News

Rapporto italiani nel mondo 2022, Conclusioni di Mons. Francesco Savino


Un saluto cordiale alle autorità presenti, ai relatori e alle relatrici, a tutte e tutti qui presenti in sala.

Questa giornata è dedicata alla riflessione sulla mobilità italiana, un tema che ci lega come popolo e come singoli individui portatori di una storia personale e familiare che probabilmente ci ha spinti a lasciare territori, a spostarci più volte, ad arricchirci di esperienze umane e professionali nel nostro andare.

 

Siamo alla diciassettesima edizione di questo studio della Fondazione Migrantes che io voglio leggere contestualizzandolo all’interno di un puzzle più ampio che in questi ultimi mesi la Chiesa italiana sta costruendo attraverso la presentazione di diversi lavori compiuti nel corso dell’anno 2022 da vari suoi organismi e uffici e dai temi apparentemente più lontani e diversi: l’immigrazione, la povertà, la pace, la detenzione, la fotografia di un’Italia pluriconfessionale e plurireligiosa e tanti altri.

 

Apparentemente si tratta di temi diversi. In realtà per tutti al centro c’è sempre la persona, la comunità, non l’individuo ma le donne e gli uomini in relazione tra loro, il tessuto sociale nella sua eterogeneità, le comunità composite.

 

Questo Rapporto si inserisce pienamente in questa dinamica di complessità restituendoci un’immagina dell’Italia articolata, inquadrandola nella più ampia dinamica di una mobilità umana (e italiana soprattutto) matura per tempo migratorio e spazio di approdo migratorio che ha come conseguenze l’interculturalità, il multilinguismo, il transnazionalismo.

 

È denso di parole questo volume, concetti pesanti. E dietro ogni parola c’è sempre lo stesso argomento, la mobilità della persona, cittadine e cittadini italiani in particolare, un tema paradossale perché nutre in sé il vecchio e il nuovo, vive di sé come immagine strutturale ma contemporaneamente in continua evoluzione, quindi mai uguale a se stesso.

La mobilità italiana è strutturale al nostro paese e al nostro popolo. Gli italiani si spostano da sempre, lo facevano a milioni nel passato e continuano a farlo oggi in numeri inferiori ma assolutamente non meno importanti rispetto al passato, modificando motivazioni e profili, e restituendoci i punti di forza e le debolezze di un paese che oggi vive di fragilità, di recessione economica, di inverno demografico, di crisi generazionali, di disuguaglianze.

 

Non siamo i soli a vivere queste difficoltà in Europa e nel mondo. Ma in Italia abbiamo elementi più preoccupanti di altri luoghi primo tra tutti la durata da cui questa fase di recessione viene vissuta. Ed è su queste criticità che si è abbattuta la scure della pandemia.

È chiaro a tutti. La pandemia non si è esaurita e non si esaurirà presto. E non parlo solo della dimensione sanitaria. In queste pagine viene utilizzato il termine sindemia intendendo il fatto che questa emergenza sanitaria si sia interrelata a fattori che vanno oltre l’aspetto sanitario intaccando cioè l’economia, la cultura, la vita sociale.

Una sindemia che ha accelerato un cambiamento d’epoca in corso già da tempo, mutamento che sta portando l’umanità verso una nuova era che possiamo definire dell’interconnessione e dell’interazione, dove l’essere divisivi porta al fallimento mentre il vero futuro è dato dal trovare forme di com-partecipazione, com-passione, prossimità.

 

Non è un caso che solo il 22% dei giovani in Italia, stando a un recente studio (realizzato dal Censis per il Consiglio nazionale dei Giovani e l’Agenzia Nazionale per i Giovani) abbia fiducia nel futuro, che siano aumentati in maniera esponenziale i problemi di ansia e i disturbi del comportamento alimentare. La questione generazionale urla di essere presa in considerazione. Oggi e non domani. Sono generazioni sfiancate, svuotate perché da troppo tempo non ascoltate e i giovani di ieri sono ormai adulti esausti, sostituiti da nuovi giovani che abbiamo il dovere di proteggere nelle loro ricchezze, nelle loro potenzialità, nei loro entusiasmi.

 

Da troppo tempo vediamo questi giovani partire. Il Rapporto parla di una mobilità italiana malata perché caratterizzata da necessità, si deve partire e non si sceglie di farlo; da unidirezionalità, si parte e non si torna e dalla non circolarità.

