accoglierla.

Con amore sincero e profondo,

   vostro Vescovo

    + Francesco                   


                                

[1] Omelia sul detto secondo Luca: “Distruggerò i miei granai e ne costruirò di più grandi” – San Basilio Magno

[2] Papa Francesco Evangelii Gaudium, 198