
Solenne Celebrazione Eucaristica a conclusione del Pellegrinaggio della Croce della Misericordia
Il Vescovo della Diocesi di Cassano All’Jonio e Vicepresidente della CEI ha presieduto la Santa Messa Solenne, a conclusione del Pellegrinaggio della Croce della Misericordia negli istituti penitenziari calabresi, presso la Chiesa Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime a Paravati. Ha concelebrato e portato il saluto della Diocesi ospitante, S.E. Rev.ma Mons. Attilio Nostro Vescovo della diocesi di Nicotera.
Durante lo spezzare della Parola il presule cassanese e vicepresidente della CEI ha detto: “dal momento che la presenza di Cristo, da duemila anni, la stiamo sperimentando con tutte le nostre incertezze, con tutte le nostre paure ma anche con tutta la bellezza. Soprattutto in tutte quelle volte in cui siamo capaci di aderire alla proposta di viverla, nel qui ed ora, di questo tempo, siamo tutti in cammino, stiamo cercando di fare Sinodo. Un sinodo che ci offre delle grandi opportunità, delle grandi possibilità. In cui viviamo il nostro essere Chiesa anche se stiamo vivendo, indubbiamente, un tempo complesso che ci fa capire che è in atto un processo di scristianizzazione col quale dobbiamo cercare di dialogare, dobbiamo lasciarci interrogare. Siamo chiamati ad una vera e propria conversione. Aveva ragione San Giovanni Grisostomo quando diceva che Chiesa e sinodo sono sinonimi, sono la stessa cosa. O la chiesa è sinodale o la chiesa viene meno ad una dimensione costitutiva del suo fondatore.
La Chiesa è una sinfonia carismatica e ad essa deve corrispondere una sinfonia di ministeri pastorali. E guai se venissimo meno a questo rapporto tra teologia carismatica e teologia pastorale. Una pastorale senza una dimensione carismatica sarebbe una pastorale senza anima, sarebbe una pastorale monocratica e funzionale. La Chiesa è il sacramento del seno di Cristo da cui, nel qui e nell’oggi, viviamo la nostra esistenza.
Perché ho voluto richiamare a noi tutti la dimensione carismatica e ministeriale, ma al tempo stesso la dimensione sinodale? Perché il sinodo, grazie a Papa Francesco, ci ha consegnato un metodo: quello della conversazione spirituale. Fu soprattutto Sant’Ignazio di Loyola che, nella sistematica degli esercizi spirituali, intuì come metodo da dare ai suoi seguaci della “Compagnia dei giusti” il metodo dell’ascoltare la Parola e conversare con la Parola, leggere la Parola e dialogare con la Parola, sia a livello personale che comunitario, che ci ha interpellato, che ci ha provocato. Ed è nostro compito in questo momento lasciarci attraversare, lasciarci abitare da questa Parola e cercare di cogliere almeno l’essenziale di questa Parola.
Lasciandoci interrogare da questa Parola, ho colto ancora una volta l’identità del Cristianesimo. Perché Paolo e Pietro ci riportano all’identità originale ed originaria dell’esperienza cristiana.
Che cos’è il Cristianesimo? È più facile dire che cosa non è. Il Cristianesimo non è un’ideologia. Il Cristianesimo non è un’etica, una morale, un insieme di principi orientativi della vita. Lasciamolo a tanti filosofi e pensatori, dirci le ideologie, dirci gli orientamenti etici. Il cristianesimo è altro. È una persona, una storia, una relazione, un incontro. Il Cristianesimo si chiama Gesù di Nazareth alla cui sequela siamo tutti chiamati e a cui corrisponde una vocazione specifica che ci accomuna, che si chiama vita. Dentro la vita, poi, la molteplicità delle vocazioni, ma se non comprendiamo la vocazione originaria che è la vita non possiamo capire, evidentemente, le chiamate diverse e carismatiche ministeriali che ci accomunano. Il Cristianesimo è Gesù di Nazareth, una storia un accadimento, un avvenimento e quando lo incontri ti cambia la vita. Ti cambia lo sguardo sulla vita. E da questo sguardo sulla vita e sulla realtà scaturiscono, poi, le relazioni, i comportamenti, gli accadimenti, ciò che siamo e ciò che dovremo essere nel mondo e nella vita.
