
NON C’È EUCARISTIA SENZA CHIESA
Nota pastorale del Vescovo Francesco Savino
a tutti i fedeli della Diocesi di Cassano all’Jonio
sulla liturgia
con annesso decreto generale
circa alcune norme che sono da osservarsi
per la celebrazione della Santissima Eucaristia
I.
Parte introduttiva
Il ministero episcopale è etimologicamente e ontologicamente legato alla vigilanza che dev’essere esercitata nei confronti del gregge di Cristo perché, seguendolo docilmente, sperimenti la sua cura e, nutrendosi alla mensa che Egli stesso ha preparato, diventi una sola cosa, nello Spirito, con il Figlio e con il Padre.
Come insegna il Concilio Vaticano II la liturgia è «il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia» (SC10) e l’Eucarestia in particolare è «fonte e apice di tutta la vita cristiana» (LG11).
Il Magistero poi, ha più volte ricordato che la Chiesa nasce dall’Eucaristia, cioè dal continuo rinnovarsi del Mistero pasquale e sponsale di Cristo. Non c’è Chiesa, perciò, senza Eucaristia e non c’è Eucaristia senza Chiesa. Tra Eucaristia e Chiesa, insomma, c’è un inscindibile, reciproco legame.
Il Santo Padre Francesco ha recentemente voluto dedicare una Lettera Apostolica per la formazione del popolo di Dio alla liturgia e all’importanza della celebrazione eucaristica, dal titolo Desiderio desideravi. Sottolineando la bellezza dell’incontro con Cristo, il Papa ha scritto: «La fede cristiana o è incontro con Lui vivo o non è. La Liturgia ci garantisce la possibilità di tale incontro. A noi non serve un vago ricordo dell’ultima Cena: noi abbiamo bisogno di essere presenti a quella Cena, di poter ascoltare la sua voce, mangiare il suo Corpo e bere il suo Sangue: abbiamo bisogno di Lui. Nell’Eucaristia e in tutti i sacramenti ci viene garantita la possibilità di incontrare il Signore Gesù e di essere raggiunti dalla potenza della sua Pasqua. La potenza salvifica del sacrificio di Gesù, di ogni sua parola, di ogni suo gesto, sguardo, sentimento ci raggiunge nella celebrazione dei sacramenti. Io sono Nicodemo e la Samaritana, l’indemoniato di Cafarnao e il paralitico in casa di Pietro, la peccatrice perdonata e l’emorroissa, la figlia di Giairo e il cieco di Gerico, Zaccheo e Lazzaro, il ladrone e Pietro perdonati. Il Signore Gesù che immolato sulla croce, più non muore, e con i segni della passione vive immortale continua a perdonarci, a guarirci, a salvarci con la potenza dei sacramenti. È il modo concreto, per via di incarnazione, con il quale ci ama; è il modo con il quale sazia quella sete di noi che ha dichiarato sulla croce (Gv 19,28)» (DD, 10-11).
Il Santo Padre, quindi, fa appello ai ministri ordinati: «Un modo per custodire e per crescere nella comprensione vitale dei simboli della Liturgia è certamente quello di curare l’arte del celebrare. Anche questa espressione è oggetto di diverse interpretazioni. Essa si chiarisce se viene compresa avendo come riferimento il senso teologico della Liturgia descritto in Sacrosanctum Concilium al n. 7. L’ars celebrandi non può essere ridotta alla sola osservanza di un apparato rubricale e non può nemmeno essere pensata come una fantasiosa – a volte selvaggia – creatività senza regole. Il rito è per se stesso norma e la norma non è mai fine a se stessa, ma sempre a servizio della realtà più alta che vuole custodire. Come ogni arte, richiede diverse conoscenze. Anzitutto la comprensione del dinamismo che descrive la Liturgia. Il momento dell’azione celebrativa è il luogo nel quale attraverso il memoriale si fa presente il mistero pasquale perché i battezzati, in forza della loro partecipazione, possano farne esperienza nella loro vita: senza questa comprensione facilmente si cade nell’esteriorismo (più o meno raffinato) e nel rubricismo (più o meno rigido). Occorre, poi, conoscere come lo Spirito Santo agisce in ogni celebrazione: l’arte del celebrare deve essere in sintonia con l’azione dello Spirito. Solo così sarà libera da soggettivismi, che sono il frutto del prevalere di sensibilità individuali, e da culturalismi, che sono acquisizioni acritiche di elementi culturali che non hanno nulla a che vedere da un corretto processo di inculturazione. È necessario, infine, conoscere le dinamiche del linguaggio simbolico, la sua peculiarità, la sua efficacia» (DD, 48-49).
