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Lettera del Vescovo agli Operatori Pastorali della Diocesi nel giorno del mandato


Carissimi,

l’esperienza globale della pandemia, che ancora ci coinvolge, senza dubbio ha scosso questo nostro tempo con il suo carico di ansie e incertezze, ma ha anche introdotto nella vita sociale alcune nuove e impreviste sollecitazioni, che, se ben recepite, possono innescare un impulso favorevole al senso di comunità e di responsabilità condivisa. Di fatto, se proviamo a decifrare le prospettive sociali che si affacciano in questa fase di lenta uscita dal tunnel, difficilmente possiamo svincolarci da impressioni contraddittorie.
Il periodo del lockdown e i mesi successivi, segnati dal variabile andamento della curva pandemica e delle inevitabili restrizioni, hanno costretto i singoli e le famiglie a un’inedita esperienza di ripiegamento casalingo, spingendo tutti a reinventare equilibri domestici e lavorativi.  Forse ci si è anche abituati a certi ritmi rallentati, a volte pure apprezzati per il risvolto di un’inattesa comodità. Allo stesso tempo, il bisogno represso di relazioni sociali – sia di quelle autentiche, sia di quelle più effimere – ha permesso di riconsiderare il valore insostituibile del camminare, pensare, lavorare insieme. Anche le crisi sanitarie, economiche e sociali, prodotte dalla pandemia, hanno potuto fare appello a un senso civico da risvegliare e a un impegno sociale da rimettere in circolo.
Purtroppo, però, è anche vero che negli ultimissimi tempi le espressioni della voglia – o della retorica – di ripartire insieme sembrano essere poste in ombra dalle crescenti manifestazioni di tensioni sociali, aggressività, sfiducia. La società sembra così attraversata da ondate di energia, che spingono contraddittoriamente verso la voglia di riscatto o il cedimento nervoso, verso l’apertura civica o il confinamento individualista.
Ne offrono come una sorta di cartina al tornasole i ragazzi delle nostre comunità. Appaiono sempre meno persino nei luoghi di svago e nelle associazioni di tipo sportivo. Nei piccoli centri è diventato persino difficile, se non impossibile, formare una squadra di calcio. Anche nelle nostre chiese il numero dei giovani si è drasticamente ridotto.
È diventato perciò esiziale per le nostre comunità ecclesiali domandarci come stiamo vivendo questo particolare momento con i suoi dinamismi e con le sue involuzioni sociali? Li sappiamo gestire e governare o ne siamo semplicemente attraversati? Con quanta consapevolezza?
L’anno scorso, nel pieno dell’inattesa emergenza, abbiamo prontamente cercato risorse di resilienza e di creatività, per poter resistere all’urto del silenzio delle nostre chiese vuote e per aprire nuovi ponti di relazioni digitali e nuovi ambienti di incontro mediatici. Abbiamo conosciuto in molti un rinnovato entusiasmo di generosità e inventiva; in altri invece ha prevalso un rassegnato senso di attesa più o meno inerte, anche comprensibile.
Alla ripresa dello scorso anno pastorale, la parola chiave era ancora l’incertezza, ma non veniva meno la voglia di fronteggiare le difficoltà, continuando a navigare a vista tra bollettini, ordinanze, zone colorate. Tutto sommato, dal punto di vista dell’azione pastorale, la contingenza del momento presentava paradossalmente una certa facilitazione: alla fin dei conti non si poteva programmare molto, ci si poteva anche adattare a una pastorale dello schermo e delle pantofole, quando proprio necessario. E andava bene così. L’importante era che ci fosse la voglia di reagire, ma pazienza se non si poteva fare di più.
Ma oggi non può più essere così. Oggi siamo nel tempo in cui la tempesta si sta placando, possiamo riaprire la porta per uscire, ma non sappiamo ancora bene come sarà il mondo che troviamo fuori. Non abbiamo gli stessi punti fermi di prima, ma neanche sappiamo bene cosa sia effettivamente cambiato e in che cosa dobbiamo cambiare noi. Tanta esperienza e tanto sforzo di discernimento sono ancora davanti a noi. Una cosa è certa: non è più il tempo di accomodarci dietro la necessità di una pastorale “virtuale”. È il tempo di lasciare le pantofole (se mai le abbiamo sfruttate davvero). La nostra voglia di riprendere relazioni comunitarie autentiche deve vincere l’eventuale inerzia e la sensazione di provvisorietà lasciate dalla pandemia. Passiamo dalla comodità di reagire dietro uno schermo alla fatica stimolante di reagire sul campo. E insieme.
Puntiamo di nuovo tutto sul senso di comunità, più che mai generativa.
Ci può aiutare un testo di un canto del maestro Giombini, di diversi decenni fa, ma oggi più che mai attuale.  Diceva nella prima strofa:
«Lasciamo questa strada / tranquilla ed asfaltata, / la comoda poltrona / che invita alla lettura, / la facile elemosina / che non ci costa nulla, / la predica che è sfoggio di cultura».
Non era l’invito di un moralista, ma l’indicazione delle conseguenze di chi ha preso sul serio Gesù e il suo Vangelo, alla cui luce, anche Giombini, ormai da convertito, rischiarava il suo cuore oltre che le sue canzoni. Infatti il titolo di quel canto che con parole e ritmi moderni riprendeva il il Salmo 33 è: «Se cercate la luce, io so dov’è».
