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messaggio di inizio anno di mons. Francesco Savino


Soffermarsi.

 

Signore, che cos’è l’uomo perché tu l’abbia a cuore?

Il figlio dell’uomo, perché te ne dia pensiero? L’uomo

è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa.

(Salmo 144,3-4)

 

La fine di ogni anno porta con sé, spesso, un intreccio di desideri e ricordi, la fitta trama di aspirazioni e rimpianti da noi intessuta su ciò che è stato, su ciò che poteva essere e su ciò che sarà. Dura solo un giorno, il Capodanno, eppure in quest’unico giorno ci si interroga; ci si chiede che cosa tenere e cosa lasciare; ci si ferma a pensare a come sarà l’anno che verrà.

In una parola: ci si sofferma.

Mi piace il verbo ‘soffermarsi’ – come suggerisce José Tolentino Mendonça – perché solo quando ci soffermiamo, cominciamo a vedere. E quello che iniziamo a vedere è qualcosa che ha a che fare, sì, con la percezione, ma anche con qualcosa di più profondo, con qualcosa che ci impone lentezza e tenerezza, cura e tempo.

Soffermarsi è un rivedere forse più minuzioso del mero guardare; è un secondo sguardo, una nuova opportunità (…) Ma è anche di più: mette in atto una riparazione, un processo di restauro, di riscatto, di giustizia.[1]

Con questo umore e con questo “secondo sguardo” di restauro e giustizia, vengo a formularvi i miei auguri per il nuovo anno, augurandovi la più preziosa di tutte le cose: il tempo.

Augurarvi tempo vuol dire invitarvi a essere in grado di rinunciare a quel tono di mondanità che fa degli eventi una scadenza fissa, quasi l’ossatura aziendale della vita, per cui si rincorrono bilanci, si fanno preventivi e previsioni e non ci si accorge che il tempo cronologico – lasciato a se stesso – edax rerum[2], divora tutte le cose.

So bene quanto sia azzardato parlare di tempo nell’epoca di quella che i sociologi chiamano “generazione Z”: tutto è un clic e tutto viaggia a velocità supersoniche, al punto che il tempo rischia di diventare un accessorio da montare al polso, un conta-secondi digitale che ci ha tolto anche il gusto di osservare le lancette scorrere con quella inesorabile perseveranza che fa del tempo una materia, un andirivieni palpabile, una consolazione e insieme uno sconforto, in ogni modo un sentire, una consistenza.

 

Soffermarsi.

Il tempo è quanto di più prezioso non riusciamo a possedere, perché è connesso al fluire della vita, alla memoria, alla guarigione, all’oblio. Il tempo gocciola, in maniera quasi fastidiosa e – che lo vogliamo o no – ci cambia: forse ci matura, ci rende saggi, ci fa fiorire, certamente ci invecchia, talvolta ci spegne. Cosa possiamo portare con noi, di anno in anno, così da non spegnerci, ma invece assicurandoci quella continuità che è continuità di vita e di spirito? Cosa può dare risonanza di vita al nostro tempo? Cosa vigore, cosa bellezza senza reticenze?

 

Soffermarsi.

L’uomo: come l’erba sono i suoi giorni! Come un fiore

di campo, così egli fiorisce. Se un vento lo investe,

non è più, né più lo riconosce la sua dimora.

Ma l’amore del Signore è da sempre.

(Salmo 103,15-16)

 

Il tempo ci rende erba, ci rende fiore di campo: caduco, ma rigoglioso nella fioritura, fragile ma delicato, fiero d’essere il punto di discontinuità nella coerenza cromatica del campo verde. Il tempo ci rivoluziona e, come dice il Salmo, se un vento ci investe non siamo più, diventiamo abisso e vertigine, drammaticamente finiti, lancetta delle nostre stesse vite. E poi?

Poi il Signore ci salva perché l’amore di Dio è da sempre – da sempre e per sempre –   perché quell’amore ci rende tutti figli, tutti figli di uno stesso Padre. Così per tutti e per tutte noi, il tempo, affidato all’amore manifestatoci in Cristo, è tempo vissuto e non tempo che sfugge, non è χρονος (Kronos) ma καιρος (Kairòs), un tempo nel mezzo che non è quantità, non è il numero di giri delle lancette, non è la cifra cangiante di un digitale, ma mistero che accade in modo incalcolabile, qualcosa di trepido ed emozionante, l’orizzonte che cambia la vita, il calendario del soffermarsi.

Soffermarsi vuol dire scavarsi dentro, accarezzare la propria interiorità ed arricchire i giorni con la bellezza che la vita ci offre. Vuol dire fare del tempo una distensio animi perché ciò che conta non è ciò che trascorre, ma l’affezione che gli eventi della vita, le persone, gli amici, gli amori ed anche gli abbandoni ed i dolori, lasciano nella nostra anima.

L’anima bisogna sentirla perché dice di noi quello che le nostre parole non sanno pronunciare e le orecchie non sanno comprendere.

 

Soffermarsi sull’anima.

Questo vuole essere il mio augurio, in questa distensione di tempo e di anima che è una continuità di vita, che è l’abbraccio con Cristo, che è la lacrima di un fratello, che è la ricerca della tenerezza nella solitudine e la speranza contro ogni speranza (Rm 4,18).

 

Buon nuovo anno di continuità.

 

“Non ti auguro un dono qualsiasi,

ti auguro soltanto quello che i più non hanno.

Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;

se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.

Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare,

non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.

Ti auguro tempo, non per affrettarti e correre,

ma tempo per essere contento.

Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,

ti auguro tempo perché te ne resti:

tempo per stupirti e tempo per fidarti

e non soltanto per guardarlo sull’orologio.

Ti auguro tempo per contare le stelle

e tempo per crescere, per maturare.

Ti auguro tempo, per sperare nuovamente e per amare.

Non ha più senso rimandare.

Ti auguro tempo per trovare te stesso,

per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.

Ti auguro tempo anche per perdonare.

Ti auguro di avere tempo,

tempo per la vita”.

(ELLI MICHLER, Dir Zugedacht – Dedicato a te Monaco 2004).

 

 

Cassano all’Jonio, 1 gennaio 2023    

   Francesco Savino

  Vescovo di Cassano all’Jonio

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[1] J. Tolentino Mendonça – La mistica dell’istante (pp 149)

[2] Ovidio, Metamorfosi, 15,234.