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Mons. Francesco Savino “Nel nome del Povero, del Figlio e dello Spirito Santo. Siate l’eco del grido dei poveri”.


Nel nome del Povero, del Figlio e dello Spirito Santo.

Siate l’eco del grido dei poveri.

 

«Anche se ogni paese altro non è se non una continuazione dello spazio, 

in queste regioni del Terzo Mondo 

c’è una certa qual disperazione specifica, 

una peculiare assenza di speranza; 

la debilitazione delle masse, 

che altrove è affidata agli apparati di sicurezza dello Stato, 

qui è garantita dalla povertà».

 

Iosif Brodskij, Profilo di Clio

 

Il gesto che più di ogni altro, forse, rappresenta la carta di identità di un cristiano è il segno della croce. Lo apprendiamo fin dall’infanzia, in famiglia, e lo comprendiamo scorrazzando tra le aule del Catechismo: “Il segno della croce esprime il sigillo di Cristo su colui che gli appartiene e significa la grazia della redenzione acquisita per mezzo della sua croce.[1]

Un gesto che fa ormai parte del nostro quotidiano, che ci accompagna dalla sera alla mattina, che scandisce i nostri timori, la nostra redenzione, le benedizioni attese e date. Quello del segno della croce è un battesimo che ci restituisce una nuova vita. (cfr. Rom. 6,5).

Con questo gesto di piena aderenza a Cristo, segniamo la fronte, il petto e le spalle, a significare quella totalità che, come indicava Sant’Ambrogio, è il confessare Gesù Cristo (la fronte), l’amarlo sempre e nonostante (il petto), ed il lavorare sempre per lui (le spalle). La formula di questo amore che è servizio e confessione, oggi, vorrei dicesse: 

Nel nome del Povero, del Figlio e dello Spirito Santo

Sono certo che il Padre ed i Padri della Chiesa perdoneranno questa mia tentazione linguistica e saranno concordi con me nel ripensare ai poveri nella luce potente ed efficace dell’amore trinitario di donazione, pace e comunione. Se infatti il Figlio, per dischiudere a noi l’eterno mistero di Dio, “si fece povero”, “si vuotò di sé stesso assumendo la condizione di schiavo”, “si sottopose all’ignominia” noi dobbiamo radicalmente re-immaginare il volto del Padre. La sua ricchezza è un permanente aver dato tutto, la sua presenza è un infinito fare spazio, la sua onnipotenza è nel far vivere il Figlio – e ogni creatura in lui – in libertà. Nulla trattiene, nulla chiede indietro, nulla ostenta, mai presenta il conto. Ha tutto ed è tutto nel suo stesso non aver nulla e scomparire.

Eh sì, i poveri mi tentano, mi tentano nella misura in cui ho compreso, lungo tutto l’arco della mia vita, che l’essere più indifeso è sempre l’esposto, qualcuno che vive in una impenetrabile ombra, in una fitta cortina le cui tracce si mescolano a destini ordinari e confusi e di cui spesso ci si dimentica. Certo, fra noi le cose sono sempre più ambigue e contraddittorie che in Dio. Eppure ci comprendiamo e le comprendiamo solo alla sua luce: nel Nome suo.

Viviamo l’epoca della pietas in cui la povertà è sempre e solo oggetto di carità e spesso se ne dimentica la sua rilevanza sociale ed umana. Stiamo facendo della povertà un fenomeno endemico accettato sì, ma con indifferenza ed abitudine; raramente ci siamo soffermati a comprendere le aspirazioni ed il pensiero della povera gente e della gente povera.

Tutti presi, come siamo, dall’illusione della crescita per forza e,quella che si era presentata come una marcia trionfale d’ingresso nel mondo ipermoderno della globalizzazione felice, si è rivelata in realtà come una modernizzazione regressiva. Siamo declinati credendo di crescere. Siamo discesi illudendoci di salire.”[2]

All’appello del mondo, oggi, manca la voce degli indigenti ed è una mancanza che pesa e, per questo, in occasione di questa VII Giornata mondiale dedicata ai poveri, il nostro Santo Padre Francesco, che ha fatto della povertà l’asse qualificante del suo Magistero, ci ha invitato a non distogliere lo sguardo dagli indigenti perché spesso la storia getta ben poche luci su di essi ed è sempre più difficile scrivere la loro storia.

