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PROLUSIONE DAL TITOLO: Il Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano e il ruolo del Vescovo diocesano di Mons. Francesco Savino


Il Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano  e il ruolo del Vescovo diocesano

 Sua Eccellenza Reverendissima

Mons. Francesco SAVINO

Vicepresidente della Conferenza

Episcopale Italiana

 

Prima di entrare nel tema che mi è stato affidato, desidero salutare S. E. R. Mons. Fortunato Morrone, Presidente della Conferenza Episcopale Calabra e Moderatore del Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Calabro, S. E. R. Mons. Claudio Maniago, Moderatore del Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Calabro d’Appello, gli Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi della Conferenza Episcopale Calabra, Mons. Vincenzo Varone, Mons. Erasmo Napolitano, i Reverendissimi Giudici e tutti gli operatori dei nostri Tribunali. A loro va anche un particolare ringraziamento per il prezioso servizio che svolgono.

Nello spirito della comunione ecclesiale, desidero manifestare fin da subito la mia personale gratitudine al Santo Padre Francesco per la riforma della giustizia che, in questi dieci anni del suo ministero petrino, sta portando avanti e chiedere a tutti quella necessaria docilità perché, nel rispetto dei diversi servizi e delle competenze, ciascuno possa contribuire a raggiungerne i fini.

 

  1. Il Vescovo giudice “nativo”

 

Per presentare il ministero del Vescovo diocesano e il ruolo che egli è chiamato a svolgere relativamente al Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano, desidero iniziare riprendendo alcuni passaggi dell’Esortazione apostolica post-sinodale Pastores gregis in cui si sente l’eco della nota espressione di Sant’Agostino: “per voi sono vescovo, con voi sono cristiano”. La “circolarità” richiamata da tale espressione, infatti, è il fondamento della “solidarietà” del Vescovo con tutti gli altri fedeli, verso i quali è chiamato ad esercitare anche il ministero della “giustizia”:

Dono dello Spirito fatto alla Chiesa, il Vescovo è, anzitutto e come ogni altro cristiano, figlio e membro della Chiesa. Da questa Santa Madre egli ha ricevuto il dono della vita divina nel sacramento del Battesimo e il primo ammaestramento nella fede. Con tutti gli altri fedeli egli condivide l’insuperabile dignità di figlio di Dio, da vivere nella comunione e in spirito di grata fraternità. D’altra parte, in forza della pienezza del sacramento dell’Ordine, il Vescovo è anche colui che, di fronte ai fedeli, è maestro, santificatore e pastore, incaricato di agire in nome e in persona di Cristo. Si tratta, evidentemente, di due relazioni non semplicemente accostate fra loro, bensì in reciproco e intimo rapporto, ordinate come sono l’una all’altra perché entrambe attingono dalla ricchezza di Cristo unico e sommo sacerdote. Il Vescovo diventa «padre» proprio perché pienamente «figlio» della Chiesa. Ciò ripropone il rapporto tra sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ministeriale: due modi di partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo, nel quale sono presenti due dimensioni, che si uniscono nell’atto supremo del sacrificio della croce. Questo si riflette sulla relazione che, nella Chiesa, vige tra il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale. Il fatto che, quantunque differiscano essenzialmente tra di loro, siano ordinati l’uno all’altro, crea una reciprocità che struttura armonicamente la vita della Chiesa come luogo di attualizzazione storica della salvezza operata da Cristo. Tale reciprocità si ritrova proprio nella persona stessa del Vescovo, che è e rimane un battezzato, ma costituito nel sommo sacerdozio. Questa realtà più profonda del Vescovo è il fondamento del suo «essere tra» gli altri fedeli e del suo essere «di fronte» ad essi. (…). Il ministero pastorale ricevuto nella consacrazione, che pone il Vescovo «di fronte» agli altri fedeli, si esprime in un «essere per» gli altri fedeli che non lo sradica dal suo «essere con» loro. Ciò vale sia per la sua santificazione personale, da ricercare ed attuare nell’esercizio del suo ministero, sia per lo stile di attuazione del ministero stesso in tutte le funzioni in cui si esplica[1].

