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Lettera di Avvento e di Natale 2023 – Mons. Francesco Savino


Fratelli, siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.

Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male.

Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo!

(1 Ts 5, 16-24; 3a domenica di Avvento / B)

 

Carissime e carissimi,

 

quando è stata l’ultima volta in cui vi siete fatti guidare da un navigatore satellitare?

Non vi aspettavate questa domanda all’esordio di una lettera sull’Avvento, ma arriverò presto al dunque.

Allora, facciamo mente locale: ti hanno invitato a cena in quel locale caratteristico, un agriturismo incantevole, ma un po’ fuori mano. Non ci sei mai stato prima, eppure non ti sei fatto alcun problema: non ti sei messo a studiare il percorso, non hai dovuto stimare il tempo necessario per arrivare, non hai chiesto informazioni. Hai dato il nome del locale al tuo navigatore e questo, in una frazione di secondo, ha fatto tutto il resto: un algoritmo ha valutato tutte le opzioni possibili tra casa tua e la destinazione, ha considerato il traffico e le interruzioni, ha scelto la via più comoda e più breve, e passo dopo passo ti ha dettato le indicazioni da seguire per raggiungere la meta desiderata. Comodo. E pazienza se quell’altra volta, fidandoti di lui, ti eri trovato in un’impossibile stradina di campagna e avevi temuto di non riuscire a tornare indietro. In effetti, anche l’intelligenza artificiale a volte incepparsi, ma fidarsi rimane pratico e conveniente. Ci ritroviamo un po’ tutti in questo, vero?

Bene, in fondo cosa fa il navigatore al posto nostro? Discerne. E decide. Certo, lascia a te l’ultima responsabilità, ma tu spesso pensi: perché azzardare? Seguo e basta, visto che il servizio è generalmente affidabile. Stare a delle indicazioni già pronte ti risolve sempre la fatica e il rischio di valutare e decidere. Che sollievo, che risparmio di tempo e di stress! 

Ecco, il discernimento comporta fatica e rischio: è inevitabile. Eppure, comprendiamo bene che in poche situazioni della vita il nostro compito può essere realmente affidato a qualcosa come un sistema GPS. Le scelte tra bene e male, tra bene e meglio, tra beni quasi in concorrenza fra loro e poi le determinazioni esistenziali, cioè sulle grandi direttrici della vita, ma persino molte delle più banali opzioni quotidiane non possono essere delegate. In ogni piccolo o grande discernimento, infatti, prende forma e si gioca la nostra identità. In ogni scelta di qualcosa, scegliamo chi siamo noi. Dove c’è il discernimento, lì c’è l’umano.

 

A volte può sembrare più comodo seguire delle norme prefissate di comportamento, che ci tolgano il più possibile la responsabilità di decidere. In ogni gruppo umano “si è sempre fatto così”. Una regola pronta da applicare può essere più comoda di una decisione da ponderare. Uno schema di giudizio stereotipato, un protocollo da osservare, un’abitudine da ripetere possono apparire più pratici dell’impegno a valutare la particolarità di ogni singolo caso e di ogni occasione…

Come riflette Luciano Manicardi (Incontro nazionale di spiritualità, Monastero di Bose 9.2.2018), proprio qui sta la differenza sostanziale tra Gesù e i farisei: Gesù vedeva sempre altro, oltre gli schemi. Per lui il pubblicano, il lebbroso, o la prostituta non erano dei casi per i quali una legge sufficientemente chiara risolvesse il giudizio sul da farsi: erano volti, storie singolari che mettevano tutto in discussione, richiedevano un discernimento che era unico, personale, soggettivo.  

Allo stesso tempo, ogni tradizione etica e religiosa potrebbe obiettare che la responsabilità del discernimento sembra una fuga soggettivistica rispetto alle esigenze della legge morale e dell’autentica dottrina. Del resto, prosegue Manicardi seguendo André Louf, il discernimento mira a liberare e ad ascoltare in ciascuno l’esigenza interiore, che è quella dello Spirito Santo, mai legata né esaurita da qualche legge o regolamento. Il discernimento non distrugge la legge, ma è presupposto dalla legge stessa come sua necessaria conseguenza. Ogni legge, anche umana, è per sua natura generale, ma è tesa a regolare il caso unico e irripetibile: un sano discernimento è la mediazione tra la genericità della legge e l’unicità irripetibile del reale. 

