Omelie

Omelia- Secondo anniversario inizio ministero episcopale mons. Savino


Omelia in occasione della celebrazione della Festa della Visitazione della Beata Vergine Maria e per il secondo anniversario dell’ingresso in Diocesi di S.E. mons. Francesco Savino.

La Parola di Dio nella Festa della Visitazione della Beata Vergine Maria apre il cuore ad un orizzonte di speranza e alla gioia, preziosa specialmente nei nostri giorni. Viviamo, infatti, nell’epoca delle “passioni tristi” devastata dal neoliberismo, dominata dall’individualismo esasperato, dal mito delle prestazioni illimitate, dalla competizione sfrenata che produce disagio e sofferenza individuale insieme ad una sensazione generalizzata di impotenza. La “perversione” del piacere a tutti i costi si alimenta e si gonfia con l’esercizio del potere perseguito a discapito dell’altro.

Le parole del profeta Sofonia “Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme” sono di forte impatto nella nostra esistenza richiamando la ragione della vera gioia: il Signore è presente in mezzo a noi, Suo popolo, non ci abbandona alle forze del male che possono possono schiacciare. L’amore del Signore non viene mai meno, anzi si rinnova.

Dal Vangelo di Luca abbiamo ascoltato l’unica pagina in cui ci sono soltanto due donne, sono due “graziate”, due madri che profetizzano. “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo”. Elisabetta ritorna alla benedizione di Dio sull’uomo e la donna (Gen 1, 28 “Dio li benedisse”), la prolunga su Maria e la estende ad ogni creatura. Alla benedizione di Elisabetta risponde Maria che magnifica, cioè fa grande, il Signore. Com’è possibile per una creatura giovane ed umile, come la Vergine, magnificare il suo creatore? Maria fa grande Dio donandogli il tempo e il cuore e noi facciamo piccolo Dio quando Lui diminuisce nella nostra vita.

Maria ed Elisabetta profetizzano perché hanno il grembo “carico di cielo”, sono abitate entrambe da figli concepiti al di fuori dei parametri umani. Sono figli inesplicabili. Attraverso queste due donne, Dio viene nel mondo come Dio della vita: l’una vergine e l’altra sterile, incinte entrambe in modo unico e impossibile, annunciano una “presenza” che afferma il primato della Grazia di Dio, perché l’uomo da solo non può darsi. E questa è la vera gioia. Luca ripete due volte che il bambino nel grembo di Elisabetta salta di gioia ed in quel bambino c’è tutta l’umanità, ci siamo noi che sperimentiamo la gioia quando facciamo spazio a Dio dentro di noi.

Dio è vita, Dio è benedizione, Dio è gioia, Dio viene anche come abbraccio: nell’abbraccio delle due cugine Dio abbraccia ogni creatura e rompe per sempre ogni  solitudine.

Sentimenti di benedizione e di lode, di gioia e di esultanza, di gratitudine e fiducia abitano il mio cuore per i due anni trascorsi dal giorno in cui è iniziata la mia esperienza di Vescovo, per voi e con voi, cari confratelli nel sacerdozio, con i diaconi e i religiosi, e con tutto il popolo di Dio affidato alla mia cura pastorale.

Come il salmista “canterò senza fine l’amore del Signore” consapevole che il mio ministero sarebbe vano senza la Grazia e la misericordia di Dio. Colui che mi sostiene, Dio Padre, si serve di tutti voi, della vostra preghiera, della vostra presenza di figli. Cresce, ogni giorno di più, l’amore che nutro per ciascuno di voi, carissimi, che siete membra del Corpo di Cristo che è la nostra Diocesi. Ad ogni confratello, ad ogni diacono, ad ogni religioso e religiosa, ad ogni battezzato rivolgo il mio grazie senza “se” e senza “ma”.

Chiedo perdono per le mie mancanze, le mie debolezze, le mie omissioni e se, anche involontariamente, ho ferito qualcuno procurandogli tristezza e disagio.

Stasera ripeto la mia disponibilità totale al servizio di Gesù e del suo Vangelo per il bene della Chiesa affinchè il “non ancora” del Regno di Dio possa manifestarsi attraverso la mia testimonianza di carità. Desidero ricordare a me stesso alcune espressioni che Papa Francesco rivolse, due anni orsono, a noi che eravamo neovescovi: “Gioirono i Discepoli nell’incontrare redivivo il “Pastore” che accettò di morire per il suo gregge. Gioite anche voi mentre vi consumate per le vostre chiese particolari. Non lasciatevi svaligiare un simile tesoro. Ricordatevi sempre che è il Vangelo a custodirvi e perciò non abbiate paura di recarvi ovunque e di intrattenervi con quanti il Signore vi ha affidato… Guardatevi dal rischio di trascurare le molteplici e singolari realtà del vostro gregge … invitate tutti alla missione … vegliate perché non si insinui pericolosamente nelle vostre comunità quella superbia dei “figli più grandi”, che rende incapaci di rallegrarsi con chi “era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15. 24)”.

“Può accadere che un sacerdote buono e pio, una volta elevato alla dignità episcopale, cada presto nella mediocrità e nella preoccupazione per le cose temporali. Gravato in tal modo dal peso degli uffici a lui affidati, mosso dall’ansia di piacere, preoccupato per il suo potere, la sua autorità e le necessità materiali del suo ufficio, a poco a poco si sfinisce” (Robert Sarah, La forza del silenzio. Contro la dittatura del rumore Cantagalli, 2017, risposta n. 15, p. 19).

Che non accada così, né a me né a nessuno di coloro che sono chiamati al ministero episcopale.

Vi chiedo di pregare insistentemente per me perché non tradisca mai la fiducia che Gesù, il pastore bello e buono, continua a riporre nella mia persona. Che la Vergine Maria, Madre della prossimità, ci consoli con la gioia del Signore.

 

   Francesco Savino