Alla luce di tale “circolarità” sono da leggersi le norme canoniche che, attingendo alla riflessione conciliare, in particolare alla Costituzione dogmatica Lumen gentium (cfr. nn. 27; 32-33), riguardano la potestà del Vescovo diocesano e il relativo esercizio di essa. Il riferimento, in particolare, è ai can. 381, § 1 e 391.

Il can. 381, §1, richiama il principio teologico secondo cui compete al Vescovo diocesano nella diocesi affidatagli tutta la potestà ordinaria, propria e immediata che è richiesta per l’esercizio del suo ufficio pastorale. Mentre il can. 391, di conseguenza, stabilisce che spetta al Vescovo diocesano governare la Chiesa particolare a lui affidata con potestà legislativa, esecutiva e giudiziaria, a norma del diritto.

Ora, mentre il Vescovo esercita la potestà legislativa personalmente e la potestà esecutiva sia personalmente sia mediante i Vicari generali o episcopali, esercita la potestà giudiziaria sia personalmente sia mediante il Vicario giudiziale e i giudici, a norma del diritto (cfr. can. 391).

È noto che, tuttavia, soprattutto relativamente al processo di dichiarazione della nullità dei matrimoni, i Vescovi hanno esercitato la potestà giudiziale attraverso i Vicari giudiziali e, in particolare in Italia, essendo stati istituiti i Tribunali Ecclesiastici Regionali in forza del Motu proprio Qua cura, gli stessi Vescovi hanno rimesso alla competenza di tali tribunali le stesse cause.

I Tribunali Regionali, che hanno certamente svolto con grande perizia il servizio che gli veniva riconosciuto, hanno assunto tale compito esercitando in modo vicario tale potestà, che incarna il ruolo del Vescovo diocesano quale giudice “nativo” e principale dei fedeli affidati alle sue cure pastorali. Già il Codice di diritto canonico del 1917, infatti, raccomandava al Vescovo di non esercitare personalmente la potestà giudiziaria, soprattutto nelle cause penali (cfr. can. 1578 del CIC1917). È vero che il Codice vigente non contiene espressamente questa norma, tale raccomandazione, tuttavia, fu ribadita dall’Istruzione Dignitas Connubii, all’art. 22, §2[2].

Per questo motivo, il Santo Padre Francesco, con il Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus (MIDI), riformando il processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio, ha ribadito il criterio fondamentale secondo cui:

III. Lo stesso Vescovo è giudice. Affinché sia finalmente tradotto in pratica l’insegnamento del Concilio Vaticano II in un ambito di grande importanza, si è stabilito di rendere evidente che il Vescovo stesso nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra i fedeli a lui affidati. Si auspica pertanto che nelle grandi come nelle piccole diocesi lo stesso Vescovo offra un segno della conversione delle strutture ecclesiastiche, e non lasci completamente delegata agli uffici della curia la funzione giudiziaria in materia matrimoniale. Ciò valga specialmente nel processo più breve, che viene stabilito per risolvere i casi di nullità più evidente[3].

Ora, non si tratta di una novità.

Infatti, il Vescovo è sempre stato il giudice di prima istanza per i fedeli, a partire dall’epoca apostolica e post-apostolica sino ai nostri giorni. Il suo ruolo di giudice è sempre stato percepito come parte integrante della sua funzione di governare, e anche nei casi in cui questo ruolo è stato messo in ombra per ragioni di varia natura, ogni successivo intervento riformatore ha integrato il Vescovo nel ruolo che gli è proprio.

In tal senso, la riforma di Papa Francesco appare in piena continuità con la tradizione ecclesiale quando enfatizza la centralità del Vescovo nell’amministrazione della giustizia, sia come supervisore dell’attività del proprio Tribunale, sia come giudice, in vista di una maggiore prossimità ai fedeli. D’altra parte, anche l’abrogazione della necessità della doppia sentenza conforme, ritornando ad una tradizione ben più antica delle disposizioni di Papa Lambertini, restituisce dignità all’operato dei Tribunali di primo grado, manifestando fiducia nel loro operato, poiché essi sono l’emanazione della stessa potestà giudiziale dei Vescovi.

Le modalità di esercizio della potestà giudiziale, nella storia, hanno sempre avuto una fisionomia eminentemente pastorale: il Vescovo interviene per ricomporre le controversie, correggere gli abusi, accertare la verità, avendo come fine il bene della comunità e dei singoli fedeli.