“Il Vangelo di oggi” spiega Mons. Francesco Savino “ce lo ha fatto capire. L’esperienza di Paolo a conclusione della sua vita, ce lo ha fatto capire l’esperienza di martirio ed incarcerazione di Pietro.
Anche Gesù, ad un certo momento della sua vita, ha sentito il bisogno di capire cosa gli altri avessero capito della sua identità, della sua predicazione, della sua missione, dei suoi gesti terapeutici che noi chiamiamo guarigione.
Umanamente tutti sentiamo il bisogno di capire se la gente ha compreso ciò che cerchiamo di essere e poi di fare.
I discepoli riportano alcune idee su di lui. Giovanni Battista, Elia, Geremia o qualcuno dei profeti. E penso che Gesù sia andato in profonda crisi capendo che nessuno abbia compreso niente di lui.
Voi che state con me, dice il Signore Gesù, chi pensate che io sia? È bello pensare questo passaggio di livello: da un piano sociologico o demoscopico a un livello più interessante e significativo. Voi che siete la mia comunità chi dite che io sia?
Pietro è testimonianza di ciò che siamo noi, una contraddizione. Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente ma sappiamo poi che cosa accade. Lui è destinatario della Beatitudine di Gesù, subito dopo, quando Gesù annuncia la sua Passione, Pietro si ribella perché anche qui c’è la solita tentazione, perché vorremmo un Gesù ad immagine e somiglianza, un Gesù che corrisponde ai desideri del nostro cuore e del nostro pensiero, e dal momento che non c’è questa corrispondenza noi ci mondanizziamo.
Pietro risponde: “tu sei Cristo” ed è questa la consegna di Gesù a Pietro che sarà colui che guiderà, nella carità e nell’amore, tutte le Chiese.
Pietro è Papa e Vescovo di Roma. È bello fermarci sulla prima parola di Pietro: “Tu”. Il Cristianesimo è dare il “Tu” a Gesù e vivere con lui una familiarità, una consuetudine di rapporto. È questa la bellezza dell’esperienza cristiana. È questa relazione io, tu con Gesù. È di tante persone che insieme diventiamo il popolo che da il “TU” a Cristo, che siamo il popolo dei discepoli.
La scoperta del “Tu” che diamo a Gesù è la scoperta dell’esperienza cristiana che ci porta, inesorabilmente, se siamo fedeli a questo “Tu”, siamo tutti portati alla persecuzione.
Il Cristianesimo non è esperienza di ricerca di successo. Se siamo alla ricerca di successo dobbiamo fare altro nella vita. Il Cristianesimo storicamente è un fallimento, perché Gesù muore da fallito. In quel fallimento storico c’è la condizione della Resurrezione ecco perché l’idea della “Peregrinatio Crucis” in compagnia dei carcerati: perché nessuno, neanche il più carta impecorito del male, è un condannato a un destino di morte. Dio ci vuole alla vita eterna tutti, nessuno escluso.
Dico grazie a voi cappellani perché per me il carcere è il luogo dove voi siete chiamati a fare tirocinio, una teologia dell’incontro con Gesù, ero in carcere e mi hai visitato. È su questo che mi avete inevitabilmente giudicato.
Dobbiamo testimoniare che il carcere è il penultimo luogo perché anche il detenuto è chiamato alla Resurrezione, alla Vita Eterna.
Due devono essere i sentimenti che devono abitarci: “il sentimento del Grazie figlio della Grazia” deve essere diffuso tra di voi e una Grazia che deve generare Grazia.
Ai cappellani e agli operatori chiedo di far camminare la speranza non lasciando questi fratelli abbandonati al loro destino.
A margine della Celebrazione Eucaristica ha preso la parola don Francesco Faillace, referente regionale della Pastorale carceraria, sacerdote incardinato nella Diocesi di Cassano All’Jonio e direttore dell’ufficio diocesano di pastorale carceraria. È stata accolta un’icona raffigurante la Croce della Misericordia e la Santa Messa è stata celebrata utilizzando, per la prima volta, un Calice realizzato dai detenuti della Casa Circondariale “Antonio Caputo” di Salerno.
Caterina La Banca
Direttore UCS