31 Marzo 2020

Volgiamo lo sguardo a Gesù crocifisso che ha fatto di ciascuno di noi una persona libera

Sintesi Omelia Martedì 31 Marzo 2020 [SCARICA]

Vorrei, innanzitutto, invitare tutti noi a comprendere che ogni volta che ascoltiamo la parola di Dio, o tutte le volte che la leggiamo, la parola di Dio è per noi. Anche se è una Parola datata storicamente e cronologicamente, la parola di Dio è per l’oggi della nostra vita. Pertanto, la parola di Dio di questa mattina, deve generare in noi la consapevolezza che Dio la rivolge a noi, uomini e donne di questo tempo che cerchiamo di vivere alla sequela di Cristo crocifisso e risorto. Vorrei, innanzitutto, soffermarmi a riflettere sul testo della prima lettura, tratta dal libro dei Numeri, che ci aiuta a capire quanto sia difficile il cammino della liberazione. Ieri per il popolo di Israele in quell’esodo dalla terra di schiavitù d’Egitto alla Terra Promessa, ma direi che sempre, ogni cammino di liberazione è un cammino difficile, problematico, fatto di contraddizioni. La libertà da, la libertà di, la libertà per, è sempre un cammino di liberazione difficile. Il popolo di Israele viveva una situazione di schiavitù, di oppressione, non aveva la condizione fondamentale di essere popolo e di vivere i diritti fondamentali a livello personale perché viveva nella schiavitù. Dio, ad un certo momento, ascolta il grido del popolo d’Israele e, attraverso Mosè, fa sì che questo popolo inizi un cammino di liberazione dall’Egitto alla Terra Promessa. Ma quante difficoltà, quante contraddizioni, quante contestazioni, quante ribellioni e quante mormorazioni!

Spesso il popolo mormora e nel linguaggio biblico, la mormorazione consiste nel non fidarsi più di Dio, nel contestarlo, nel ribellarsi. E proprio il testo di oggi, tratto dal libro dei Numeri (21, 4-9), ci presenta la stanchezza di questo popolo che dice  contro Dio e contro Mosè: «Perché ci avete fatti uscire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero». Ebbene, quando si inizia un cammino di liberazione, c’è sempre la nostalgia e il rimpianto anche di quando si viveva nella condizione di oppressione,  di mancanza di libertà; era meglio mangiare le cipolle che non mangiare, ora nell’attraversare il deserto, questo cibo leggero, la manna. Ricordiamocelo tutti, ogni cammino di liberazione implica sempre l’attraversamento del deserto e sappiamo che il deserto è sempre un luogo di assenze, di penuria, di povertà, vi si ascolta la voce del vento, non c’è acqua, però il deserto è fondamentale per arrivare alla Terra Promessa, alla liberazione. Non a caso la caratteristica fondamentale della Quaresima è proprio il deserto che è il tempo della purificazione, della conversione, del cambiamento. Ma come è difficile attraversare il deserto!

E questo popolo, contesta, mormora, se la prendevo Dio e con Mosè. Quindi, questo popolo che rimpiange la schiavitù sperimenta una situazione terribile: “Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un gran numero d’Israeliti morì”. Il serpente, nella storia biblica, è sempre associato al male, al peccato; si pensi alla storia di Adamo ed Eva. Il serpente è simbolo del peccato. Gli Israeliti vivono, dunque, un momento drammatico della loro storia. Ma, ancora una volta, Mosè è colui che si mette in mezzo, è l’intercessore. Mosè è la testimonianza, forse più bella, nella storia biblica dell’intercessione. Mosè prega per il popolo e allora il Signore gli suggerisce: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita».

Si apre qui tutta una discussione interpretativa, riguardo al fatto che chi viene morso dal serpente deve guardare al serpente che, ovviamente, sarà un serpente di metallo messo sopra un’asta. Sembrerebbe una sorta di idolo da adorare. 

Per aiutarci a capire il senso di questo gesto liberatore di Mosè su suggerimento di Dio, rileggiamo il dialogo notturno fra Gesù e Nicodemo (Gv 3, 14-16): “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.”

Ecco così che nell’esperienza di Gesù, riusciamo a capire il senso, il significato anticipatore, quasi profetico di questo gesto di Mosè. Sarà Gesù, figlio di Dio, che innalzato, vale a dire nel linguaggio di Giovanni, crocifisso e glorificato, a salvare chi lo guarderà. In altri termini, così come gli uomini e le donne che stavano camminando per raggiungere la Terra Promessa, dovevano guardare quel serpente innalzato sull’asta per potersi salvare, così,  se noi vogliamo sperimentare la vera liberazione, la salvezza, dobbiamo volgere lo sguardo a colui che hanno crocifisso, che è stato innalzato, glorificato ed è stato risuscitato dal Padre. E allora  nel nostro cammino di liberazione, che è sempre un cammino faticoso e sempre in divenire poiché non possiamo mai completamente, dirci liberati da ogni situazione di peccato, dobbiamo volgere lo sguardo a Colui che hanno trafitto. Così bisogna che sia innalzato il figlio dell’uomo. Allora oggi vi invito a volgere lo sguardo a Gesù crocifisso e a ringraziarlo perché con la sua passione, con la sua morte e risurrezione, ha fatto di ciascuno di noi una persona libera, liberata e salvata.

  Francesco Savino