Tale connotazione “pastorale” fa sì che vi sia una certa variabilità, o flessibilità, nelle forme concrete di esercizio di questa funzione e anche, com’è stato nei primi secoli, una certa flessibilità nell’uso della procedura. Gli oneri del ministero, e anche la necessità di una specifica preparazione, hanno reso necessario che di fatto, il Vescovo esercitasse questa funzione in modo vicario per mezzo di altri soggetti, il che non toglie che il Vescovo possa averla esercitata nel passato e che oggi la eserciti anche personalmente.

Relativamente a quest’ultimo aspetto, la riforma introdotta da Papa Francesco, segnatamente nel processo più breve, rappresenta un elemento di novità e, sotto certi aspetti, di discontinuità, ma è segno della capacità di adattare le procedure e il diritto ai tempi nuovi, salvaguardando sempre lo ius divinum.

Concretamente, circa il criterio del Vescovo quale giudice “nativo”, che costituisce uno dei capisaldi della riforma, Papa Francesco richiede:

  • l’introduzione del processo più breve;
  • la conversione delle strutture ecclesiastiche.

Relativamente alla prima richiesta, Papa Francesco sottolinea ulteriormente il fatto che giudice dev’essere lo stesso Vescovo, anche per una maggiore tutela dell’indissolubilità del matrimonio. Infatti, in forza del suo ufficio pastorale, il Vescovo diocesano è, insieme con il successore dell’Apostolo Pietro, il “maggiore garante dell’unità cattolica nella fede e nella disciplina”[4].

In merito al processo più breve, tuttavia, com’è noto, inizialmente si sono verificate delle difficoltà di ordine pratico che hanno portato al fatto che, anche questo peculiare processo veniva rimesso dal Vescovo interessato al Tribunale interdiocesano.

Per questo motivo, il Pontefice è intervenuto diverse volte, sottolineando il fatto che tali prassi costituivano un abuso che snatura la riforma da lui operata. 

In particolare, il 25 novembre 2017, durante il suo discorso ai partecipanti al corso promosso dal Tribunale della Rota Romana, Papa Francesco ha affermato:

Al fine di rendere l’applicazione della nuova legge del processo matrimoniale, a due anni dalla promulgazione, causa e motivo di salvezza e pace per il grande numero di fedeli feriti nella loro situazione matrimoniale, ho deciso, in ragione dell’ufficio di Vescovo di Roma e Successore di Pietro, di precisare definitivamente alcuni aspetti fondamentali dei due Motu proprio, in particolare la figura del Vescovo diocesano come giudice personale ed unico nel Processo breviore. Da sempre il Vescovo diocesano è Iudex unum et idem cum Vicario iudiciali; ma poiché tale principio viene interpretato in maniera di fatto escludente l’esercizio personale del Vescovo diocesano, delegando quasi tutto ai Tribunali, stabilisco di seguito quanto ritengo determinante ed esclusivo nell’esercizio personale del Vescovo diocesano giudice:

  1. Il Vescovo diocesano in forza del suo ufficio pastorale è giudice personale ed unico nel processo breviore.
  2. Quindi la figura del Vescovo-diocesano-giudice è l’architrave, il principio costitutivo e l’elemento discriminante dell’intero processo breviore, istituito dai dueMotu proprio.
  3. Nel processo breviore sono richieste, ad validitatem, due condizioni inscindibili: l’episcopatoel’essere capo di una comunità diocesana di fedeli (cfr. can. 381, §2). Se manca una delle due condizioni il processo breviore non può aver luogo. L’istanza deve essere giudicata con il processo ordinario.
  4. La competenza esclusiva e personale del Vescovo diocesano, posta nei criteri fondamentali del processo breviore, fa diretto riferimento alla ecclesiologia del Vaticano II, che ci ricorda che solo il Vescovo ha già,nella consacrazione, la pienezza di tutta la potestà che èad actum expedita, attraverso la missio canonica.
  5. Il processo breviore non è un’opzione che il Vescovo diocesano può scegliere ma è un obbligo che gli proviene dalla sua consacrazione e dallamissioricevuta. Egli è competente esclusivo nelle tre fasi del processo breviore: – l’istanza va sempre indirizzata al Vescovo diocesano; – l’istruttoria, come ho già affermato nel discorso del 12 marzo dello scorso anno al Corso promosso presso la Rota Romana, il Vescovo la conduca «sempre coadiuvato dal Vicario giudiziale o da altro istruttore, anche laico, dall’assessore, e sempre presente il difensore del vincolo». Se il Vescovo fosse sprovvisto di chierici o laici canonisti, la carità, che distingue l’ufficio episcopale, di un vescovo viciniore potrà soccorrerlo per il tempo necessario. Inoltre, ricordo che il processo breviore deve chiudersi abitualmente in una sola sessione, richiedendosi come condizione imprescindibile l’assoluta evidenza dei fatti comprovanti la presunta nullità del coniugio, oltre al consenso dei due sposi. – la decisione da pronunciare coram Domino, è sempre e solo del Vescovo diocesano.
  6. Affidare l’intero processo breviore al tribunale interdiocesano (sia delvicinioreche di più diocesi) porterebbe a snaturare e ridurre la figura del Vescovo padre, capo e giudice dei suoi fedeli a mero firmatario della sentenza[5].

