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LE FARFALLE NON VIVONO NEL GHETTO


 

«Noi siamo la nostra memoria,

noi siamo questo museo chimerico di forme incostanti,

questo mucchio di specchi rotti»

(Jorge Luis Borges)

 

Le farfalle non vivono nel ghetto

 

… Ad Auschwitz c’era la neve

Mentre viaggio su un treno che da Roma mi riporta in Calabria, per i miei soliti impegni con la Presidenza ed il Consiglio permanente della CEI, mi soffermo a guardare dal finestrino quanto siano incoerenti i mutamenti di una stagione ed i miei occhi si riempiono di meraviglia alla “magia dei trafori”. Vi si entra lasciando una sospettosa primavera e si esce a grande velocità, scaraventati nell’inverno, immersi nella neve, circondati da paesaggi fiabeschi e gentili. Sembra quasi che una semplice galleria possa collegare due mondi diversi ed entrando ed uscendo mi sento diverso anche io, disorientato, assetato, alla ricerca di un punto di continuità tra ciò che ho intorno ed il mio paesaggio interiore. Osservare la neve che dipinge i contorni del Monte Pollino, mi ha fatto pensare a quella canzone di Francesco Guccini dal titolo “Auschwitz” e per questo motivo ho preso la carta e la penna ed ho iniziato a buttare giù qualche pensiero coerente, in occasione della Giornata della Memoria. Non voglio cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che unicamente imputi l’orrore della Shoah alla tracotanza di una ideologia; vorrei che a parlare fosse il mio cuore e la vista di queste distese bianche, ormai così rare da vedere a causa dei cambiamenti climatici, mi ha servito la giusta ispirazione. Mentre penso alle fotografie dei vostri bimbi, così felici nel rotolare nella neve, penso anche agli inverni di tanti bambini che hanno subìto l’orrore di Auschwitz, a quanto quella neve che ai nostri bimbi appare soffice e rassicurante, fosse per loro un atto di coraggio, l’ennesimo incomprensibile ed ingiusto ostacolo da superare, la prova che piccoli corpicini sopportassero il freddo, senza rotolarvici dentro, magari bevendola per dissetarsi.

 

Auschwitz è tutto ciò che non deve essere più

Non voglio che questa immagine così tanto triste vi allontani troppo dal cogliere la bellezza della natura che questa stagione ci sta regalando; vorrei solo che attraverso questa, seppure ingiusta comparazione, vi ricongiungiate al senso ed al valore della memoria. La memoria sta sull’uscio della nostra esistenza e se sfamata, tiene lontano dalla porta del nostro cuore, i lupi affamati dell’insignificanza. Questi lupi sono sempre in agguato e si cibano della nostra frenesia per restituirci la carcassa dell’insensibilità e dell’incuria, il filo spinato che confina la nostra umanità e che punge la nostra anima, quando dimentica. Una profonda amnesia lacunare che sembra ci venga imposta dalla vita stessa, dai suoi ritmi, dalle sue pretese. Così accade che ad un tratto, quando ci si ferma per forza, con qualcosa di semplice come la neve, la memoria diventi riscatto, un germoglio di (r)esistenza, un evento minuscolo quanto la nascita di un seme ma col profumo di una ostinata primavera.

 

La tragedia vera è la dimenticanza.

Io non voglio dimenticare l’orrore dell’Olocausto perché, come ha scritto Primo Levi “la peste si è spenta ma l’infezione serpeggia” e può diventare la camera blindata di una nuova Shoah, con forme all’apparenza meno violente ma ugualmente meschine e discriminatorie. Oggi mi dico, osservando questa neve, che questo candore sarà sempre un po’ sporcato dalla memoria, granitica e dolorosa, di una pagina di storia che ha massacrato le coscienze, anche quelle di coloro che non se ne sentono colpiti.

I nostri pensieri, le nostre azioni, le nostri voci, devono servire a questo: a non accettare il passato con rassegnazione ed indifferenza e a non ritenerlo un qualcosa passato per sempre. Il passato è quelle scarpette rosse, pietra di inciampo per quei nostri giorni in cui a bussare è la dimenticanza.

Il passato è come questa neve che scende soffice ma si posa e pesa. E noi, noi siamo anche fragili come questi fiocchi, siamo anche un mucchio di specchi rotti, un museo chimerico di forme incostanti ma… con un cuore pensante.

Per questo NON SI DEVE DIMENTICARE.

Il mio cuore, oggi, coccolato da questa neve ha le ali… come una farfalla ma, le farfalle non vivono nel ghetto.

 

La farfalla

L’ultima, proprio l’ultima,
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una roccia bianca
così gialla, così gialla!

L’ultima
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo. 
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana
di ghetto: i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere del castagno
nel cortile. 
Ma qui non ho visto nessuna farfalla. 
Quella dell’altra volta fu l’ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.

 

PAVEL FRIEDMAN, LA FARFALLA

Pavel Friedman visse in Repubblica Ceca sotto il nazismo. Fu deportato nel ghetto di Terezin e da lì successivamente ad Auschwitz, dove morì. La farfalla racconta la sua vita nel ghetto, dove le farfalle – ricorda – non vivono.

 

Cassano allo Ionio, 27 Gennaio 2023

Giornata della Memoria

     ✠  Francesco Savino

  Vescovo di Cassano all’Jonio

      Vicepresidente CEI