Omelie

Presentazione del Signore


Giotto di Bondone
Padova, Cappella degli Scrovegni  

Presentazione di Gesù al Tempio

 

 

Ml 3,1-4; Sal 23; Eb 2,14-18; Lc 2,22-40

XXVIII  Giornata  Mondiale  della  Vita  Consacrata

 

2  Febbraio  2024

 

La Festa della Presentazione di Gesù al Tempio si colloca a metà cammino tra il Natale e la Pasqua, quasi a congiungere questi due eventi in un unico grande mistero di obbedienza e di offerta.

Questa festa, nella tradizione, è chiamata con tre nomi diversi e significativi: nel linguaggio della tradizione occidentale è chiamata festa della “Presentazione del Signore”. In oriente “Festa dell’incontro”. Nella tradizione popolare “Candelora”.

Padre Ermes Ronchi commentando il Vangelo di questa festa annota: “Maria e Giuseppe portarono Gesù al Tempio per presentarlo al Signore, ma non fanno nemmeno in tempo ad entrare che subito le braccia di un uomo e di una donna se lo contendono. Gesù non appartiene al Tempio, egli appartiene all’uomo. È nostro, di tutti gli uomini e le donne assetati (di infinito), di quelli che non smettono di cercare e sognare mai, come Simeone; di quelli che sanno vedere oltre come Anna e incantarsi davanti a un neonato, perché sentono Dio come futuro. Dio non è accolto dai sacerdoti, ma da un anziano e da un’anziana senza ruolo, due innamorati di Dio, che hanno occhi velati dalla vecchiaia, ma ancora accesi dal desiderio. È la vecchiaia del mondo che accoglie fra le braccia l’eterna giovinezza di Dio”.

In ricordo di questo fatto, narrato dal vangelo di Luca, sorse ben presto in Oriente una festa chiamata Hypapanthé cioè “festa dell’incontro”. Incontro di Dio e del suo popolo nel Figlio unigenito fattosi uomo. Nel secolo sesto questa festa si estese all’Occidente e qui si arricchì di una processione penitenziale ed ebbe uno sviluppo originale: il rito della benedizione delle candele, per cui la festa prese il nome popolare di Candelora. Con ciò si voleva e si vuole esprimere con un segno visibile e concreto la fede in Cristo “luce delle genti”.

Nell’incontro con Gesù, sulla soglia del tempio di Gerusalemme, Simeone disse a Maria parole talmente forti che lo sono anche per noi oggi: “Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione”. E prima di queste parole Simeone aveva definito il bambino portato in braccio da Maria come “Luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo Israele”. Nelle parole del vecchio Simeone, emblema e testimonianza di tutti i mendicanti del cielo e di tutti i cercatori di un senso da dare alla vita, si riassume la bellezza della Festa di oggi.

Cristo è “caduta”: caduta dei nostri piccoli o grandi idoli. Colui che fa cadere in rovina il nostro mondo di maschere e di bugie, di doppiezze e di contrarietà…

Cristo è “contraddizione”: è Colui che contraddice la nostra quieta mediocrità, il disamore e le false idee su Dio e sull’uomo, sul mondo e su noi stessi.

Cristo è “risurrezione”: forza che mi ha fatto ripartire quando avevo il vuoto dentro e il nero davanti agli occhi. Fioritura della nobiltà che è in ogni uomo, anche il più perduto e disperato, della dignità che c’è in ogni vita, dal concepimento fino al suo termine naturale.

Cristo è “luce” del mondo: e la luce è la vita degli uomini, la vita di tutto il creato. Se si spegnesse il sole anche solo per un istante l’universo intero sprofonderebbe in un inferno di ghiaccio e di morte. La luce è vita. Questo convincimento ha plasmato anche il nostro linguaggio, quando nasce un bambino si dice “è venuto alla luce un bimbo”. Quando muore un uomo, diciamo che “si è spento”. Noi tutti sappiamo di quanta luce abbia bisogno l’uomo per camminare nella vita senza inciampare, per saper distinguere il bene dal male, per attraversare il buio senza smarrirsi, per sperimentare il calore di una presenza, per gioire dei colori della realtà, per orientare i suoi passi illuminati dalla verità verso la pienezza della vita… Il grande pensatore greco, Platone, diceva: «La vera tragedia della vita (non è aver paura del buio) è quando un uomo ha paura della luce». La paura della luce è sottrarsi allo sfolgorare della verità perché essa costringerebbe a mutare mentalità e vita. Si preferisce talvolta chiudere gli occhi, come confessò Kafka nei confronti di Cristo: «Gesù è un abisso di luce. Bisogna chiudere gli occhi per non precipitarvi!» (cfr. riflessioni di don Claudio Doglio).

