News

“Una nuova fantasia della carità”, lettera di don Francesco Savino per la Quaresima


 

 

al Popolo di Dio di Cassano all’Jonio,
ai Sacerdoti,
ai Diaconi,
alle Comunità Religiose,
alle aggregazioni ecclesiali

 

 Iniziamo la Quaresima con le parole dell’inno del Mattutino “Protesi alla gioia pasquale”.

Siamo protesi, cioè   in tensione interiore, siamo  in cammino verso la  Pasqua,  pienezza della gioia. L’intero periodo quaresimale è  tempo di gioia, vissuta nella Carità. Lo ripetiamo nei Prefazi quaresimali: si attua il piano del Padre, che attraverso la sofferenza del Figlio, ci conduce alla gloria di figli.

Ci attendono “quaranta giorni” di intenso esercizio spirituale per imparare a vivere sempre più da cristiani,  a morire e a risorgere alla vita del Crocifisso-Risorto.  

Senza la Carità non arriviamo a fare Pasqua.

Corriamo il rischio di anestetizzare questo tempo favorevole per trasformarlo in  tempo “devoto” nel quale si susseguono iniziative  ancorate ad una fede emotiva, che non comunica niente di nuovo al mondo, non sostiene i fratelli, non crea comunione e, per di più, mortifica il credente, coprendolo di ridicolo.

Una Quaresima  significativa  aiuta a svincolare la fede dal privato, dall’individualismo, da ogni forma di immaturità.

Sento il bisogno, che è un dovere per me, di mettermi accanto a ciascuno di voi, come fratello e come padre, perché sono cristiano con voi e  Vescovo per voi (cfr. Agostino, Sermo 340,1), e di incoraggiarvi a seguire quanto vuole  il Signore, come dice il profeta: “È piuttosto questo il digiuno che voglio…dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri…”( Is 58,6.7)

Se desideriamo ascoltare  Isaia, non dobbiamo smarrire l’orizzonte del mondo, cioè il sentire  cum mundo.

Una comunità cristiana che non rinnova i segni della testimonianza, è una comunità morta.

Non si può scomporre il rito dalla vita perché, nei tempi del mondo, il discepolo di Gesù dà prova concreta del suo amore per il Crocifisso-Risorto. Ogni comunità – e non solo la parrocchia – sarà tanto più capace di ridefinire il proprio compito missionario  quanto più saprà buttarsi  nel dialogo con gli altri che non può ridursi ad uno scambio culturale.

Siamo chiamati a tessere legami  con ogni uomo e donna che incontriamo, a partire dalla Speranza e dalla fiducia che ci abitano. Il mondo  si aspetta da noi semplicità di vita, spirito di preghiera e una carità più operosa verso quanti sono nel bisogno, nel cui volto dobbiamo riconoscere quello di Colui che è stato trafitto.

I due poli della Quaresima: Croce e Risurrezione

L’originalità del Dio cristiano si manifesta  nel Crocifisso il quale rappresenta il culmine dell’estasi del Dio trinitario. Egli si china sulle sofferenze dell’uomo, interagisce con le istanze di liberazione che sono partite dal “rovescio della storia”, ponendo attenzione sulle cause storico-politiche della passione e morte di Gesù come passione emblematica del mondo che vuole affrancarsi totalmente da dipendenze e schiavitù, cristallizzate in vere e proprie strutture di peccato.

L’unica parola che il cristiano ha da consegnare al mondo è la parola della Croce. “Per sapere chi sia Dio devo inginocchiarmi ai piedi della croce”, ripeteva il teologo gesuita Karl Rahner.

Il Crocifisso è – davvero – la novità di Dio nella storia, la discesa del mistero negli anfratti più reconditi dell’esistenza umana, la sollecitudine più grande dell’amore di Dio per noi. Gesù, sulla croce, ci dice che nel vuoto del nulla e della morte c’è il pieno della vita e dell’amore. È questa la Pasqua!

Ci sembra che, nelle odierne difficoltà, Dio voglia insegnarci più profondamente il valore, l’importanza e la centralità della croce di Gesù Cristo. La memoria passionis, che sperimentiamo in questo tempo di grazia, riaccende le ragioni della Speranza.