Una ulteriore precisazione, poi, è stata offerta dal Pontefice durante l’introduzione ai lavori della 73a Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana.

Rivolgendosi ai Vescovi, infatti, Papa Francesco ha affermato:

Il processo breviore ha introdotto così una tipologia nuova, ossia la possibilità di rivolgersi al Vescovo, quale capo della Diocesi, chiedendogli di pronunciarsi personalmente su alcuni casi, nei casi più manifesti di nullità. E questo poiché la dimensione pastorale del Vescovo, comprende ed esige anche la sua funzione personale di giudice. Il che non solo manifesta la prossimità del pastore diocesano ai suoi fedeli, ma anche la presenza del Vescovo come segno di Cristo sacramento di salvezza[6].

Attualmente l’indicazione normativa viene messa in atto con maggiore attenzione, seguendo la volontà della riforma voluta da Papa Francesco.

Ai fine di garantire un’autentica “prossimità” pastorale, inoltre, è necessario che la fase strettamente giudiziale sia preceduta da un ascolto pre-giudiziale durante il quale non solo dev’essere valutata l’opportunità del ricorso al processo più breve piuttosto che a quello ordinario, ma anche dev’essere assicurata ai fedeli, provati da particolari sofferenze, l’autentica vicinanza del Pastore.

In questa linea si colloca l’indicazione applicativa fornita dalla Rota Romana nel Sussidio applicativo di MIDI:

Il primo passo che i Vescovi sono chiamati a compiere è quello della creazione di un servizio d’informazione, di consiglio e di mediazione, legato alla pastorale familiare, che potrà accogliere le persone in vista dell’indagine preliminare al processo matrimoniale. (…). Tale servizio, all’interno della pastorale matrimoniale sia diocesana che parrocchiale, evidenzierà la sollecitudine pastorale del Vescovo e dei parroci (cfr. can. 529 § 1) verso i fedeli che dopo il fallimento del proprio matrimonio si interrogano sull’esistenza o meno del loro vincolo coniugale[7].

D’altra parte, ciò richiede che il Vescovo abbia competenza e conoscenza nella materia matrimoniale. Di conseguenza,

Sarà necessario che il Vescovo si renda disponibile ad una qualche iniziativa di aggiornamento e profondamento di questa materia oppure che quanto raccoglie da questi incontri (ndr con i fedeli che invocano che si faccia chiarezza sulla propria vicenda matrimoniale) lo confronti con coloro che nella diocesi hanno qualche particolare competenza. Per una vera accoglienza e per correttezza non si può prescindere, neanche per il Vescovo, da una necessaria, almeno iniziale, conoscenza delle questioni riguardanti le ipotesi di nullità e di procedura matrimoniale[8].

Non si può trascurare, tuttavia, a livello deontologico, una questione particolare che era alla base – ne era in qualche modo la ratio – della distinzione, nell’esercizio della potestà giudiziale, della funzione del Vescovo rispetto a quella del Vicario giudiziale e cioè:

Una certa “compromissione” che avviene se è il Vescovo a operare la consulenza, giungendo così a una propria conclusione sulla vicenda che potrebbe anticipare o pregiudicare il suo giudizio, nel caso ci si orienti poi per il processo più breve dove dovrà essere il Vescovo stesso a giudicare il caso oppure per il fatto che la consulenza, operata dal Vescovo, può influire sulla scelta della via ordinaria o di quella più breve che compete invece al Vicario giudiziale, il quale potrebbe non avere la necessaria libertà di valutazione se il Vescovo si è già espresso in merito[9].