Unica e irripetibile è la nostra vita, perciò il discernimento è la facoltà necessaria a ogni persona e comunità umana per poter seguire la propria vocazione. La vita è vocazione e «la vocazione non è né un copione già scritto che l’essere umano dovrebbe semplicemente recitare né un’improvvisazione teatrale senza traccia. Poiché Dio ci chiama a essere amici e non servi (cfr. Gv 15,13), le nostre scelte concorrono in modo reale al dispiegarsi storico del suo progetto di amore» (Documento finale del Sinodo dei Vescovi sui Giovani, la Fede ed il Discernimento Vocazionale, 27 ottobre 2018, n. 78).

Carissimi, alla luce di questi spunti iniziali, vorrei ora condividere con voi alcune riflessioni sul discernimento, suggeriteci dalla liturgia della Parola di questo tempo di Avvento. Esso ci educa a riconoscere la direzione della storia della salvezza, che non si realizza in modo deterministico, ma segue liberamente la via dell’incarnazione e perciò si inoltra nei territori della contingenza, della variabilità, persino dell’indeterminatezza legate alla condizione terrena e del tempo. L’Avvento ci suggerisce che come questa grande storia, anche la nostra vita è costitutivamente protesa all’incontro col Signore che viene. Questo ‘incontro’ si realizza solo come un reciproco ‘venirsi incontro’ e quindi chiamando in causa la nostra fragile libertà di scelta. Libertà fragile, sì, ma senza la quale non saremmo persone, cioè soggetti e comunità capaci di discernere, di donarci, di amare. «L’amore si può vivere solo nella libertà. Per imparare a vivere si deve imparare ad amare, e per questo è necessario discernere» (Papa Francesco, Udienza generale, 31.8.2022).

 

  • Vegliare… 

 

 

«In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

“Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.

Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.

Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!”» (Mc 13,33-37).

Nella prima domenica, il tempo di Avvento si apre per noi con il triplice invito a vegliare, motivato per due volte dalla constatazione che noi non siamo nella condizione di sapere, di conoscere i tempi della venuta del Signore.

Lo sfondo della pericope è il discorso escatologico, che, in ciascuno dei tre vangeli sinottici corona la testimonianza sul ministero pubblico di Gesù e precede immediatamente la sezione dedicata alla passione. Nella versione di Marco, che incontriamo quest’anno, il brano costituisce il punto di arrivo dell’intero discorso: la triplice raccomandazione a vegliare conferisce alle parole di Gesù un’evidente gravità e solennità, accentuate ulteriormente dalla loro destinazione universale: «Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

In cosa consiste la vigilanza a cui tutti siamo chiamati? I monaci della comunità di Dumenza la descrivono come «la cifra riassuntiva del nostro essere cristiani nella storia» e così la declinano: «essa diventa lo sguardo attento su ogni possibile segno della presenza del Signore negli eventi; diventa capacità di assumere con responsabilità il compito affidato; diventa ricerca continua dell’essenziale, senza lasciarsi distrarre da inutili preoccupazioni; diventa lucidità di fronte alle contraddizioni e alle ambiguità della nostra storia». In tal modo la vigilanza, mentre ci fa protendere verso il Volto del Veniente, ci permette di recuperare la nostra più autentica interiorità e custodire il nostro cuore, «perché rimanga sempre agile e pronto ad accogliere la visita del Signore, sgombro da tutto ciò che ne offusca lo sguardo e ne appesantisce i movimenti».

Tale scansione dei ritmi della vigilanza ci aiuta a intenderla come qualcosa di ben diverso rispetto a un inerte «aspettare». Essa esprime una capacità di guardare con sollecitudine, con impegno, intelligenza, amore. Lo sguardo attento a riconoscere tra gli eventi i segni della presenza del Signore, l’assunzione delle proprie specifiche responsabilità, la separazione dell’essenziale dal superfluo, la chiarezza nel distinguere le contraddizioni e le ambiguità: sono tutte azioni proprie del discernere. La vigilanza è in buona misura attività di discernimento sollecita, accurata, operosa, animata dalla saggezza e dall’amore.

Nell’orizzonte della vigilanza, il brano evangelico ci aiuta così ad inquadrare meglio il tema del discernimento. L’invito a vigilare nell’attesa del ritorno del “padrone di casa” contiene infatti due elementi da porre in risalto: dedicare tutta la nostra sollecitudine alle necessità della casa e questo nella prospettiva della venuta del Signore. Il tempo e l’eternità, la storia e il suo compimento si intrecciano, così, nell’animo dei servi operosi.

