XXXIV Domenica del Tempo Ordinario anno A 22 Novembre 2020

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario anno A 22 Novembre 2020
21-11-2020

SOLENNITÀ DI NOSTRO SIGNORE GESU CRISTO RE  DELL’UNIVERSO

XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (anno A)

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Ez 34,11-12.15-17; Sal 22; 1 Cor 15,20-26a.28; Mt 25,31-46

22  Novembre  2020

Siamo all’ultima Domenica dell’Anno Liturgico e celebriamo la Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo.

La regalità del Signore Gesù è guida, servizio, ed è anche una regalità che alla fine dei tempi si affermerà come giudizio.

Nella liturgia della Parola di oggi viene proclamata la conclusione del discorso escatologico che Gesù fa, a Gerusalemme, poco prima della sua passione e morte.

Abbiamo davanti a noi il Cristo come giudice che mostra i criteri di appartenenza al Regno di Dio.

“Quando il Figlio dell’Uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui ….”: a conclusione della storia c’è la venuta del Figlio dell’Uomo, che nell’umiltà della carne è venuto nel mondo ed ha annunciato il Regno di Dio in azioni e parole, che ha subito la passione e la morte, che verrà nella gloria per ricapitolare tutte le cose.

La scena del giudizio è grandiosa: “Davanti a Lui saranno radunati tutti i popoli”. Ed Egli farà una separazione tra gli esseri umani, allo stesso modo con cui un pastore separa le pecore dalle capre. Se la zizzania cresce insieme al grano, quando il figlio dell’Uomo “siederà sul trono della sua gloria”, opererà una distinzione. Il Re “renderà a ciascuno secondo le sue azioni” (Mt 16, 27).

Su quali elementi di discernimento il Re formula il giudizio?

Non la fragilità degli uomini, il male da essi compiuto in quanto attratti dalle passioni appaiono come la causa di vita o di morte eterna. Non sono neppure elencati i peccati contro Dio, quali la bestemmia o la mancata osservanza di tradizioni religiose. L’esclusione o l’ingresso nel Regno sono stabiliti sulle relazioni interumane, in particolare in riferimento alle situazioni di bisogno o di sofferenza: la fame, la sete, l’emarginazione dello straniero, la nudità, la malattia, la prigionia.

La salvezza sta nella relazione con l’altro, non nel culto e nemmeno  nelle cerimonie liturgiche, ma nella relazione di una carne che tocca un’altra carne. L’amore di cui Gesù parla è concreto, è responsabilità totale. Se la preghiera e i sacramenti non generano amore concreto,  sono sterili.

Il giudizio del Re stupisce coloro ai quali viene rivolta: “Signore, quando mai abbiamo fatto questo e quest’altro?”. Lo stupore dei giusti è riconducibile al fatto che essi non sanno di essere stati misericordiosi verso Gesù quando hanno aiutato un fratello nel bisogno. L’apostolo San Giovanni dice: “Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di Lui è compiuto in noi … se uno dice: «io amo Dio» e odia suo fratello è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4, 12.20).

Lo stesso stupore coglie anche quelli che vengono esclusi dal Regno, ai quali il Re si rivolge con la maledizione perché la fedeltà verso di Lui è stata negata ogni volta che non Lo hanno riconosciuto nei fratelli bisognosi di aiuto.

Il giudizio di “Cristo Re dell’universo” ci richiama ad una costante revisione dei nostri comportamenti perché non scadano nell’indifferenza.

Chiediamo allo Spirito Santo di donarci lo sguardo di Dio su noi stessi, sui fratelli e sulle scelte che ogni giorno facciamo.  

Buona Domenica.                                                         

 

                                                                         ✠   Francesco Savino

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