La povertà, che non è una categoria astratta, rappresenta il teatro dell’ambivalenza umana. Ce lo ha dimostrato la storia: quei movimenti liberi del capitale, che erano stati salutati come l’opportunità di livellare le differenze, si sono rivelati, infine, un fallimento che ha fatto emergere la multidimensionalità dei bisogni di ogni uomo ed ogni donna del mondo e specialmente di coloro che le società marginalizzano. Ancora una volta l’umanità ha lasciato che “l’uccello di Minerva prendesse il volo al crepuscolo”, la bella metafora che Friedrich Hegel ci ha consegnato per dirci che c’è sempre una certa distanza tra l’evento e la coscienza del suo significato, un ritardo della conoscenza sull’immediato e sull’immanente. Per questo siamo caduti ostaggio della tirannia del profitto e della produttività, inseguendo, come ha scritto Edgar Morin, uno sviluppo che si vorrebbe soluzione ma che ignora che le società occidentali sono in crisi per il fatto stesso del loro sviluppo.[3]

“E se ne andò triste, perché aveva molti beni” (Mt 19,22). Una grande lezione ci arriva da questa scena nel Vangelo di Matteo, che implicitamente suggerisce il paradosso per cui più ci si spoglia e più si è ricchi; un incentivo a fare dell’opzione preferenziale per i poveri, la scelta definitiva della nostra vita.

Ma chi sono i poveri oggi? Che volto hanno? Cosa fare… nel nome del Povero?

La 27ma edizione del rapporto Caritas sulle povertà, ci restituisce, ancora una volta, i dati di una impietosa e dolorosa realtà strutturale e non residuale: in Italia oggi vivono (forse sarebbe meglio dire sopravvivono) 5,6 milioni di poveri.

Per uno strano espediente comunicativo, quando si citano numeri, il discorso che si sta affrontando acquisisce una certa potenza e richiama su di sé maggiore attenzione; è il motivo per cui ho deciso di riportavi alcuni dati. Nel 2022, cita il rapporto “Tutto da perdere”, i poveri assoluti salgono da 5 milioni 316 mila a 5 milioni 673 mila (+ 357mila unità). L’incidenza passa dal 9,1% al 9,7%. Se si considerano i nuclei, si contano 2 milioni 187mila famiglie in povertà assoluta, a fronte dei 2 milioni 22mila famiglie del 2021 (+165mila nuclei). Un rapporto che dopo circa 30 anni, risulta stravolto nei numeri e nei profili sociali. Questi dati mostrano con prepotenza che il nostro Bel Paese, (ma la macchia d’olio è ormai estesa a livello globale) sta vivendo quelle che Morin chiama policrisi, perché rileggere la povertà nella sola chiave economica, vorrebbe dire ignorare l’emergenza di tutte le altre parimenti urgenti: educativa, sociale, culturale, valoriale, salariale et similia.

In barba agli SDGs (Sustainable Development Goals, Agenda ONU 2030), stiamo assistendo all’irrobustimento delle povertà croniche ed all’abbassamento delle quote dei nuclei familiari in favore delle persone sole; alla profilazione di un’economia criminale che punta a far dilagare la precarizzazione (con la pratica sempre più diffusa del lavoro flessibile che, a causa del mancato rinnovo dei contratti impedisce la crescita delle retribuzioni), a sostenere nuove forme di caporalato legalizzato (i RIDER) e ad incentivare la delocalizzazione delle aziende oltre il territorio italiano che significa licenziare operai e dipendenti, mandare cioè intere famiglie sul lastrico.

A questo scenario già di per sé sconfortante si aggiunge l’emersione della questione salariale: oggi molti poveri hanno un lavoro con una retribuzione che non copre i fabbisogni quotidiani.

Da questa, seppure sommaria analisi, ho volutamente eluso la questione inerente i conflitti armati e le relative conseguenze, perché trattare la finanza globale vorrebbe dire impelagarsi in una tempesta in cui bisogna remare su una barca impazzita.

Quali soluzioni per l’uguaglianza, dunque?

A questo punto tocca cercare di tirare delle conclusioni che abbiano l’eco della proposta al cambiamento, senza farsi tentare dalla scelta allo scoraggiamento che pure aleggia su questioni così complesse.

Pensiamo, dunque, di invertire i paradigmi.

“L’umanità è passata dall’economia della salvezza alla salvezza tramite l’economia”, l’ammonizione profetica di Max Weber ci indica una prima possibile soluzione: l’economia non ci salverà, ma la nostra salvezza salverà anche l’economia. E come ci si salva da uno scenario che si prefigura immutabile e pericoloso? Con il coraggio di obbedire ai giusti orientamenti, con una politica dell’umanità e della civiltà. [4]

La politica si faccia carico dei problemi che lo sviluppo dovrebbe risolvere senza l’applicazione di formule standardizzanti ma con l’attenzione al particolare, alla diversità regionale, adattando azioni mirate alle difficoltà dei vari contesti. Non andare in contro all’atomizzazione sociale ma solidarizzando con le differenze, attraverso una convivialità attenta e moralizzante che miri cioè a lottare contro gli egocentrismi e le irresponsabilità.