La prospettiva dell’Avvento non interviene come una minaccia, ma eleva la quotidianità e la contingenza dell’impegno umano a tutta la sua pienezza di senso: la vigilanza comporta il sano discernimento su tutto ciò che qui e ora è sensato e indirizza fedelmente verso l’incontro con il Signore che viene. Discernere significa, in ultima analisi, valutare e decidere in direzione del senso ultimo e pieno della nostra umanità, che si rivela in Cristo, Alfa e Omega. 

 

  • Preparare… raddrizzare…

 

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.

Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 

Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.

Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo» (Mc 1,1-8).

Dopo averci orientati verso la definitiva venuta del Signore, il tempo di Avvento ci riconduce nel deserto, il luogo del primo amore tra Israele e il suo Dio. Nella seconda domenica emerge la figura di Giovanni Battista, la voce che nel deserto si eleva per preparare le condizioni dell’incontro.

Il messaggio di Giovanni si situa in un contesto di provvisorietà e di definitività, di attesa e di compimento, di preparazione e di pienezza. Il deserto è, anzitutto, il luogo provvisorio dell’esistenza, lo spazio e il tempo da vivere e da attraversare, emblema della temporaneità dell’esistenza terrena. Anche il cibo e il vestito di Giovanni sono espressione dello stato del viandante, che dipende dalle precarie ed estemporanee risorse. La sua parola chiama il popolo al passaggio della conversione, alla scelta tra una esistenza consumata da ciò che è momentaneo e una vita tutta consegnata a Colui che battezza in Spirito Santo. Giovanni chiede di preparare le strade a Colui che viene. La sua venuta è indicata come compimento dell’attesa, come evento di salvezza. Eppure, l’irruzione del volere divino di salvezza non giunge dal cielo, ma percorrendo strade polverose di deserto, strade che devono essere preparate dal basso. «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri»: il grido di Giovanni sprona a tutto un lavoro da compiere, affinché l’incontro tra il cielo e la terra, tra il provvisorio e il definitivo, si realizzi. 

Giovanni fa uscire così dal torpore di un’attesa divenuta ormai troppo vaga e sopita, per poter animare i cuori. L’attesa ora è risvegliata, ma attendere non basta, occorre disporsi, convertirsi, preparare. La vita umana può riprendere a muoversi, può avere la sua direzione da seguire.

E così l’annuncio del Battista ora giunge a noi, spesso smarriti nel deserto e privi anche di quel debole senso di attesa che pur rimaneva nel fondo dei cuori di Israele. Ora a noi Giovanni dice che la storia non è una prigione senza senso: la realtà è aperta e tutta orientata alla Venuta del Signore. Sta a noi, annuncia Giovanni, preparare la strada, raddrizzare il sentiero. Accogliere l’invito di Giovanni alla conversione ci permette di risvegliare il nostro desiderio di riprendere a cercare, di vagliare ogni cosa e tenere ciò che è buono, per seguire ciò che è giusto.

Il discernimento è infatti una fatica che richiede desiderio, passione, spinta verso ciò che è vero, buono e bello: non può essere condotto da uno spirito spento, che si abbandona nel mondo del momentaneo e dell’effimero. Il discernimento è il dinamismo di chi risorge dalla polvere e va incontro al Signore, accettando la fatica di un cammino che non si compie in modo trionfale e istantaneo, ma richiede la pazienza di impolverarsi, di lavorare, di soffrire anche, pur sempre con l’ardore che accende il cuore di speranza. 

 

  • Interrogare… testimoniare… confessare… 

 

 

Venne un uomo mandato da Dio: / il suo nome era Giovanni. / Egli venne come testimone / per dare testimonianza alla luce, / perché tutti credessero per mezzo di lui. / Non era lui la luce, / ma doveva dare testimonianza alla luce.

Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».

Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».

Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando (Gv 1,6-8.19-28).

 

Conoscere se stessi – l’onesto sguardo riflessivo, la giusta autovalutazione, la corretta comprensione di sé – è la più difficile scienza da esplorare, ma anche il cuore di ogni conoscenza. Ce lo testimoniano sia la cultura classica – che ha un suo emblema nel socratico “conosci te stesso”, già scolpito nel tempio di Delfi – sia il pensiero cristiano, significativamente rappresentato dall’invocazione di Sant’Agostino: “Fa’, o Signore, che io ti conosca, fa’ che mi conosca”.