Il processo migratorio perfetto è fatto di partenze e di arrivi, in un costante ricambio di capacità, competenze e generazioni.

 

Questo ricambio non c’è. I giovani partono sempre più numerosi e, sempre più numerosi, non fanno ritorno.

E io lo so bene da vescovo di Cassano allo Ionio, provincia di Cosenza e vescovo di riferimento per l’Italia meridionale della Chiesa italiana.

Un Sud che da troppo tempo vive una doppia perdita, verso il Nord Italia (migrazione interna) e verso l’estero.

Da qualche tempo le regioni del Nord italiano sono le più interessate dal fenomeno delle partenze verso l’estero, ma il Rapporto Italiani nel Mondo ci insegna che di questi italiani oggi residenti del Settentrione, molti sono in realtà meridionali che ricominciano il loro peregrinare alla ricerca di un luogo migliore dove vivere, lavorare, creare una famiglia o mantenerla.

E questo altrove è l’estero sicuramente, ma anche il Centro-Nord della nostra Italia.

 

Se negli anni successivi al Secondo dopoguerra i flussi migratori verso le regioni centro-settentrionali erano prevalentemente costituiti da manodopera proveniente dalle aree rurali del Mezzogiorno, dal 2012 al 2020 mediamente un emigrato su tre, proveniente dalle regioni meridionali e insulari e diretto verso il Centro-Nord, è in possesso di almeno la laurea; oltre il 42% al momento della partenza dal Mezzogiorno aveva un diploma e circa un quinto invece era in possesso solo della licenza media, quota che si è ridotta notevolmente nel tempo.

 

L’analisi dei flussi migratori dei giovani per livello di istruzione mette in evidenza le aree del Paese che maggiormente attraggono capitale umano e quelle, invece, che si impoveriscono di risorse qualificate. Quanto più alto è il livello di istruzione, tanto migliori sono le probabilità di ottenere un lavoro e un reddito maggiore e quindi tanto più elevato sarà il capitale umano.

I saldi migratori interregionali, calcolati per la fascia di età giovanile (20-34 anni), evidenziano consistenti perdite in tutte le regioni meridionali. In valore assoluto, la perdita di giovani residenti in Campania, Puglia, Sicilia e Calabria, nel periodo considerato (2012-2020), è di oltre 267 mila giovani. Tale perdita è pari a 109 mila per chi è in possesso di almeno la laurea. Il saldo netto nelle restanti regioni del Mezzogiorno (Basilicata, Sardegna, Abruzzo e Molise) è più contenuto e pari a 28 mila unità.

Al contrario, le regioni del Centro-Nord guadagnano in termini di capitale umano: la Lombardia e l’Emilia-Romagna attraggono oltre 196 mila giovani provenienti da altre regioni d’Italia, con un guadagno netto di 97 mila giovani con almeno una laurea. Seguono il Piemonte, il Lazio e la Toscana con un guadagno complessivo di giovani residenti di oltre 74 mila unità (22 mila unità se ci si riferisce a migranti in possesso di almeno la laurea).

 

Non è certo un caso che, dopo cinque anni di continua recessione e dopo due anni di pandemia, il numero delle immatricolazioni all’Università sia sceso del 3%. Sono dati di pochi giorni fa. Il ritorno delle lezioni in presenza e l’aumento severo del prezzo degli affitti, delle bollette e dei trasporti, ha indotto migliaia di giovani a rinunciare ad iscriversi alle università. In particolar modo il calo riguarda i fuori sede. Dei circa 1,7 milioni di universitari italiani, coloro che si trasferiscono a studiare lontano da casa sono meno di 500.000, circa 100.000 in meno rispetto all’ultima rilevazione ufficiale del 2018. A rinunciare sono soprattutto le matricole. Troppo poche le borse di studio e assolutamente insufficienti (appena 40.000) i posti negli studentati pubblici che dovrebbero diventare 100.000 nel 2026 grazie al Pnrr. Chi vuole (o deve) andar fuori, sceglie una soluzione pratica: triennale a casa, specialistica o master fuori.