Tutti i fedeli e, in particolare i presbiteri, devono riflettere attentamente su questo legame con il mistero pasquale di Cristo e verificare se le celebrazioni liturgiche che avvengono nelle Parrocchie rispecchiano quanto oggi la Chiesa crede e insegna.
Il rischio, infatti, è quello di svuotare di senso e di significato il grande sacramento che c’è stato affidato; è necessario invece, rinnovare continuamente lo “stupore eucaristico” per poter, sempre nuovamente, vivere il Memoriale del Signore.
A proposito dell’intimo legame esistente tra Liturgia e Chiesa e, di conseguenza, tra Parrocchia, Eucaristia, assemblea e incontro personale e comunitario con Cristo, desidero portare l’attenzione a un problema che si verifica in alcune realtà pastorali: la “fuga” da una Parrocchia all’altra per i Sacramenti dell’Iniziazione cristiana. Si tratta di un fenomeno esistente qua o là e spesso denunciato con amarezza da parte delle parrocchie interessate.
Per individuare i rimedi occorre ricercare le cause: perché alcuni genitori preferiscono portare i loro bambini in una Parrocchia diversa dalla propria? Tra le molte risposte possibili, individuo queste:
- perché è poco vissuto il rapporto comunitario. Non ci si sente parte viva di una famiglia di credenti. Il sacramento è visto perciò come un fatto privato: “lo ricevo dove voglio”;
- perché esistono Parrocchie “più facili”: dove cioè si è meno esigenti circa la preparazione ai sacramenti stessi: o a proposito dell’arco di tempo, o per la frequenza degli incontri, o nel vigile controllo sull’apprendimento e sul reale cammino di fede.
Cosa fare dunque per correggere il fenomeno? Non è sufficiente esigere il “nulla osta” (talora non si fa neppure questo) del Parroco di residenza: risulta infatti tanto antipatico metterlo in condizione di opporre ogni volta un rifiuto.
Occorre, piuttosto, coltivare un “senso di Chiesa” più vivo: il senso, cioè, dell’appartenenza a quella grande famiglia dei figli di Dio, che proprio nel luogo e nella comunità in cui si vive “si fa evento”. La Parrocchia appare allora come il contesto connaturale di ogni sacramento che non solo ci innesta nel Cristo, ma ci introduce nella Chiesa.
È necessario, inoltre, ribadire con forza che la catechesi rischia di essere del tutto irrilevante se non conduce e non culmina nella partecipazione comunitaria all’Eucaristica domenicale! I parroci, perciò vigilino perché non si riduca il percorso catechistico alla mera partecipazione a degli incontri di preparazione ai sacramenti, e facciano tutto il possibile per rendere desiderabile a fanciulli e famiglie l’incontro eucaristico domenicale con Cristo e con la Chiesa nel Giorno del Signore! In tal senso, faccio ancora una volta appello a tutti i presbiteri, ai catechisti e agli operatori pastorali che in tutte le Parrocchie della Diocesi si adottino percorsi di riscoperta della fede che vedano la partecipazione attiva delle famiglie (si adotti, cioè, quell’itinerario di tipo catecumenale che la nostra Diocesi ha scelto ormai da circa sette anni!), abbandonando definitivamente quell’impostazione di tipo scolastico (e di una scuola che non c’è più!) rivolta ai soli bambini, non più adatta al nostro tempo.
C’è da correggere, infine, una falsa ed errata impostazione pastorale, che si preoccupa principalmente di assicurare Messe in tutto l’arco della giornata, dimenticando che l’Eucaristia è il punto di arrivo e il «culmine» dell’azione pastorale. La Messa deve perciò essere preceduta e accompagnata da tutta una rete di impegni comunitari e cioè: catechesi, incontri formativi e fraterni, servizi educativi e caritativi, riconciliazione dei penitenti, prossimità ai malati e agli emarginati.