Nella terza domenica, la liturgia dell’Avvento ci propone la chiarezza profetica di Giovanni Battista, che si distingue per la lucidità con cui tiene insieme la verità su Cristo, sul mondo e su se stesso. La profezia, che grida al mondo la venuta del Signore, parte proprio dalla lucida coscienza che il profeta ha di se stesso: egli è interpreta le Scritture per compierle e in questo non emula, ma si distingue dagli altri profeti. Soprattutto, Giovanni non modella il proprio personaggio sulle attese della gente, non specula sul fermento suscitato dal suo ministero, ma sa respingere ogni confusione che lo assimili al Cristo ed è capace di indicare con estrema coerenza l’abissale distanza che lo tiene al di qua dell’identità messianica. 

Prima di tutto, Giovanni è quindi uno che conosce se stesso. Questo saldo presupposto è criterio per saper trasmettere con chiarezza la Parola di Dio anche sul Cristo e sul mondo. 

La chiarezza di Giovanni è generata dalla Parola, non solo da un suo discernimento umano: questo fatto “teologico” deve essere riconosciuto.

Proprio la potenza della Parola, che egli accoglie e fa risuonare in se stesso senza riserve, gli permette un discernimento stringente, partecipato agli altri con una rara e passionale sicurezza: questo io non sono, questo io sono; questi è il Cristo, questo fa il Cristo; questa è la sua Parola per il mondo, questo il mondo deve fare. 

È un’energia di discernimento che non viene da una autoreferenzialità umana o da studi terreni; questa forza, questa perentorietà, è propria solo di Dio. Soprattutto, un discernimento illuminato dalla luce della Parola concerne l’essere prima del fare. Giovanni opera sì anche un discernimento morale sull’agire, offerto a tutti, ma solo come conseguenza del discernimento chiaro sull’identità propria, davanti a Dio e davanti al mondo. 

Tramite la figura di Giovanni Battista, il tempo di Avvento ci invita dunque a rientrare in noi stessi, per fare sempre chiarezza sulla nostra identità davanti a Dio e al mondo, in modo che il nostro agire non sia caotico o privo di riferimenti. «Un buon discernimento – raccomanda papa Francesco – richiede anche la conoscenza di sé stessi. Conoscere sé stesso. E questo non è facile. Il discernimento infatti coinvolge le nostre facoltà umane: la memoria, l’intelletto, la volontà, gli affetti. Spesso non sappiamo discernere perché non ci conosciamo abbastanza» (Udienza generale, 5.10.2022). 

Rientrare in se stessi è quindi il contrario di chiudersi. Significa piuttosto curare che la nostra coscienza possa accogliere sempre la luce necessaria, in modo che il nostro valutare, decidere e agire siano sempre coerenti con la Parola e con le capacità di bene che lo Spirito di Dio ha posto in noi a servizio della sua opera di salvezza. 

  1. Poter dire eccomi, ogni giorno …

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te».

A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».

Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei (Lc 1,26-38). 

Alle soglie del Natale del Signore, il Vangelo dell’Avvento ci conduce nella casa di Nazareth, e ci fa sostare contemplando con grato stupore la pronta disponibilità di Maria alle parole dell’angelo.

La risposta di Maria è non solo accogliente, ma totale. Totale nell’ascolto, nell’attenzione, nella consapevolezza, nella volontà, nell’amore. Maria accoglie la volontà di Dio con la totalità di se stessa.

Facciamo caso alle due particelle che introducono le frasi pronunciate dalla Vergine: “come” (πῶς ) ed “ecco” (ἰδού). 

La prima è un avverbio interrogativo. Maria risponde infatti all’angelo ponendo a sua volta una domanda: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. L’insieme del contesto permette con chiarezza di escludere alcune interpretazioni, che potrebbero essere compatibili con il testo preso alla lettera: per esempio, un’esclamazione di meraviglia oscillante tra sbigottimento e incredulità (“Ma come potrebbe mai avvenire una cosa del genere?”); oppure una richiesta di chiarimenti come condizione per l’assenso. Maria chiede non in vista di un assenso, ma sulla base dell’assenso immediato. Nel dire sì, Maria chiede “come” deve avvenire ciò per cui lei dona se stessa: perché possa donare totalmente se stessa, Maria sente la responsabilità di avere luce e discernimento su ciò che il Signore le chiede e su “come” ella deve partecipare attivamente alla sua volontà.

La domanda di Maria è la base di un sano e autentico discernimento.

