Omelie

Lui restas Solennità   DELLA  SS. TRINITÀ


Lui restas SOLENITÀ  DELLA  SS. TRINITÀ

Es 34, 4b-6. 8-9; Dn 3,52.56; 2 Cor 13, 11-13; Gv 3, 16-18

 

4  Giugno  2023

 

Celebriamo oggi la Trinità di Dio.

Molti anni fa, immediatamente dopo il Concilio Vaticano II, il teologo Karl Rahner affermava che la teologia trinitaria era profondamente malata e che la maggior parte dei cristiani era sostanzialmente monoteista. Sottolineava infatti il difetto di una teologia che parlava della Trinità in se stessa senza porre la necessaria attenzione al mistero di Dio che si rivela e agisce nella storia come Padre, Figlio e Spirito Santo.

Oggi la conoscenza della Trinità è più consapevole e la celebrazione della Sua Solennità diventa occasione per essere sempre più in profondità dialogo con la Triunità di Dio e al tempo stesso occasione di una lode, di un ringraziamento, di una adorazione del mistero del nostro Dio, comunione di amore tra il Padre, l’amante, il Figlio, l’amato, e lo Spirito Santo, l’amore tra il Padre e il Figlio.

Possiamo forse rimanere stupiti dal fatto che il Vangelo di questa domenica, scelto dalla Chiesa per questa Solennità, parli in modo manifesto solo del Padre e del Figlio, mentre sembra tacere sullo Spirito Santo. In realtà non è così perché, come sosteneva Basilio di Cesarea, lo Spirito è presente come “amore di Dio” e come “compagno inseparabile del Figlio”, perché laddove il Vangelo ci dice che “Dio ha tanto amato il mondo”, il cristiano comprende che Dio ha amato il mondo con il suo amore che è lo Spirito santo del Padre e del Figlio.

È opportuno ricordare ciò che con finezza spirituale Gregorio di Nazianzo sosteneva: “L’Antico Testamento proclamava in modo chiaro il Padre, in modo più oscuro il Figlio; il Nuovo Testamento ha manifestato il Figlio e ha fatto intravedere la divinità dello Spirito; ora lo Spirito … ci accorda una comprensione più chiara di se stesso … Così attraverso ascensioni, avanzamenti, progressi di gloria in gloria, la luce della Triunità brillerà con ancora più chiarezza” (Discorsi teologici 31,26).

La Trinità di Dio non è una formula astratta e cristallizzata e non è necessario nominare sempre le tre persone per evocarla: Padre, Figlio e Spirito Santo sono una comunione che noi tentiamo di esprimere con le nostre povere parole, sempre incapaci di dire il mistero, di esprimere la rivelazione del nostro Dio.

Interessante e significativa a tal proposito è ciò che affermava San Bernardo di Clairvaux che «leggeva la Triunità di Dio come un bacio “circolare” ed eterno: “Il Padre dà il bacio, il Figlio lo riceve e il bacio stesso è lo Spirito santo, colui che è tra il Padre e il Figlio, la pace inalterabile, l’amore indiviso, l’unità indissolubile” (Sermoni sul Cantico dei cantici 8,2)».

Entriamo in una sorta di dialogo contemplativo con il Vangelo.

Ci troviamo nel contesto del colloquio notturno tra Gesù e Nicodemo, un “maestro d’Israele” che rappresenta la sapienza giudaica in dialogo con Gesù. Per Nicodemo non è un dialogo facile, ha fede in Gesù ma non riesce ad accogliere la novità della rivelazione portata da Gesù.

Gesù risponde alle domande del suo interlocutore e l’ultima risposta manifesta anche una maturazione di comprensione che lo stesso autore del IV Vangelo ha acquisito con la sua comunità.

Il brano si apre: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. E subito prima sta scritto: “Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’Uomo, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna”.