 

Ma cosa significa casa per alcuni? Significa il più vicino possibile a casa perché è sempre più urgente superare la lettura tradizionale che vede nel nostro Paese coesistere un Sud arretrato e un Nord più avanzato. La lettura nazionale deve avvenire attraverso la prospettiva di aree interne e aree centrali e le aree interne, diversamente da quanto si crede, attraversano tutta la Penisola toccando anche le nostre Isole. Le arre interne sono quindi geograficamente collocabili e collocate su tutto il territorio nazionale costituendo una porzione del Paese molto ampia e composita accomunata da alcune criticità e depositaria di straordinarie ricchezze.

 

Nella Dichiarazione finale dell’ultimo incontro dei vescovi delle aree interne dello scorso agosto si scrive: «Noi c’impegniamo a restare: la Chiesa non vuole abbandonare questi territori, senza per questo irrigidirsi in forme, stili e abitudini che finirebbero per sclerotizzarla. In tal senso c’impegniamo ad aiutare i nostri giovani che vogliono restare, cercando di offrire loro solidarietà concreta, e c’impegniamo ad accompagnare quelli che vogliono andare, con la speranza di vederli un giorno tornare arricchiti di competenze ed esperienze nuove». E poi ancora «Le Aree interne, dove la vita non vuole morire, possono divenire un laboratorio d’idee, una risorsa viva, un tesoro straordinario per tutto il Paese: sta a noi, tutti insieme – pastori, comunità cristiana, società civile, politica –, far sì che tale auspicio diventi realtà».

 

In queste parole ho ritrovato il senso di uno studio come il Rapporto Italiani nel Mondo e nel suo ritorno puntuale ogni anno. Uno studio che sostiene la Chiesa, aiutandola a leggere e interpretare i fenomeni sociali per poi mettere in atto impegni e interventi mirati ispirati da una progettualità prospettica adatta a ciascun territorio e tessuto sociale che in esso vive.

 

È inutile pensare di fermare le partenze, ma siamo tutti chiamati a fermare le emorragie di persone, competenze, saperi, creatività, soprattutto se giovani in un Italia che continua a sgretolarsi. Un’Italia che diventa sempre più vecchia e sola – leggiamo nell’Introduzione del RIM – in cui i bambini non nascono e i giovani vanno via. Muore lentamente l’Italia che resta all’interno dei confini nazionali mentre si rigenera, annualmente, quella che risiede all’estero.

 

Mi viene in mente l’immagine delle tante case non finite che caratterizzano le varie cittadine calabresi e non solo. Il non finito che è in molti borghi del Sud Italia. Sono i segni degli emigranti che volevano tornare e, alla fine, non sono più rientrati se non per le vacanze. Brevi periodi, ma paradossalmente da quella Calabria non si sono mai separati al punto da ricrearla all’estero nei luoghi in cui sono andati da emigranti.

 

L’Italia oggi è questa, e qui e là, 186 destinazioni diverse ci racconta il RIM 2022 nel solo ultimo anno e nonostante il decremento delle partenze. È una Italia che ci appartiene, una Chiesa che ci appartiene e forse allora il grande salto è culturale. Il non separare più, mai più, il qui e il là, noi e loro ma davvero avere la lungimiranza di pensarsi comunità visceralmente legata al territorio.

La presenza italiana è presenza regionale e la regionalizzazione, se dovutamente considerata, diventa incentivo non solo di conoscenza e valorizzazione dell’Italia, ma anche motore di sviluppo e crescita economica e culturale.

 

Occorre pertanto che le politiche attuate – contestualmente sul piano regionale e nazionale – non siano solo di sostegno, ma di sviluppo, di attenzione cioè alla promozione delle varie opportunità di investimento presenti in ciascun territorio. Esse, inoltre, devono essere prima riconosciute per poi essere valorizzate. L’attenzione deve riguardare anche le risorse umane presenti e le ricchezze professionali che sono diverse in ogni contesto proprio perché differenti sono le caratteristiche e le competenze di ogni realtà regionale.

 

In tutti i migranti, alla fine, “dimorano” i territori da cui sono partiti così come ogni territorio è segnato da chi è partito come in un gioco, allo stesso tempo felice e maledetto, di spaesamenti e ritrovamenti di sé. Quel che conta è, in questo senso, riconoscere gli “spaesamenti” e superarli, ritrovarsi diversi e arricchiti di nuovi elementi e fare di questa diversità il motore di un nuovo modo di stare nel mondo

 

Rende, 26 Gennaio 2023

                                      Francesco Savino

                             Vescovo di Cassano all’Jonio

                                 Vicepresidente CEI

scarica formato pdf