Ella è infatti coinvolta in tutto il suo essere: cuore, corpo, anima, intelletto, volontà. Il suo discernimento, indirizzato al mistero inaudito e irripetibile che la sta avvolgendo, di certo non può essere operato solo sulla base di criteri umani già condivisi o sulla scorta di esperienze acquisite. Discernere è sempre esporsi al Nuovo. La chiarezza deve essere nella coscienza di Maria, ma il discernimento che questa chiarezza richiede può venire solo sulla base dell’ascolto della Parola di Dio e per l’azione dello Spirito Santo. Ecco allora che lei chiede di capire, chiede il “come” Dio abbia intenzione di renderla parte attiva del Nuovo che ha in serbo per tutti. 

Il termine che introduce la seconda frase di Maria – “ecco” (ἰδού) – è letteralmente una forma verbale (“vedi”, “osserva”), che tuttavia nel greco biblico è usata spessissimo come particella dimostrativa, che richiama l’attenzione su ciò che segue subito dopo. Il più delle volte, si tratta di qualcosa di nuovo, che viene rivelato e manifestato agli occhi del destinatario. Maria si manifesta e si rivela, agli occhi di Dio, come la serva totalmente disponibile alla sua Parola. In questa parola “ecco me stessa”, “eccomi”, emblema della consegna di sé alla vocazione ricevuta, c’è la piena realizzazione nei fatti della chiarezza accolta nella coscienza. L’assenso di Maria, che si è lasciata illuminare in tutto dalla Parola di Dio senza alcuna riserva, passa ora immediatamente dall’interiorità della coscienza alla concretezza della vita e dell’esistenza. 

In quell’“Eccomi”, Maria si pone davvero tutta non solo nell’intensità assoluta del momento, ma anche nell’estensione temporale del suo percorso terreno. È un sì totale che già ospita e prepara il sì di ogni giorno. 

In effetti, è proprio la quotidianità, l’ordinarietà feriale, il vero banco di prova del nostro “eccomi”. 

Così amava parlare di Maria il caro don Tonino Bello:

Santa Maria, donna feriale, 

aiutaci a comprendere che il capitolo più fecondo della teologia non è quello che ti pone all’interno della Bibbia o della patristica, della spiritualità o della liturgia, dei dogmi o dell’arte. Ma è quello che ti colloca all’interno della casa di Nazareth, dove tra pentole e telai, tra lacrime e preghiere, tra gomitoli di lana e rotoli della Scrittura, hai sperimentato, in tutto lo spessore della tua antieroica femminilità, gioie senza malizia, amarezze senza disperazioni, partenze senza ritorni. 

Santa Maria, donna feriale, 

liberaci dalle nostalgie dell’epopea e insegnaci a considerare la vita quotidiana come il cantiere dove si costruisce la storia della salvezza. Allenta gli ormeggi delle nostre paure, perché possiamo sperimentare come te l’abbandono alla volontà di Dio
nelle pieghe prosaiche del tempo e nelle agonie lente delle ore. E torna a camminare discretamente con noi, o creatura straordinaria innamorata di normalità, che prima di ess re incoronata regina del cielo, hai respirato la polvere della nostra terra. 

 

Paradossalmente, può essere più facile il sì eroico di un momento di straordinaria donazione di sé, rispetto alla perseveranza fedele e quotidiana che si gioca nella normalità dell’esistenza. Maria è la donna del sì totale e feriale. Dal momento in cui “l’angelo si allontanò da lei”, iniziò per Maria quel “sì del giorno dopo”, che ella avrebbe sempre confermato e in cui si sarebbe inoltrata custodendo ogni cosa nel suo cuore.

Modello per noi, chiamati spesso a un servizio, tanto più ricco d’amore quanto più appare ripetitivo, umile, nascosto, perseverante. Modello di novità che sempre si rigenera, non sia abitudine stanca, ma di esposizione a quel Dio sempre giovane, sempre Bambino.

 

  • “Eccomi”: una parola pronunciata nel silenzio

 

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.

Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.

Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio (…).

Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.

Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore (…) (Lc 2,1-7.16-19).

L’eccomi pronunciato da Maria nella quiete della casa di Nazareth riecheggia, silenzioso ma potente, presso la mangiatoia di Betlemme.

La liturgia della veglia e dell’aurora del Natale conduce anche noi a contemplare adoranti il mistero che si compie.

In tutta la sezione della natività, Maria non pronuncia parola. Vive e compie quanto le è stato affidato. Contempla ciò che avviene attorno al Bambino e ascolta quanto i pastori dicono di lui. Custodisce e medita ogni cosa. Continua a vivere e adempiere il mistero che il Signore ha posto in lei.