La valutazione della via da scegliere – se il processo ordinario o quello più breve – dovrebbe, perciò, essere di competenza del Vicario giudiziale, poiché il Vescovo deve invece esercitare il giudizio.

Ci si può chiedere però se nei fatti avvenga così oppure se, soprattutto nelle Diocesi non grandi dimensioni, di fatto il Vicario giudiziale si confronti già con il Vescovo e quindi con il suo consenso o meno decida di ammettere o rigettare una causa per la via più breve. Si potrebbe immaginare anche che il Vescovo dia al Vicario giudiziale un insieme di proprie indicazioni generali a cui attenersi per questa scelta. Il ruolo dato al Vicario giudiziale probabilmente vuole favorire l’esercizio del giudizio e il fatto che questo venga esercitato con sufficiente libertà da parte del Vescovo, non essendosi compromesso già nella scelta della via processuale. Dunque la ricerca di una prossimità che tuteli anche la libertà di giudizio[10].

È necessaria una “sana distinzione” tra la “prossimità” che il Vescovo è chiamato a esercitare nelle diverse fasi dell’accompagnamento delle persone e la “prossimità” che lo stesso Vescovo dovrà manifestare nell’emettere la sentenza dopo un processo più breve, sentenza che dovrà essere emessa dopo che questi avrà raggiunto la necessaria “certezza morale” dagli “atti” e dalle “prove” e non attraverso altri elementi.

 

  1. Il Vescovo diocesano e il Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano

 

Dove, soprattutto in fase iniziale, non fosse stato possibile costituire un Tribunale diocesano per trattare le cause di nullità, MIDI prospetta la possibilità – di carattere eccezionale – di erigere un Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano (TEI).

Tale Tribunale Interdiocesano è una modalità attraverso cui più Diocesi, che non godono ancora dei mezzi necessari per essere autonomi, si mettono “sinodalmente” insieme per fornire “l’aiuto concreto” al Vescovo di ciascuna Diocesi afferente, onde amministrare la giustizia in riferimento alle competenze attribuite.

D’altra parte, la costituzione del TEI effettivamente ottimizza l’attività giudiziaria. Infatti, risponde al principio solidaristico: si mette a servizio di più Diocesi che, attualmente, non hanno le risorse per la costituzione di un proprio Tribunale, evita la dispersione delle risorse e garantisce il reperimento di personale più qualificato.

Questi elementi, tra l’altro, sono congruenti con alcuni principi sottesi alla riforma attuata da Papa Francesco, in particolare quello della gratuità e della celerità.

La condivisone delle risorse, materiali e umane, infatti, potrebbe costituire un elemento significativo per ridurre le spese e, di conseguenza, garantirebbe l’effettiva applicazione del principio di gratuità. Allo stesso modo, il personale qualificato è garanzia, oltre che dell’effettiva giustizia, anche della celerità degli stessi processi, che potrebbero subire – come di fatto accade in alcuni contesti – significativi ritardi se il personale del Tribunale non sarebbe seriamente qualificato. Una cosa, infatti, è sostenere le spese relative a un solo Tribunale, altra quella di undici Tribunali e del relativo personale.

Mons. Migliavacca così argomentava la scelta della Regione Ecclesiastica Toscana di “mantenere l’esistenza del Tribunale regionale per le cause ordinarie” e la “formale costituzione di un tribunale diocesano a cui ciascun Vescovo attribuiva la specifica competenza, con decreto, per la trattazione delle cause più brevi, presentate al Vicario giudiziale diocesano”:

L’intento di questa scelta è stato quello di mantenere la validità e competenza del tribunale regionale, considerando i vantaggi che offre in merito a competenza, personale, organizzazione e lavoro già ritenuto valido dal punto di vista della celerità, prossimità e gratuita e insieme valorizzare per le cause più brevi, in modo più evidente, i criteri di prossimità e celerità, con un più diretto coinvolgimento del vescovo stesso[11].