Cristo è la luce del mondo, e, illuminati da Lui, anche noi lo siamo, e chiamati ad esserlo dovunque noi viviamo.

Che bella coincidenza tra la Festa di oggi e la Giornata Mondiale della Vita Consacrata. Sento di dire a tutte e a tutti voi consacrati tre parole.

La prima: grazie per ciò che siete e la mia gratitudine è figlia di quella “Grazia” che c’è e che non ci abbandona mai nonostante le nostre incoerenze e infedeltà. Il mio grazie, senza “se” e senza “ma”, esprime lo stupore che provo quando incontro un uomo o una donna consacrati, che vivono con umiltà e dono la loro chiamata, spesso non compresa o equivocata. Ciò che conta, però, non è, evidentemente, il consenso e la gratificazione umana, ma vivere l’unione totalizzante con Cristo in un processo di kenosi continua, di svuotamento delle pretese del proprio ego, per fare di Cristo il tutto della vita.

Accanto al grazie vi rivolgo anche una seconda parola, una esortazione non facile: “Coraggio!”. Facciamoci coraggio reciprocamente, andando oltre ogni frustrazione, ogni scontento, direi ogni grigiore della nostra vita, oltre il peso delle strutture e anche delle sovrastrutture della nostra esistenza. L’invito al coraggio significa, per me innanzitutto e poi per voi, non lasciarci rubare, nonostante tutto,  la gioia che è Gesù.

Voi mi direte che è facile per il Vescovo esortarci al coraggio, ma dobbiamo essere realisti e riconoscere il nostro declino inarrestabile. Declino rispetto a chi e a che cosa?

Ed ecco la terza parola: il titolo che ho dato al messaggio che anche quest’anno ho voluto scrivere per tutte e per tutti voi: “Il suo nome è speranza”. Lo avete tra le mani questo messaggio. Leggo solo una parte: “È ormai constatazione generale che la vita religiosa sia in crisi. C’è chi considera tale momento un passaggio, un movimento da un equilibrio ad un altro, chi lo pensa come deterioramento di una condizione con conseguente instabilità o decadenza delle eventuali situazioni, chi turbamento di una pacifica condizione o comunque momento difficile, chi scelta o punto di svolta, chi discernimento, chi giudizio, chi tutto questo insieme! Non mi fermerò ad individuare le cause della crisi della vita religiosa, perché non ne ho la competenza; né esprimerò il mio pensiero riguardo agli effetti che tale crisi ha generato nelle esperienze pastorali, spirituali, educative, istituzionali, ma anche economiche e sociali perché non è mia pretesa dare soluzioni. Mi porrò solo delle domande cercando delle risposte che possano continuare a mantenere salda, nonostante tutto, l’essere della vita religiosa. Innanzitutto, ha un futuro la vita religiosa? Una risposta c’è ed è già una prima grande certezza: la vita religiosa non può scomparire perchè è dono dello Spirito alla Chiesa, nasce nella Chiesa, cresce nella Chiesa ed è tutta orientata alla Chiesa, fa parte della vita della Chiesa e della sua santità. Papa Francesco, a conferma di ciò, in un TED talk tenuto sulla vita religiosa, non ha esitato ad affermare che la vita religiosa ha un futuro e questo futuro ha un nome e il suo nome è speranza!”.

È l’ora di continuare ad essere testimoni autentici e veri di Cristo, ragione e fine della nostra vita.

Lasciamoci sempre incontrare da Lui. Approfondiamo la nostra amicizia con Lui e facciamo sempre di Lui lo stupore e la bellezza della nostra esistenza.

Buona festa a tutte e a tutti noi consacrati.

 

 

   Francesco Savino

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