Omelie

XXIII DOMENICA DELTEMPO ORDINARIO (anno C)


Sap 9, 13-18; Sal 89; Fm 9b-10. 12-17; Lc 14, 25-33

4  Settembre2022

Gesù, dopo aver pranzato a casa di uno dei capi dei farisei, riprende il suo cammino verso Gerusalemme, seguito da una folla numerosa.

La predicazione e i gesti che Egli compie generano negli ascoltatori la disponibilità ad accompagnarlo lungo la strada, ma Gesù, che vuole accanto a se discepoli e non militanti, si volta indietro per incrociare gli sguardi della folla e rivolge parole chiare che non consentono illusioni o menzogne. Sono parole dure, che possono urtarci e dispiacerci, ma Egli non fa sconti sulla verità e sulla autenticità.

Gesù dichiara: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”. Domandiamoci: perché tanta radicalità? Gesù mette in contrasto lo stare con lui e l’amore famigliare, filiale, coniugale e fraterno, nonché l’amore per la propria vita.

Egli conosce in profondità il cuore umano, conosce il grande potere dei legami di sangue, conosce la possibilità che la famiglia diventi una specie di gabbia o prigione. L’intento educativo di Gesù consiste nella liberazione che vuole attuare in ogni uomo e in ogni donna da tutte le forme idolatriche, da tutti quei legami che possono impedire una vita libera e piena, e tra questi, dobbiamo riconoscerlo con onestà, ci sono i legami e gli affetti di sangue e di famiglia.

Se consideriamo la storia delle vocazioni cristiane constatiamo spesso il verificarsi di conflitti e di sofferenze nelle famiglie. Queste ultime a volte ostacolano o si ribellano alla vocazione del figlio e della figlia e quante volte alcune vocazioni abortiscono perché anche quando inizia e continua la sequela, il legame con la famiglia rimane ed è più forte del legame con il Signore. La mondanizzazione che spesso seduce la vita ecclesiale, religiosa e monastica banalizza le relazioni tra chiamato e famiglia e le rende superficiali.

Gesù dichiara anche che “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”. “Questo regime degli affetti è duro, costa fatica, ma è il “portare la propria croce”, cioè il portare lo strumento di esecuzione del proprio io philautico, egoista. Ognuno ha una propria croce da portare, nessuno ne è esente, ma non si devono fare paragoni. Gesù, infatti, sa che quanti lo seguono fedelmente si troveranno coinvolti anche nella sua passione e morte, quando egli porterà la croce. Si tratterà di imparare da Gesù, quando egli parla, agisce, ma anche quando sarà condannato, torturato e ucciso nell’ignominia della croce. Essere discepoli di Gesù non è l’esperienza di un momento (cfr. Mc 4,12-13; Mt 13,20-21), non è un provare per verificare, ma è la decisione di rispondere a una chiamata, è un “amen” che va detto con ponderazione, con discernimento, senza obbedire alle emozioni del momento”.(Enzo Bianchi)

Portare la croce è l’altra condizione paradossale per seguire Gesù ed è comprensibile soltanto in rapporto a Lui, come espressione di una condivisione radicale della sua logica e del suo destino. Portare la croce, allora, è essere disposti a donare la propria vita. Non si tratta, quindi, di ciò che già fa parte della condizione umana, la sofferenza, ma significa conformarsi al cammino di Gesù, alle sue scelte, al suo modo di essere e come lui camminare verso il dono della vita. Seguono, poi, due parabole che sono un avvertimento: Gesù non fa propaganda per le vocazioni anzi le dissuade.

Con la prima parabola Gesù avverte: “Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine”? SeguirLo richiede non l’entusiasmo di un momento, non solo un primo innamoramento, ma un tempo di silenzio e di meditazione profonda su se stessi, un discernimento, difficile ma necessario, per comprendere fino in fondo il progetto di Dio e quindi l’adesione. La seconda parabola ci avverte che bisogna saper misurare bene le proprie forze per vincere quello che è un combattimento spirituale senza tregua.

Seguire Gesù esige la capacità di fare guerra contro il nemico, il diavolo che ci tenta e che vorrebbe farci cadere per abbandonare la sequela stessa. A colui che segue Gesù spetta non solo iniziare il cammino ma portarlo a compimento, con l’aiuto della grazia, che non è mai negata a chi la invoca e la cerca con cuore semplice e sincero.

Il Vangelo di questa Domenica si chiude con l’invito di Gesù a chi vuole essere suo discepolo a rinunciare a tutti gli averi perché costituiscono sempre la tentazione di diventare una sorta di idolo che può prendere il posto di Gesù nel cuore stesso del discepolo.

Lasciamoci convertire da questa parola di Gesù per essere, oggi, dei cristiani credibili.

Buona Domenica.

✠   Francesco Savino

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