D’altra parte, relativamente alla gratuità, il Sussidio applicativo di MIDI invitava le Conferenze Episcopali a sostenere i Vescovi nell’erezione di un proprio Tribunale:

Nel rispetto del diritto dei Vescovi di organizzare la potestà giudiziale nella propria Chiesa particolare, le Conferenze Episcopali sono nell’obbligo di aiutare, anche economicamente, dove questo è possibile, i singoli Vescovi a ripristinare la vicinanza tra la potestà giudiziale e i fedeli, sia nel processo ordinario che nel breviore. Aiuteranno anche, salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operatori dei tribunali, affinché sia assicurata, per quanto è possibile, la gratuità delle procedure. Dovranno pertanto, dove sia necessario, aggiornare la distribuzione dei mezzi economici disponibili, cooperando alla ricerca delle risorse necessarie per i tribunali diocesani. Si lascerà alla giusta sensibilità dei pastori e di chi cura i tribunali la possibilità di chiedere alle parti, con tatto pastorale, di contribuire con un obolo alla causa dei poveri. Esse saranno certamente generose, perché il profumo della carità raggiunge la mente e il cuore dei fedeli della Chiesa[12].

Perciò, nonostante attraverso il TEI si possano facilmente realizzare la gratuità e la celerità auspicate dal Pontefice, anche tra le righe del Sussidio applicativo della Rota si coglie l’urgenza superiore della prossimità tra la potestà giudiziale del Vescovo diocesano e i fedeli affidati alle sue cure.

C’è da dire, tuttavia, che i Vescovi italiani stanno maturando diverse scelte. È evidente che un appropriato finanziamento dei Tribunali è decisivo per assicurare la recezione della riforma del processo matrimoniale voluta da Papa Francesco. In tal senso, c’è da sottolineare anche che

L’esperienza italiana trova la sua peculiare caratterizzazione nella complementarietà e concentrazione tra i diversi ambiti di governo ecclesiastico (Diocesi, Regioni Ecclesiastiche, Conferenza Episcopale Italiana) anche a riguardo dei temi relativi al regime amministrativo, organizzativo ed economico. La centralità del Vescovo nell’organizzazione della potestà giudiziaria, infatti, non solo è compatibile ma anche richiede quasi la condivisione di orientamenti e l’azione coordinata degli altri soggetti ecclesiali, in una logica sinodale e per l’esercizio di una corresponsabilità effettiva e solidale[13].

L’esistenza del TEI, d’altra parte, potrebbe evidenziare la capacità di Diocesi tra loro vicine, di vivere una certa “sinodalità” nell’amministrazione della giustizia, ma potrebbe comunque non evidenziare nel modo voluto da Papa Francesco quella “prossimità personale” del Vescovo nei confronti dei propri fedeli.

Tale “prossimità” si verrebbe a realizzare unicamente quando ogni Vescovo diocesano avesse “piena armonia e comunione” non solo con il Vicario Giudiziale del TEI di riferimento, ma anche con i Giudici che risiedono nella propria Diocesi: eseguire l’istruttoria della causa nella Diocesi di appartenenza delle parti, infatti, garantirebbe concretamente la “prossimità” voluta da Papa Francesco e potrebbe essere, inoltre, la “modalità concreta” attraverso cui il Vescovo “vigila” sull’amministrazione della giustizia nei confronti dei fedeli affidati alle sue cure pastorali.

 La riforma intesa da Papa Francesco è un richiamo fatto a noi Vescovi perché non lasciamo tutto nelle mani del Vicario Giudiziale e dei Giudici: con loro e attraverso di loro siamo noi i “Pastori della Giustizia”.

 

  1. La conversione delle strutture: un cammino da continuare

 

Trattando del Vescovo quale giudice “nativo”, si è fatto riferimento, più sopra, all’importanza del ricorso al processo più breve quale esigenza principale.

La seconda esigenza che comporta un tale fondamentale principio è la “conversione delle strutture ecclesiastiche”.

