Omelie

XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 28 agosto 2016


XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO [SCARICA]
“Ancora di Sabato, giorno del riposo nella pace dell’ascolto, della lode e della mensa; ancora a tavola, luogo di grandi rivelazioni; e ancora a casa di uno dei capi dei farisei (Lc 14, 1), i “separati separanti” da cui Gesù non si separa, essendo egli l’ospitalità di Dio che nessuno esclude. Uno stare a tavola con altri commensali da “osservato” (Lc 14, 1), Gesù il provocatore con il suo stesso esserci è al centro dell’attenzione, e a sua volta “osserva”, facendo considerazioni. A partire da due dati: la scelta dei posti (Lc 14, 7-11) e la scelta degli invitati (Lc 14, 12-14) che diventano per lui occasione di una parabola, di un paragone con il suo modo di pensare e di sentire la realtà, di soppesarla” (cfr. Giancarlo Bruni).

“Osservando come gli invitati scelgono i primi posti, dice loro  una parabola …”: Gesù fa discernimento continuo osservando con attenzione e profondità gli eventi quotidiani della vita e si lascia interrogare e al tempo stesso interroga la realtà dei fatti, sempre alla luce della sua relazione intima con il Padre, Dio. Con la parabola, poi, invita i presenti di quella casa, e oggi noi qui, a vigilare sul desiderio di protagonismo, spesso espressione di narcisismo: esso spinge a  cercare  i primi posti, quelli in vista, per esempio nei banchetti, rischiando spesso di doverlo  cedere perché il padrone di casa lo ha riservato all’ospite più importante (cfr. Pr 25, 6-7). Ci riconosciamo tutti   dominati molto spesso da una voglia sfrenata, talvolta ossessiva, di primeggiare, di non accontentarci della condizione che Dio assegna a ciascuno.

Di fronte alla scelta di un posto, Gesù ci invita a scegliere l’ultimo, come ha fatto lui stesso, che “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, anzi alla morte di Croce” (Fil 2,8). Ed è per questo che Dio lo ha esaltato richiamandolo dalla morte alla vita eterna (cfr. Fil 2, 9-11).

Il Signore, come conclusione, pronuncia parole ormai  proverbiali: “Chi si esalta sarà umiliato; chi si umilia sarà esaltato”.

L’”umiltà”, sostiene Enzo Bianchi “è una virtù difficilissima da vivere, sulla quale sarebbe meglio tacere, perché si rischia di ingenerare atteggiamenti perversi, alla ricerca di meriti speciali, finendo per incoraggiare proprio quei comportamenti contestati da Gesù. Meglio sarebbe parlare di “umiliazione”, perché solo accogliendo le umiliazioni che ci vengono da noi stessi, dagli altri e da Dio, potremo scoprire la nostra radicale povertà e accedere all’umiltà: solo chi accetta le umiliazioni e le assume nella fede è davvero umile!”

Rivolgendosi a colui che lo ospita, Gesù dice ancora: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi”.

Questa scelta rende “beati” (Lc 14, 14): “Dio ama chi dona con gioia” (2 Cor 9, 7), con larghezza e senza mira di ricompensa. Possiamo essere beati, secondo Gesù, quando, sentendoci amati da Dio,  siamo certi che chi aiuta un suo simile a risollevarsi dall’indigenza  e dalla sofferenza è introdotto nella resurrezione: “Riceverai la tua ricompensa alla resurrezione dei giusti”.

La beatitudine è, dunque, quella gioia che  prova nell’amare in pura perdita, senza attendersi nulla, chi desidera avere “gli stessi sentimenti che furono in Gesù Cristo” (cfr. Fil 2, 5). Questa è la felicità del discepolo di Gesù, il Cristo Risorto. L’amore senza calcoli è il motore della vita cristiana e della Chiesa che è chiamata ogni giorno a stare tra gli ultimi, per gli ultimi.

Auguro a tutti una domenica in cui  ci convertiamo alla beatitudine indicata da Gesù.

   Francesco Savino