La seconda strofa ci aiuta nel reindirizzare la nostra vita non verso una generica socialità, ma verso Gesù riscoperto come amico, nella luce di un’amicizia che né la notte, né una pandemia potranno mai offuscare:
«È   Cristo Salvatore / che il nostro cuore cerca / è lui la luce vera / che viene in questo mondo. / È Cristo che illumina / la vita di ogni uomo / e solo in lui c’è pace, amore e gioia».
Ciò corrisponde al programma che ci eravamo dati, prima ancora di sapere cosa fosse una pandemia, e che oggi si rivela ancora più impellente. Non un “presidio topologico–istituzionale”, cioè un luogo dove ricevere solo servizi e sbrigare documenti – ci eravamo detti – ma una “autentica comunione generativa tra i figli di Dio”. Ripartiamo da quel sogno, perché “sognare insieme” – come suggerisce papa Francesco nella “Fratelli tutti” – significa davvero cambiare il pensiero e l’azione comune.
Diamo sostanza e vigore al nostro desiderio di riprendere relazioni significative nelle nostre parrocchie, cercando di favorire rapporti di accoglienza fraterna, in modo che le nostre comunità siano percepite da tutti come ambienti aperti, inclusivi e missionari.
Ma non basterà il desiderio di tornare “alla vita di prima”. Il post-pandemia, anche nelle nostre parrocchie, richiede equilibri, dinamismi, pensieri nuovi. Se siamo spinti dalla gioia del Vangelo, essa oggi orienta verso un rinnovato discernimento sulla sostanza e le forme della nostra presenza di operatori pastorali. Come tali, non possiamo limitarci ad aspettare passivamente il ritorno alla “normalità”. Semmai siamo noi che dobbiamo costruire da adesso una nuova “normalità”.
Con quale orientamento e in quale prospettiva? Più che altro, come dicevamo, lasciandoci illuminare da quel Gesù che viene certamente incontro a coloro che lo cercano. Si offre come luce egli stesso: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12) e ci coinvolge, illuminando la nostra vita e riscaldando il nostro cuore nella sua opera di portare luce e gioia nel mondo: «Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,14-16).
Siamo chiamati proprio da Gesù a essere protagonisti di missione, di dialogo, di testimonianza verso tutti coloro che possono essersi adagiati in una sorta di attendismo, e verso tutti i fratelli e le sorelle che finora sono rimasti ai margini o al di fuori delle nostre comunità, e hanno bisogno di segni riconoscibili di attenzione e di vitalità da parte nostra, perché possano sentirsi interpellati e coinvolti.
Quali scelte operare, dunque? Quali nuovi dinamismi? Quale sarà la nuova “normalità”, semmai si possa usare questo termine?
Ecco che ci viene incontro il provvidenziale contesto epocale che stiamo vivendo, segnato dalla recentissima apertura della nuova esperienza sinodale che accomuna tutta la Chiesa. Abbiamo bisogno proprio di sinodalità, di stimolare il senso di partecipazione attiva e di corresponsabilità da parte di tutti i fedeli, per un processo continuo di discernimento e verifica che goda dell’apporto di tutti. Con questo, non parliamo di trasformazione del discernimento ecclesiale in senso puramente maggioritario-decisionista, ma di effettivo senso di coinvolgimento da parte di tutti i fedeli, in modo che si sentano davvero ascoltati e preziosi. Anche le persone che non fanno parte della comunità ecclesiale o che non sono credenti, possono manifestare istanze e pensieri tali da smuovere la nostra coscienza e il nostro discernimento.
Lo spirito del discernimento sinodale potrà rivelarsi decisivo per immaginare e attuare le vie e gli stili adatti a superare la svolta della pandemia, ma non sarà solo questa la sua nota provvidenziale. La sinodalità, messa alla prova anche dal particolare discernimento richiesto oggi, potrà finalmente entrare in modo determinante nell’autocoscienza delle nostre comunità, diventarne una qualità essenziale, e non solo uno stato occasionale e straordinario.
Coraggio, allora, cari fratelli e sorelle. Grazie, grazie di cuore per la vostra sollecitudine. Grazie per esserci, nel fare chiesa insieme, nel pensare insieme, nell’accettare la missione comune di diffondere la gioia del Vangelo in un contesto di nuove sfide. Grazie per il vostro coinvolgimento che supera le inerzie e le abitudini. Grazie per l’offerta dei vostri suggerimenti, del vostro tempo, del vostro impegno. Soprattutto della vostra preghiera.
In comunione vicendevole, invochiamo la Vergine Maria, Sposa dello Spirito Santo, perché i nostri intenti e le nostre opere convergano oggi lungo l’itinerario di sequela che vi viene tracciato da Cristo Buon Pastore. Egli ci apra le nuove strade che non riusciamo ancora a intravedere; ci conceda la forza e l’entusiasmo per percorrere i sentieri aperti, il coraggio di abbandonare le vie ormai divenute sterili, l’amore per perseverare sostenendoci gli uni gli altri, la gioia di accogliere nuovi fratelli e sorelle lungo il cammino.

 

                                    Vostro

                  ✠ don Francesco, Vescovo

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