Lasciamoci conquistare il cuore da questo silenzio amorevole, contemplativo e operoso di Maria! 

Questo silenzio è modello e anima di ogni discepolato. Anche la responsabilità del discernimento, consegnata a ogni discepolo, trova nell’atteggiamento di Maria il suo culmine. Dopo la domanda che Maria aveva posto all’angelo, per comprendere e accogliere appieno la volontà del Signore, ella non chiede più, non sollecita nessun’altra spiegazione, non mostra turbamenti. La riconosciamo totalmente immersa in una piena e consapevole disponibilità a lasciarsi guidare dalla Parola di Dio, che si coglie anche negli eventi della storia e nelle testimonianze dei semplici. Ella sa che il Signore le manifesterà ogni cosa, e per questo a tutto ella pone attenzione, senza lasciar cadere nulla di ciò che avviene.

Ecco, è proprio questa postura dell’animo di Maria la condizione suprema del discernimento. Un discernimento tutto finalizzato a continuare ad ascoltare, a contemplare, a meditare, per vivere ciò che il Signore continua a manifestare e rivelare. A volte parlano le parole, ma molto spesso il Signore parla attraverso gli eventi. E gli eventi della storia salvifica possono essere colti e seguiti solo da cuori che amano e contemplano.

Il discernimento di Maria, rivolto alla Parola del Signore presente nella storia, è per questo attivo, sollecito, saggio, pieno di carità. Ella non ha il fine di determinare nel suo cuore ciò che sia vero o falso, buono o cattivo, ma semplicemente di cogliere in modo limpido e chiaro ciò che viene dall’ascolto, dall’osservazione, dalla contemplazione.

Alla scuola di Maria, impariamo che il discernimento non è l’operazione a servizio dell’arbitrio soggettivo di chi pretende un qualche potere sulla verità, ma l’atteggiamento rispettoso e dinamico di chi si mette a disposizione della verità con un servizio umile, saggio, pieno di amore.

 

Conclusione

 

Carissime e carissimi,

discernere significa valutare, comprendere e decidere tutto ciò che il vero e il bene chiedono, qui e ora, alla nostra soggettività libera, unica e irripetibile. E vivere questa avventura insieme a un popolo, non cioè per separarci, ognuno per le proprie vie, ma per generare comunione e vivere un tempo messianico.

Certo, il discernimento è anche un’operazione scomoda e faticosa, proprio perché non è risolta una volta per sempre, ma chiama continuamente in causa la nostra responsabilità personale e il riconoscimento comunitario l’uno dell’altro: convivialità delle differenze. Non potrà mai esserci una sorta di navigatore satellitare in ambito spirituale, né alcuna forma di intelligenza artificiale a cui poter delegare l’onere di discernere al posto nostro ciò di cui solo la coscienza è responsabile.

Siamo dunque soli, nella fatica di discernere? Ecco, questa domanda, più che una conclusione, dona al nostro discorso un’altra apertura.

Perché qui si arriva al principio- fonte del discernimento: le sue sorgenti nella Parola e nella Grazia, il suo radicamento nella preghiera, i suoi aiuti nell’ambito comunitario e fraterno, i contributi delle conoscenze e delle esperienze umane, i guadagni della storia e dell’ambiente in cui viviamo. Attraverseremo questa pista di riflessione nella prossima lettera per la Quaresima e la Pasqua.

Nel frattempo, per intercessione di Maria Santissima, invochiamo umilmente lo Spirito Santo, perché ci conceda pensieri, desideri, propositi, impegni e opere tali da accogliere liberamente la strada che Egli ci indica e sostenerci gli uni gli altri per un cammino condiviso di testimonianza del Vangelo nella storia. Conceda a tutta la Chiesa la carità, la saggezza e il coraggio che le sono richieste nel portare sempre in avanti il suo cammino sinodale, sotto la guida di Cristo. Illumini i governanti e tutte le nazioni, perché siano capaci delle scelte e delle rinunce necessarie a garantire a questa e alle prossime generazioni prospettive autentiche di pace, insieme ad impegni seri e duraturi per il rispetto della dignità dell’uomo e dell’ambiente. Infonda nei nostri cuori la gioia di andare incontro a Cristo che viene, lasciando che la luce diffusa nella notte di Betlemme rischiari le vie di tutta l’umanità. 

 

Cassano all’Jonio, 3 Dicembre 2023

         I  Domenica di Avvento

      Francesco Savino