Nel discorso rivolto ai Vescovi italiani in occasione della 73a Assemblea Generale, Papa Francesco faceva un particolare richiamo:

Questa riforma processuale è basata sulla prossimità e sulla gratuità. Prossimità alle famiglie ferite significa che il giudizio, per quanto possibile, si celebri nella Chiesa diocesana, senza indugio e senza inutili prolungamenti. (…). Sono ben consapevole che voi, nella 71ª Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, e attraverso varie comunicazioni, avete previsto un aggiornamento circa la riforma del regime amministrativo dei Tribunali ecclesiastici in materia matrimoniale. Tuttavia, mi rammarica constatare che la riforma, dopo più di quattro anni, rimane ben lontana dall’essere applicata nella grande parte delle Diocesi italiane. Ribadisco con chiarezza che il Rescritto da me dato, nel dicembre 2015, ha abolito il Motu Proprio di Pio XI Qua cura (1938), che istituiva i Tribunali Ecclesiastici Regionali in Italia[14].

Auspicava, di conseguenza, la piena e immediata attuazione di MIDI in tutte le Diocesi dove ancora non si fosse provveduto.

Al riguardo, poi, continuava:

Non dobbiamo mai dimenticare che la spinta riformatrice del processo matrimoniale canonico, caratterizzata (…) dalla prossimità, celerità e gratuità delle procedure, è volta a mostrare che la Chiesa è madre ed ha a cuore il bene dei propri figli, che in questo caso sono quelli segnati dalla ferita di un amore spezzato; e pertanto tutti gli operatori del Tribunale, ciascuno per la sua parte e la sua competenza, devono agire perché questo si realizzi, e di conseguenza non anteporre null’altro che possa impedire o rallentare l’applicazione della riforma, di qualsiasi natura o interesse possa trattarsi. Il buon esito della riforma passa necessariamente attraverso una conversione delle strutture e delle persone; e quindi non permettiamo che gli interessi economici di alcuni avvocati oppure la paura di perdere potere di alcuni Vicari Giudiziari frenino o ritardino la riforma[15].

In questa linea, poi, il 17 novembre del 2021, il Papa ha costituito presso il Tribunale della Rota Romana la Commissione Pontificia ad inquirendum et adiuvandum tutte e singole le Chiese particolari in Italia, con il compito di constatare e verificare la piena ed immediata applicazione della riforma del processo di nullità matrimoniale, nonché di suggerire alle stesse quanto si ritenesse opportuno e necessario per sostenere e aiutare il proficuo prosieguo della riforma, di modo che le Chiese che sono in Italia si mostrassero ai fedeli madri generose, in una materia strettamente legata alla salvezza delle anime, così come è stato sollecitato nel Sinodo straordinario sulla Famiglia.

Nelle premesse alla Costituzione di tale Commissione, il Pontefice ricordava:

  1. Con la consacrazione episcopale il Vescovo diventa tra l’altro, iudex natus(cf. can. 375, § 2). Egli riceve la potestas iudicandi per guidare il Popolo di Dio persino quando occorre risolvere le controversie, dichiarare i fatti giuridici, punire i delitti (cf. can. 1400, § 1), d’altro canto “la dimensione pastorale del Vescovo comprende ed esige anche la sua funzione personale di giudice” (Discorso alla CEI, 20 maggio 2019, n. 2), fermo restando il principio che il Vescovo diocesano può esercitare la potestà giudiziale non solo personalmente, ma anche per mezzo di altri, a norma del diritto (can. 1673, § 1);
  2. il ministero giudiziale del Vescovo per natura sua postula la vicinanza fra il giudice e i fedeli, il che a sua volta fa sorgere almeno un’aspettativa da parte dei fedeli di adire il tribunale del proprio Vescovo secondo il principio della prossimità (cf. Mitis Iudex, VI);
  3. sebbene il can 1673, § 2, permetta al Vescovo diocesano di accedere ad altri tribunali, tale facoltà dev’essere intesa come eccezione e, pertanto, ogni Vescovo, chi non ha ancora il proprio tribunale ecclesiastico, deve cercare di erigerlo o almeno di adoperarsi affinché ciò diventi possibile (cf. Mitis Iudex, III);
  4. dal tribunale di prima istanza ordinariamente si appella al tribunale metropolitano di seconda istanza (can. 1673, §6). Nella determinazione dei tribunali di appello previsti dai cann. 1438-1439 deve essere tenuto presente il principio di prossimità. Resta comunque inalterato il diritto di appello al Tribunale ordinario della Sede Apostolica, cioè alla Rota Romana (cf Mitis Iudex, VII);
  5. la Conferenza Episcopale Italiana, distribuendo equamente alle Diocesi le risorse umane ed economiche per l’esercizio della potestà giudiziale, sarà di stimolo e di aiuto ai singoli Vescovi affinché mettano in pratica la riforma del processo matrimoniale (cf. Mitis Iudex, VI);
  6. la spinta riformatrice del processo matrimoniale canonico – caratterizzata dalla prossimità, celerità e gratuità delle procedure – passa necessariamente attraverso una conversione delle strutture e delle persone (cf. Discorso alla CEI, cit., n. 2)[16];