Di conseguenza, favorire una partecipazione più comoda (e quindi Messe a ogni ora) non è l’unico né il principale criterio pastorale. Peraltro, ciò che impegna meno e si ha con meno sforzo, è spesso svalutato e meno apprezzato.
È bene ricordare che la Messa festiva è «Messa assembleare» e non di piccoli gruppi. Deve essere, perciò, una celebrazione comunitaria e gioiosa, che valorizzi la partecipazione attiva dei fedeli, con tutti i mezzi espressivi, tra cui il canto, e tutti i diversi ministeri. Se le Messe sono troppe – in proporzione alla comunità, alla frequenza e alla capienza dello spazio liturgico – la comunità viene frazionata inutilmente e la celebrazione languisce e manca di vivacità, perché generalmente nemmeno si hanno le ministerialità necessarie a rendere il rito degno del mistero che si celebra.
Occorre, dunque, rivedere il numero delle celebrazioni, in modo che siano più largamente partecipate e rispondano a una vera necessità pastorale.
Alla luce di queste premesse di carattere fondante, ritengo opportuno ora indicare alcune disposizioni normative che devono essere osservate da tutti.
II.
Parte dispositiva
e
decreto generale
Art. 1
- Poiché si viene battezzati in ordine all’Eucaristia, tranne in caso di grave e urgente necessità legata al pericolo di vita del bambino, il sacramento del Battesimo dev’essere amministrato solo durante la celebrazione domenicale della Santissima Eucaristia, in modo che sia effettivamente presente la comunità parrocchiale.
- Per la peculiare indole “catecumenale” del tempo liturgico della Quaresima, tutta orientata alla Pasqua, Mistero in cui si viene immersi e di cui si resi partecipi con il Battesimo, questo sacramento non venga amministrato nel tempo quaresimale.
Art. 2
- Stando all’attuale reale configurazione delle Parrocchie della Diocesi, in ogni comunità parrocchiale si celebri una sola Messa feriale, scegliendo l’orario più consono per favorire la partecipazione dei fedeli.
- Lo stesso si faccia nelle basiliche, nei santuari e nelle rettorie.
- Una seconda Messa, nei giorni feriali, può essere celebrata solo per le esequie e per i matrimoni, non invece in occasione di altre ricorrenze quali ottavari, trigesimi e anniversari, che si devono celebrare esclusivamente durante la Messa d’orario.
- Si faccia in modo che nei Comuni in cui insistono più Parrocchie l’orario della Messa feriale sia diversificato, tenendo conto delle necessità dei fedeli.
Art. 3
- In ogni Parrocchia, regolandosi secondo il numero effettivo degli abitanti, si celebrino due, o al massimo, tre Messe domenicali o festive.
- Nei Comuni in cui insistono più Parrocchie, si faccia in modo che l’orario di queste celebrazioni sia diversificato, in modo da allargare ai fedeli la possibilità di assolvere all’obbligo della Messa domenicale.
Art. 4
In occasione dell’annuale Assemblea diocesana è sospesa la Messa pomeridiana e serale in tutte le Parrocchie, le basiliche, i santuari e le rettorie della Diocesi.
Art. 5
A meno che l’utilità dei fedeli non richieda o non consigli diversamente, è preferibile che i presbiteri concelebrino l’Eucaristia, rimanendo tuttavia intatta per i singoli la libertà di celebrarla in modo individuale, non però nello stesso tempo nel quale nella medesima chiesa o oratorio si tiene la concelebrazione (can. 902).
Art. 6
- Revocando esplicitamente ogni consuetudine o facoltà concessa dai miei predecessori, ristabilisco la normativa generale del Codice di Diritto Canonico, ovvero: eccettuati i casi in cui, a norma del diritto, è lecito celebrare o concelebrare l’Eucaristia più volte nello stesso giorno, non è consentito al sacerdote celebrare più di una volta al giorno (can. 905, §1).
- I giorni in cui è consentito a qualunque presbitero celebrare più volte sono il 2 novembre e il 25 dicembre, con le peculiarità di cui si dirà più sotto.