Le opere di Dio, dunque, nascono e crescono ai piedi della croce. Se sembrano dominare forze che dividono e distruggono, il Cristo non cessa di proporre a tutti il suo chiaro invito: chi vuol essere mio discepolo, rinneghi il proprio egoismo e porti con me la Croce. Il Signore continua ad associare a sé e alla sua missione uomini e donne disposti a prendere la Croce e a seguirlo. Per i cristiani portare la Croce non è dunque facoltativo, ma è una missione da abbracciare per amore. Chi l’abbraccia insieme con Cristo, partecipa alla sua vittoria pasquale e riesce a vincere il male con il bene, l’odio con l’amore, la violenza con il perdono. Dopo la croce c’è la Risurrezione, e con la Risurrezione tutto cambia, perché è la Pasqua del Signore a rivelare la solidarietà del Dio vivente alla nostra condizione di abitatori del tempo e insieme ci dà la garanzia di essere chiamati a divenire abitatori dell’eternità. Quindi, per dirla con J.Moltmann, “Pasqua non è un oppio dell’aldilà propinato illusoriamente per consolare, ma è la forza della rinascita di questa vita”. La Pasqua conferma la scelta vincente del Crocifisso e traccia la via per una nuova primavera dell’umano. Il Risorto cambia la vita, la converte, dona ardore, voglia di testimoniare, di oltrepassare le difficoltà con grande coraggio.

Non appaghiamoci di vivere ai lembi di questo rapporto, come parenti lontani che si vedono solo per le grandi occasioni e che hanno ben poco da condividere. Lasciamoci incrociare e trasfigurare dal Risorto. Possa lui farci uscire dai sepolcri in cui ci siamo chiusi e risollevarci per iniziare, aiutati dalla grazia del Giubileo, a vivere una vita piena proprio perché aperta alla Misericordia di Dio.

La Quaresima scuola di Misericordia

Solo l’esperienza dell’amore, che è Misericordia, può dare all’uomo la percezione del suo valore, non senza l’accettazione della sua miseria, e procurargli la possibilità di aprirsi al mistero dell’altro e degli altri.

“La misericordia di Dio – scrive papa Francesco nel messaggio per questa Quaresima – trasforma il cuore dell’uomo e gli fa sperimentare un amore fedele e così lo rende a sua volta capace di misericordia. È un miracolo sempre nuovo che la misericordia divina si possa irradiare nella vita di ciascuno di noi, motivandoci all’amore del prossimo e animando quelle che la tradizione della Chiesa chiama le opere di misericordia corporale e spirituale”.

Parlare di Misericordia non significa, dunque, mettersi sul piedistallo per pronunciare sermoni di natura morale, ma entrare nella profondità dell’amore del Padre che con le parole di Osea, rilanciate da Gesù per coloro che gli rimproveravano di sedere a tavola con i peccatori: “Voglio misericordia, non sacrifici”.

L’esercizio di una misericordia concreta “Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina” (MV, 15).

“Tra chiesa e misericordia – scrive la teologa Serena Noceti – c’è un’interazione costitutiva, che tocca l’identità stessa della Chiesa di Gesù: la missione della chiesa si realizza, infatti, ‘nella misericordia’ o, meglio ancora, ‘come misericordia’; la misericordia divina è alla radice dell’esistenza ecclesiale e la misericordia dovrebbe essere riconosciuta e praticata come qualità primaria che definisce le relazioni ecclesiali e lo stesso agire pubblico del ‘noi’ ecclesiale”[1]

La missione della Chiesa erompe da una motivazione teologica che nasce dalla Misericordia del Padre e cerca di uniformarsi all’agire salvifico, derivante dalla Pasqua di Cristo.

Dalla Quaresima un rinnovato impegno per una Chiesa profetica

Nell’ottica della Pasqua, la Chiesa deve assumere una rilevanza pubblica, svolgere un ruolo di compagnia critica nei riguardi di dimenticanze etiche e di travisamenti della realtà antropologica.  Uno dei segni più qualificanti  delle comunità ecclesiali è il dialogo nella profezia: la profezia come l’intuito nell’anticipare il piano di Dio nel cammino dell’umanità con la Speranza nell’eschaton.

Se desideriamo che le comunità diventino luoghi profetici, dobbiamo connettere la pastorale e l’evangelizzazione  con l’idea che la missione è azione trasformatrice della storia. Anzi, si può affermare che la responsabilità dell’evangelizzazione si gioca sulla forza di vivere la tensione critico-profetica nei riguardi del mondo, non tanto per supplire alle assenze della speranza, con il rischio di non valorizzare e promuovere la maturità della storia umana, quanto per attestare che il Vangelo offre molto di più di quanto l’uomo non osi sperare.

Ed ancora, alla testimonianza della Parola, il Signore ci permetta di aggiungere ora la testimonianza dell’azione. Andare incontro al mondo, evangelizzarlo con lo Spirito di Gesù, significa penetrare nel sottomondo delle maggioranze e delle minoranze povere come ‘Chiesa madre dei poveri’. La condivisione con i poveri, in qualsiasi situazione di povertà-afflizione, è nella comunità cristiana una scelta evangelica da interpretare come esodo e profezia.

Per questa strada  le comunità ecclesiali diventano delle “cittadelle di speranza costruite ai margini della disperazione” (R. Niebuhr), comunità-antidoto contro l’individualismo e l’isolamento di molti nostri fratelli.

