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Natale, I testi delle omelie del vescovo Galantino


L’augurio del presule di Cassano all’ionio: “Vivere il Natale con “una pupilla meno irritata”

Natale (25 dicembre 2014)

Anche le più grandi ricorrenze, con il tempo, perdono smalto e colore; si finisce per dimenticare il significato profondo di ciò che si celebra e, soprattutto, di non provare più calore nel celebrarlo.

A Natale, però, più che celebrare l’anniversario di qualcosa accaduto in un lontano passato, viviamo la realizzazione di una promessa: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”, come afferma l’apostolo Giovanni in una pagina che racchiude la profondità di tutto il suo Vangelo. Tutto quello che Dio ha detto, tutto quello per cui si è impegnato attraverso la testimonianza dei profeti (cf. Eb 1, 1) oggi lo incontriamo nel Bambino nato a Betlemme. Celebrare degnamente il Natale – e sono certo che questo desiderio lo portiamo tutti in cuore – vuol dire fissare il suo volto tenero e indifeso, fino a farsi toccare il cuore da un evento che ha poco a che fare con sentimentalismi a buon mercato o con buonismo di maniera. Il presepe – che, significativamente, abbiamo allestito anche nelle nostre case – converge sulla grotta: porta a questo Bambino, che è l’atto di fiducia immenso di Dio nei confronti dell’umanità, con il quale ci affida suo Figlio. L’evangelista sottolinea come davanti a Lui si giochi il mistero della libertà: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1, 11-12). La storia di salvezza inizia proprio da questa accoglienza, che richiede di essere accudita e fatta crescere.

Il Vangelo ce ne indica le modalità, quando ci ricorda che coloro con i quali Gesù si è identificato: i piccoli, gli ultimi, i poveri.

Quel Bambino viene messo tra le nostre braccia ogni volta che incontriamo qualcuno bisognoso di attenzione, di cura e di compassione.

Quel Bambino viene messo nelle nostre braccia ogni volta che incontriamo in un giovane che – per i motivi più diversi – ha smarrito la sua identità, la sua voglia di vivere e di sperare.

Quel Bambino viene messo nelle nostre braccia ogni volta che incontriamo una persona in cerca di una vita più dignitosa.

Quel Bambino viene messo nelle nostre braccia ogni volta che vediamo i diritti dei più deboli calpestati dall’arroganza dei potenti.

Il Natale, a chi lo celebra seriamente, propone un modo nuovo di stare nel mondo, di attraversarne le strade, di rapportarsi con gli altri; un nuovo modo di essere, che nasce dall’aver sperimentato che “in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1, 4).

Se così, i nostri auguri hanno il contenuto delle parole di Papa Francesco: “Nell’accendere la luce dell’albero di Natale, noi vogliamo che la luce di Cristo sia in noi. Che ci sia la luce nell’anima, nel cuore; che ci sia il perdono agli altri; che non ci siano inimicizie, tenebre… Che ci sia la luce di Gesù perché sia Natale”.

✠ don Nunzio Galantino

[Scarica l’omelia di Natale]

 

Natale – Messa della Veglia

Dinanzi all’atteggiamento piuttosto diffuso che legge in maniera negativa la realtà nella quale viviamo, la vita e la stessa presenza degli altri voglio fare mio stesso invito che il poeta francese A. Rimbeau rivolgeva al diavolo: «Procurati una pupilla meno irritata».
Si sa che chi ha la pupilla irritata fa fatica a vedere e a godere delle cose belle che lo circondano. E questo può valere anche per il Natale.
Penso che per poter cogliere in profondità e in maniera realistica e sensata il significato del Natale abbiamo tutti bisogno di una pupilla meno irritata. Ne abbiamo bisogno prima di tutto per scorgere la ricchezza delle letture che sono state proclamate.

Isaia, nella prima lettura, parla a un popolo che sta facendo, sulla sua pelle, esperienza di esilio, di schiavitù, di mancanza di progettualità. Tutte esperienze che il profeta condivide col suo popolo. Di questo popolo, del suo popolo, Isaia dice: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce». Dinanzi a questo popolo, cioè si apre una prospettiva nuova.
Se siamo qui, stasera, è perché crediamo che quel bimbo, nato a Betlemme, può essere la nostra luce, può indicare a noi una prospettiva nuova.

A Isaia fa eco Paolo: «E’ apparsa –abbiamo ascoltato nella 2a lettura – la grazia di Dio». La più bella spiegazione di questa affermazione la troviamo nel Vangelo ascoltato poco fa. Luca ci fa comprendere che, nella debolezza di questo bambino – insignificante dinanzi ai potenti della terra – è Dio che si fa nostra luce, è Dio che si rende presente per dirci che non vuole lasciarci soli.
Non vuole lasciare solo il popolo che cammina nelle tenebre.
Non vuole lasciare soli i giovani che continuano, a modo loro e col loro linguaggio, a domandare ragioni di speranze e di vita.
Non vuole lasciare soli papà e mamme, ridotti all’impotenza dall’arroganza e dalla voglia di autodistruzione di certi figli.

Se ci procuriamo una pupilla meno irritata, in quel presepe noi incontreremo il volto di un Dio amico, venuto per dirci che non siamo nati per rimanere nelle tenebre, non siamo nati per nutrirci di disperazione.
E, di quel presepe, veniamo chiamati ad essere protagonisti e non solo spettatori, anche se attenti e commossi. Veniamo chiamati anche noi a partorire Cristo e le sue logiche in luoghi aridi e inospitali, come lo furono le locande di Betlemme quella notte.
Non è moltiplicando aridità, arroganza e inospitalità che diamo senso al Natale.
Non è moltiplicando conflittualità e giudizi sprezzanti sulle persone che si rendono migliori i nostri luoghi di vita.

E allora, l’augurio per questo Natale lo prendo in prestito dal poeta francese Rimbeau: «Auguro a voi a me di avere pupille meno irritate», capaci di vedere la luce e di renderci portatori di luce.

✠ don Nunzio Galantino

[Scarica l’omelia della Veglia di Natale]

 

(foto di Annalaura Arcidiacono: la Chiesa Cattedrale prima della cerimonia di lettura del decreto pontificio di elevazione a Basilica – 23 dicembre 2014)