“Queste due affermazioni sono parallele e si spiegano a vicenda. Affinché ogni essere umano possa credere, aderire al Figlio dell’uomo e mettere la propria fiducia in lui, occorre che conosca l’amore di Dio per tutta l’umanità, per questo mondo. Tale amore di Dio ha avuto la sua epifania in un atto preciso, databile, localizzabile nella storia e sulla terra: il 7 aprile dell’anno 30 della nostra era un uomo, Gesù di Nazaret, nato da Maria ma Figlio di Dio, è stato innalzato sulla croce, dove è morto “avendo amato fino alla fine” (cfr. Gv 13,1), e in quell’evento tutti hanno potuto vedere che Dio ha talmente amato il mondo da consegnargli il suo unico Figlio, da lui “inviato nel mondo”. In quell’ora della croce, “l’ora di Gesù”, più che mai è stata manifestata la gloria di Gesù come gloria di colui che ha amato fino alla fine, narrando (exeghésato: Gv 1,18) l’amore di Dio attraverso l’offerta della sua vita a tutti, senza discriminazioni. Quella è stata l’ora dell’innalzamento del Figlio dell’uomo, al quale tutti gli umani, di tutti i secoli e di tutte le generazioni, guardano come al “trafitto per amore” (cfr. Zc 12,10; Gv 19,37; Ap 1,7)” (Enzo Bianchi).

Ecco, allora, il grande dono che è stato fatto all’umanità con la venuta nella carne del Figlio di Dio e con la discesa dello Spirito che è il compagno inseparabile del Figlio: il mondo, che nel IV Vangelo a volte è letto sotto il segno del male, in questo dialogo tra Gesù e Nicodemo, viene visto come umanità e ci riporta al progetto originario di Dio che creando vedeva che era cosa “molto buona” (Gn 1, 31).

Questo nostro mondo di cui facciamo parte è amato da Dio fino alla follia, fino al dono di se stesso, dono che ha richiesto a Dio in Gesù spoliazione, povertà e umiliazione.

Essere salvati, allora, significa passare dalla morte alla vita definitiva, e questo è possibile per chi accetta il dono aderendo a Gesù Cristo, Colui che dà lo Spirito della vita, significa accorgersi che l’abbraccio del Padre e del Figlio, il loro dono, il loro bacio, è per noi felicità infinita, riprendendo la dolcissima affermazione di San Bernardo di Clairvaux.

Questo dono folle di Dio al mondo non ha come scopo il giudizio del mondo ma la sua salvezza e d’altronde se il dono è fatto senza condizioni, il dono può essere accolto o rifiutato, perché l’uomo è libero.

“Chi lo accoglie sfugge al giudizio e vive la vita per sempre, ma chi non lo accoglie si giudica da se stesso. Non è Dio che giudica o condanna, ma ciascuno, accogliendo o rifiutando l’amore, entra nella vita oppure si allontana dalla sorgente della vita, percorrendo una strada mortifera. Certamente troviamo qui espressioni di Gesù molto dure, radicali, ma esse vanno decodificate e spiegate” (Enzo Bianchi).

È giusto constatare e puntualizzare che Dio non impone ma propone, lasciando noi, suoi interlocutori, nella libertà dell’accoglienza o del rifiuto. È il mistero della nostra iniquità!

La solennità della Triunità di Dio va vissuta non tanto cedendo a speculazioni su questo mistero ineffabile, ma a fare esperienza della Triunità nella chiesa stessa, che ne è immagine. Siamo chiamati a contemplare il mistero di Dio che è legame e comunione di amore verificando se noi, creati a sua immagine, siamo capaci di vivere il nostro essere e il nostro esserci nel mondo come “vita di comunione”.

La bellezza di questa fusione d’amore è stata riportata da Santa Ildegarda di Bingen, fine musicista, in un canto fra i più belli dedicati alla Santissima Trinità, Laus Trinitati (Lode alla Trinità):

Lode alla Trinità, che è suono e vita

e creatrice di tutti, presente nella loro vita,

e che è lode della schiera angelica

e mirabile splendore dei misteri arcani,

sconosciuti agli uomini,

e che è soffio vitale in ogni creatura”.

 

Lasciamoci convertire dalla Trinità consapevoli che la Trinità è al tempo stesso modello di vita, soffio vitale per noi e anche per la società nella quale siamo invitati a testimoniare la comunione al di là di ogni conflitto, odio e guerra.

Buona Domenica.

   Francesco Savino

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