Non bisogna livellare le differenze ma ridurre le disuguaglianze.

Dalla politica mi aspetto un incoraggiamento alla solidarietà globale ed alla promozione di programmi di aiuto e di sviluppo sostenibile che garantiscano anche un accesso equo alle risorse. Penso, ad esempio, all’implementazione di progetti di microfinanza su larga scala che possano incentivare le piccole comunità ed i giovani nell’avvio di attività imprenditoriali. Studiare il caso particolare, vuol dire anche stimolare i diversi talenti che il nostro territorio nasconde, significa promuovere un’agricoltura sostenibile nel nostro Meridione con tecnologie agricole avanzate, per quella gente che ama seminare il frumento e sa lasciargli il tempo che occorre affinché germini e si infittisca come oro sulla terra.

Significa riflettere sul creare sinergie e partnership leali tra settori pubblico e privato per sviluppare programmi di formazione professionale che sono necessari a facilitare l’accesso ad opportunità di lavoro significative e stabilizzanti. Penso, ad esempio, ad un “giardino di talenti” che grazie ad una rete di centri di formazione possa analizzare le richieste dei mercati locali e, concentrandosi sulle competenze richieste, possa formare i giovani ed i disoccupati assicurando loro le competenze necessarie ad ottenere un impiego significativo. Il sostegno all’istruzione, all’empowerment delle donne, a programmi di salute preventiva, alla tecnologia etica per lo sviluppo, alla collaborazione internazionale e alla sensibilizzazione all’accoglienza, possono essere le chiavi di un nuovo sviluppo che prescinde dall’aspetto economico ma non lo ignora.

Quello che il nostro tempo ci sta chiedendo è una chiamata universale alla solidarietà ed alla giustizia sociale perché la povertà è una sfida morale e spirituale, un grido di dolore che va ascoltato. Il nostro dovere di cristiani è, non solo rispondere a questo grido, ma esserne eco.

 

 

Siate l’eco del grido dei poveri.

Solo così sarà compiuto il segno di quella devozione cristiana che è Nel nome del Povero, del Figlio e dello Spirito Santo.

Perché tutto questo si compia, chiediamo al Signore un’ala di riserva che ci permetta di custodire i fratelli e le sorelle in difficoltà affinché possano volare insieme a noi.

 

Dammi, Signore un’ala di riserva

Voglio ringraziarti Signore, 

per il dono della vita;

ho letto da qualche parte

che gli uomini hanno un’ala soltanto:

possono volare solo rimanendo abbracciati.

A volte, nei momenti di confidenza, 

oso pensare, Signore,

che tu abbia un’ala soltanto,

l’altra la tieni nascosta,

forse per farmi capire

che tu non vuoi volare senza di me;

per questo mi hai dato la vita:

Perché io fossi tuo compagno di volo,

insegnami, allora, a librarmi con Te.

Perché vivere non è trascinare la vita,

non è strapparla, non è rosicchiarla,

vivere è abbandonarsi come un gabbiano

all’ebbrezza del vento,

vivere è assaporare l’avventura della libertà,

vivere è stendere l’ala, l’unica ala,

con la fiducia di chi sa di avere nel volo

un partner grande come Te.

Ma non basta saper volare con Te, Signore,

tu mi hai dato il compito di abbracciare anche il fratello

e aiutarlo a volare.

Ti chiedo perdono, perciò,

per tutte le ali che non ho aiutato a distendersi,

non farmi più passare indifferente

vicino al fratello che è rimasto con l’ala, l’unica ala,

inesorabilmente impigliata nella rete della miseria e della solitudine

e si è ormai persuaso

di non essere più degno di volare con Te.

Soprattutto per questo fratello sfortunato dammi,

o Signore, 

un’ala di riserva. 

 

(Don Tonino Bello)

 

Cassano allo Ionio, 19 Novembre 2023

   VII Giornata Mondiale dei Poveri

    

       ✠   Francesco Savino

      Vescovo di Cassano all’Jonio

   Vicepresidente Conferenza Episcopale Italiana

[1] Catechismo della Chiesa Cattolica n.7235
[2] Marco Revelli, Poveri noi.
[3] E. Morin, La via. Per l’avvenire dell’umanità.
[4] E. Morin, La via. Per l’avvenire dell’umanità.