Art. 7
- Solo l’Ordinario del luogo può concedere che i presbiteri, per giusta causa, celebrino due volte al giorno e anche, se lo richiede la necessità pastorale, tre volte nelle domeniche e nelle feste di precetto (can. 905, §1).
- Concedo in modo generale questa facoltà esclusivamente ai “parroci” i quali, tuttavia, possono binare nei giorni feriali solo in caso di esequie, di matrimoni o in caso di una concelebrazione presieduta dal Vescovo.
- Tutti gli altri presbiteri non possono a nessun titolo binare senza prima aver chiesto, per ogni singolo caso, la licenza all’Ordinario del luogo.
Art. 8
- Il can. 901 stabilisce che il presbitero è libero di applicare la Messa per chiunque, sia per i vivi sia per i defunti.
- Ora, è da richiamare quanto San Paolo VI scriveva nel Motu proprio “Firma in traditione”: «È nella costante tradizione della Chiesa che i fedeli, spinti dal loro senso religioso ed ecclesiale, vogliano unire, per una più attiva partecipazione alla Celebrazione Eucaristica, un loro personale concorso, contribuendo così alle necessità della Chiesa, e particolarmente al sostentamento dei suoi ministri, nello spirito del detto del Signore (…). Tale uso, col quale i fedeli si associano più intimamente a Cristo offerente e ne percepiscono frutti più abbondanti, è stato non solo approvato, ma anche incoraggiato dalla Chiesa che lo considera come una specie di segno di unione del battezzato con Cristo, nonché del fedele con il sacerdote, il quale proprio in suo favore svolge il suo ministero».
- I fedeli che danno l’offerta perché la Messa venga celebrata secondo la loro intenzione, contribuiscono al bene della Chiesa, e mediante tale offerta partecipano della sua sollecitudine per il sostentamento dei ministri e delle opere (can. 946)
- Pertanto, secondo l’uso approvato della Chiesa, è lecito ad ogni sacerdote che celebra la Messa ricevere l’offerta data affinché applichi la Messa secondo una determinata intenzione (can. 945, §1).
Art. 9
- È sempre da evitare, tuttavia, qualsiasi apparenza di “commercio” o, peggio ancora, il rischio di “simonia”.
- È da richiamare con forza, pertanto, il dettato del can. 945, §2: «È vivamente raccomandato ai sacerdoti di celebrare la Messa per le intenzioni dei fedeli, soprattutto dei più poveri, anche senza ricevere alcuna offerta».
Art. 10
Chi è onerato dall’obbligo di celebrare la Messa e di applicarla secondo l’intenzione di coloro che hanno dato l’offerta, vi è ugualmente obbligato anche se, senza sua colpa, le offerte percepite sono andate perdute (can. 949).
Art. 11
Se viene offerta una somma di denaro per l’applicazione di Messe senza indicare il numero delle Messe da celebrare, questo venga computato in ragione dell’offerta stabilita (non più di 20 euro) (can. 950).
Art. 12
Se per una singola Messa si riceve un’offerta maggiore di 20,00 euro, la somma eccedente venga registrata nel registro parrocchiale delle entrate sotto il nome di “offerte in eccedenza per le Messe” e, di conseguenza, versata nella cassa parrocchiale.
Art. 13
- È da ricordare ai parroci l’obbligo grave della Messa “pro populo”, che inerisce e caratterizza l’ufficio da loro esercitato nella Chiesa. Dopo aver preso possesso della parrocchia, il parroco è tenuto all’obbligo di applicare la Messa per il popolo affidatogli ogni domenica e nelle feste che nella sua diocesi sono di precetto; chi ne è legittimamente impedito la applichi negli stessi giorni mediante un altro oppure, in giorni diversi, la applichi personalmente (can. 534, §1).
- Il parroco che ha la cura di più Parrocchie è tenuto ad applicare una sola Messa domenicale per tutto il popolo affidatogli.
- Il parroco che non abbia soddisfatto a tale obbligo, applichi quanto prima tante Messe per il popolo quante ne ha tralasciate.
Art. 14
- Il sacerdote che, avendone la facoltà, celebra più Messe nello stesso giorno può applicare ciascuna di esse secondo l’intenzione per la quale è stata data l’offerta, a condizione però che, al di fuori del giorno di Natale, egli tenga per sé l’offerta di una sola Messa e consegni invece le altre per le finalità stabilite dall’Ordinario (can. 951, §1).