Soltanto così le nostre comunità, riconciliate dalla Misericordia, saranno in grado di assumere uno stile di vita penitenziale  apprezzando il perdono di Dio per comunicarlo agli altri, contro ogni orgoglio e contro ogni presunzione di autosufficienza.

È questa la strada per rendere le nostre comunità esperte in umanità, infaticabili nella lotta contro le tante forme di ferocia che declassano l’umano.

È questa la strada che abilita le nostre comunità a farsi carico dei poveri e degli afflitti, rendendole dischiuse e prodighe, contro ogni chiusura egoistica e ogni visione razzista.

È questa la strada  per promuovere una più matura comunione di tutte le componenti ecclesiali, perché tutti i carismi, nella loro specificità, possano pienamente e liberamente contribuire all’edificazione dell’unico Corpo di Cristo.

È questa la strada per rendere le nostre comunità luoghi in cui viene celebrato e vissuto il Signore Risorto e viene promossa la cultura della Risurrezione.

A noi, responsabili di comunità ecclesiali, spetta il compito di essere segno dell’inquietudine, appello del “non ancora”, stimolo dell’ulteriorità, per una Chiesa più coraggiosa e più profetica.

La pochezza della nostra fede ci impedisce di essere profetici; anzi, ci capita, non di rado, di ignorare qualcosa di rilevante – l’incontro con un ammalato, l’ascolto di una confessione, la celebrazione eucaristica, la gioia per una riconciliazione – attraverso cui il Signore si rivela e ci chiama. Quanti veli coprono i nostri occhi quando, incrociando stranieri di ogni nazionalità, non riusciamo a vedere in loro Gesù!

Fratelli e sorelle carissimi, nel grande scenario della Quaresima, ci attende il deserto con le sue tentazioni, sullo sfondo, la croce con l’appuntamento dello spirito del male. Agli attacchi del male, che gioca sulle fondamentali concupiscenze dell’uomo, la risposta di Gesù, sillabata sull’alfabeto della Parola di Dio, un grande e chiaro insegnamento per noi che ci accingiamo ad accompagnare il Maestro sulla via della Passione. Anche nelle nostre vite sono presenti i deserti della tentazione. Siamo affamati dei beni della terra e, pur di ricavarne profitto, la defraudiamo della sua bellezza. Siamo sedotti dalle magnifiche risorse della tecnologia, che ci lusingano con la promessa di avere nelle nostre mani spazio e  tempo. Siamo conquistati dal meraviglioso delle fiction televisive e sogniamo un’esistenza all’insegna del miracolistico, fuori dal limite ed anche dalla grandezza del quotidiano. A queste tentazioni, Gesù c’insegna a rispondere con la sapienza della Parola che deve diventare vita. Venire tentati non è semplicemente rischiare di essere sedotti dal male ma anche essere messi alle strette per una scelta decisiva: o la sicurezza di una vita  “garantita”, o la totale fiducia in Dio, senza neppur sapere, come Abramo, dove vorrà portarci.

Con la contemplazione  di Gesù nel deserto, che apre il tempo quaresimale, inizia per noi il tempo privilegiato  per rinunciare all’efficientismo, alla logica della produttività, allo sfruttamento, alla mercificazione dell’umano, ad ogni forma di ingiustizia sociale, tutti segni, distanti mille miglia dalla vita secondo lo spirito. Quest’ultima non ci assicura niente: né gratificazioni immediate, né una vita felice, né il raggiungimento del successo, né benessere fisico e materiale.  Ci permette di vivere trasformati dallo Spirito che ci abilita a farci ‘chiesa in uscita’.

“Riconciliamoci con la Speranza” – diceva don Tonino Bello –“arriva la Pasqua: frantumi il nostro peccato, frantumi le nostre disperazioni. Ci faccia vedere le tristezze, le malattie, la nostra confusione, il nostro fallimento, il nostro smacco, il nostro buco (perché potrebbe sembrare che abbiamo bucato nella vita), ci faccia vedere perfino la morte dal versante giusto, dal versante della risurrezione, che è il versante della speranza. La Quaresima non è soltanto la fontana della Carità. Non è solo l’acquedotto della Speranza, ma è anche la sorgente della Fede” .

Con le parole di Bonhoeffer, dico anche a voi: “vogliamo parlare a questo mondo, e dirgli non una mezza parola, ma una parola intera. Dobbiamo pregare perché questa parola ci sia data”.

Affidiamoci al cuore di Maria ai piedi della Croce e chiediamo che questa Quaresima produca frutti autentici di conversione riaccendendo in ognuno  una nuova fantasia della Carità.

Con cuore amico, vi benedico.

†  Francesco Savino

 

[1] S. Noceti, «Verso una chiesa della misericordia», in Credere Oggi 4 (2014) 66