Queste premesse, perciò, devono orientare il cammino che bisogna necessariamente continuare perché la riforma voluta da Papa Francesco sia autenticamente e completamente attuata, garantendo ai fedeli quella “prossimità” che il Vescovo, in quanto “battezzato”, animato dalla solidarietà verso gli altri battezzati deve sperimentare e, in quanto Pastore, costituito in favore degli altri battezzati, deve amministrare nell’esercizio della propria potestà giudiziale.

 

Reggio Calabria, 30 Gennaio 2023

 

         Francesco Savino

      Vescovo di Cassano all’Jonio

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[1] Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores gregis sul Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo, n. 10 (https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_20031016_pastores-gregis.html – ultima consultazione: 16 gennaio 2023).

[2] Dignitas Connubii, art. 22, §2: “è opportuno, a meno che speciali motivi lo richiedano, che il Vescovo non eserciti personalmente la potestà giudiziale”.

[3] Francesco, Lettera apostolica in forma di Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio nel codice di diritto canonico, III (da ora in avanti: MIDI) (https://www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio_20150815_mitis-iudex-dominus-iesus.html – ultima consultazione: 16 gennaio 2023).

 

[4] Cfr. MIDI, IV.

[5] Francesco, Discorso ai partecipanti al corso promosso dal tribunale della rota romana del 25 novembre 2017 (https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/november/documents/papa-francesco_20171125_corso-rotaromana.html – ultima consultazione: 16 gennaio 2023).

[6] Francesco, Discorso alla Conferenza Episcopale Italiana del 20 maggio 2019 (https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/may/documents/papa-francesco_20190520_cei.html – ultima consultazione: 16 gennaio 2023).

[7] Tribunale Apostolico della Rota Romana, Sussidio applicativo del Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, Città del Vaticano, gennaio 2016, p.  13 (http://www.rotaromana.va/content/dam/rotaromana/documenti/Sussidio/Sussidio%20Mitis%20Iudex%20Dominus%20ITA.pdf – ultima consultazione: 16 gennaio 2023).

[8] A. Migliavacca, Il Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e alcune attese sul processo canonico di nullità matrimoniale (brevità, prossimità, gratuità): un primo confronto dalla prospettiva del Vescovo, in Gruppo Italiano Docenti Di Diritto Canonico (edd.), La riforma del processo canonico per la dichiarazione di nullità del matrimonio, Milano 2018, p. 330.

[9] Ivi, p. 330.

[10] Ivi, p. 332

[11] Ivi, p. 329.

[12] Tribunale Apostolico della Rota Romana, Sussidio applicativo del Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, Città del Vaticano, gennaio 2016, p.  12 (http://www.rotaromana.va/content/dam/rotaromana/documenti/Sussidio/Sussidio%20Mitis%20Iudex%20Dominus%20ITA.pdf – ultima consultazione: 16 gennaio 2023).

[13] G. Baturi, Il finanziamento dei Tribunali Ecclesiastici in materia di nullità matrimoniale nelle nuove norme della CEI: prime riflessioni, in Gruppo Italiano Docenti Di Diritto Canonico (edd.), La riforma del processo canonico per la dichiarazione di nullità del matrimonio, Milano 2018, p. 381.

[14] Francesco, Discorso alla Conferenza Episcopale Italiana del 20 maggio 2019 (https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/may/documents/papa-francesco_20190520_cei.html – ultima consultazione: 16 gennaio 2023).

[15] Ibidem.

[16] Francesco, Lettera apostolica in forma di Motu Proprio con la quale si  istituisce la Commissione Pontificia di verifica e applicazione del M. P. Mitis Iudex nelle Chiese d’Italia (https://www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/20211117-motu-proprio-comm-mitis-iudex.html – ultima consultazione: 16 gennaio 2023).