- Il sacerdote che concelebra nello stesso giorno una seconda Messa, a nessun titolo può percepire l’offerta per questa (can. 951, §2).
Art. 15
- Devono essere applicate Messe distinte secondo le intenzioni di coloro per i quali singolarmente l’offerta, anche se esigua, è stata data e accettata (can. 948).
- Qualora un presbitero avesse richiesta di un numero eccessivo di messe, per il principio di comunione può, dopo aver avvisato l’offerente e trasmesso integralmente l’offerta ricevuta, affidarne la celebrazione a un confratello che non ha intenzioni di Messe da applicare.
- Oppure, dopo aver avvisato i fedeli interessati, può trasmettere intenzione e offerta all’Ordinario del luogo, che provvederà a farle celebrare da presbiteri che non hanno intenzioni di Messe da applicare.
- Quanto all’art. 15 b e c deve essere considerato prioritario rispetto a quanto si dirà all’art. 16, riprendendo il decreto “Mos iugiter”.
- Contravvengono pertanto a questa norma e si assumono la relativa responsabilità morale quei presbiteri che raccolgono indistintamente offerte per la celebrazione di Messe secondo particolari intenzioni e, all’insaputa degli offerenti, vi soddisfano con un’unica Santa Messa celebrata secondo un’intenzione detta “collettiva”.
Art. 16
- Nel caso in cui gli offerenti, previamente ed esplicitamente avvertiti, consentano liberamente che le loro offerte siano cumulate con altre, si può soddisfarvi con una sola Santa Messa, celebrata secondo un’unica intenzione “collettiva”.
- È necessario, in questo, che sia pubblicamente indicato il giorno, il luogo e l’orario in cui tale Santa Messa sarà celebrata, non più di due volte per settimana.
- Al celebrante è lecito trattenere, anche nel caso di intenzione “collettiva”, solo e soltanto la cifra di 20 euro.
- La somma residua eccedente tale offerta sarà consegnata all’Ordinario, che la destinerà ai fini stabiliti dal diritto.
Art. 17
A nessun titolo è consentito al ministro trattenere per sé offerte diverse da quelle delle intenzioni per le Messe; pertanto, tutte le offerte ricevute in occasione dei sacramenti, degli altri atti di culto o di qualunque altra iniziativa pastorale devono essere integralmente versate nella cassa parrocchiale e annotate nel debito registro.
Art. 18
- I Vicari foranei sono invitati a vigilare perché tutte le disposizioni contenute nel presente decreto – condivise con gli organismi di corresponsabilità, ovvero con il Consiglio Presbiterale e con il Collegio dei Consultori – siano fedelmente osservate nelle Parrocchie delle rispettive Vicarie e, in caso di inadempienza, dovranno intervenire sia richiamando i confratelli all’osservanza che segnalando al Vescovo gli eventuali abusi, soprattutto se reiterati.
- Coloro che contravvengono a quanto fin qui stabilito, sono passibili di sanzioni penali, secondo quanto previsto dal Codice di Diritto Canonico.
Art. 19
- L’esposizione delle sacre immagini alla venerazione dei fedeli non avvenga mai nell’area presbiterale della chiesa.
- Le immagini siano esposte in modo da non disturbare e disorientare l’attenzione dei fedeli verso il “centro” dell’aula liturgica che è l’altare.
- A partire dalla data odierna, nelle Parrocchie, basiliche, santuari e rettorie non si introducano nuove immagini della Vergine Maria e dei Santi senza il consenso scritto del Vescovo diocesano.
Art. 20
Revocando tutto quanto stabilito in Diocesi sulla materia del presente decreto generale, stabilisco che questo venga pubblicato, in data odierna, sul sito della Diocesi di Cassano all’Jonio e successivamente sul Bollettino diocesano, entrando in vigore il 3 dicembre 2023, prima domenica di Avvento dell’anno 2023.
Cassano allo Ionio, 9 novembre 2023
Festa della dedicazione della Basilica Lateranense
✠ Francesco Savino
Il Cancelliere Aggiunto
don Emmanuel Kayombo Mwepu
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