25 Maggio 2024

Solennità della Santissima Trinità

Dt 4,32-34.39-40; Sal 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20

26  Maggio  2024

 

Con la solennità della Pentecoste la Chiesa conclude il tempo pasquale, e oggi celebra la Santissima Trinità, che “ci fa contemplare il mistero di Dio che incessantemente crea, redime e santifica, sempre con amore e per amore, e a ogni creatura che lo accoglie dona di riflettere un raggio della sua bellezza, bontà e verità” (Papa Francesco).

Storicamente siamo stati sempre tentati nel comunicare e predicare la Trinità di utilizzare idee e formule che sono poi di fatto risultate inadeguate “nel rivelare il Dio che nessuno ha mai visto (cfr. Gv 1,18) né contemplato (cfr. 1Gv 4,12), dovremmo soprattutto credere a una realtà: in Dio c’è ormai l’umanità del Figlio Gesù Cristo, morto come uomo ma risuscitato nella forza dello Spirito santo, sicché non si può più parlare di Dio senza pensare a lui, senza parlare dell’uomo e pensare l’uomo. Soprattutto, non si può più andare a Dio se non attraverso “la via” (Gv 14,6) che è suo Figlio Gesù Cristo, uomo nato da Maria, vissuto tra di noi, morto e risorto nella nostra storia. Ecco allora cosa annunciare in questa festa che succede al tempo pasquale: con l’incarnazione di suo Figlio, Dio si è unito all’umanità in modo indissolubile e l’umanità trasfigurata è in Dio attraverso il Figlio Gesù che, come era disceso, così è salito al cielo (cfr. Ef 4,9-10), “costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della resurrezione dei morti” (Rm 1,4) (Enzo Bianchi).

La liturgia per celebrare la Santa Trinità di Dio ci propone la conclusione del Vangelo di Matteo, in cui Gesù consegna ai discepoli parole che di fatto sono la “professione di fede” di ogni cristiano quando diventa discepolo di Gesù attraverso il battesimo.

È interessante l’inizio del Vangelo dove si dice: “Gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato”.

Interessante perché quel gruppo di dodici, ridotto a undici perché Giuda se ne è andato, ritorna sulle strade della Galilea, dove era iniziata la predicazione di Gesù: nella Galilea delle genti, terra periferica, terra spuria, abitata da ebrei e non ebrei, terra cosmopolita.

Giustamente sostiene Enzo Bianchi: “Devono andare nel mondo, tra gli uomini e le donne, per affermare che tutti sono chiamati alla fede in Cristo, che ormai – come scrive Paolo – “non c’è più né giudeo né greco” (Gal 3,28), per dare vita a una nuova comunità, non più legata da carne e sangue, da lingua o cultura, da vicinanza o lontananza, ma una comunità che trovi in Gesù Cristo un legame, un fondamento al suo credere, sperare e amare. Potremmo dire che quel soggetto di undici persone è “il piccolo gregge” (Lc 12,32), la Chiesa sulle strade del mondo, un piccolo gregge non chiuso in un recinto, non pauroso, non autoreferenziale, ma disposto a stare in mezzo ad altri, fossero anche dei lupi. Non è una gran cosa, né quegli undici sono uomini straordinari: di qualcuno si è tramandato qualche fatto della vita, di altri sappiamo appena il nome; povera gente, in mezzo alla quale vi sono anche alcuni che dubitano su Gesù e sulla sua missione”.

Nel mondo, nella storia, sia nella ferialità che nella festività della vita, gli amici di Gesù, la Chiesa, sono chiamati ad annunciare, a vivere e a testimoniare che Dio è l’amante, Gesù, il Figlio, è l’Amato e lo Spirito Santo è l’amore tra il Padre e il Figlio.

Sant’Agostino ci ricorda “Che è dunque l’amore se non una vita che unisce, o che tende a che si uniscano due esseri, cioè colui che ama e ciò che è amato? (De Trinitate 8,10,14). Lo Spirito è eternamente dono, ma temporalmente donato (De Trinitate 5, 16, 17)”.

Noi tutti, pertanto, credenti nel Dio Trinità, siamo chiamati ad essere a sua immagine e somiglianza, cioè comunità di persone diverse ma in comunione.

Secondo quanto scrive Sant’Ignazio di Loyola negli esercizi spirituali, la Trinità guarda il mondo, ne ha compassione e in questo sguardo decide l’incarnazione.

Il teologo Gaetano Piccolo afferma: “la Trinità è amore che eccede, che non può rimanere nella sterile contemplazione di se stesso, non è un amore che si compiace di sè, ma trasforma l’amore in bene per altri: la Trinità visita Abramo alle querce di Mamre e lo tira fuori dalla sua sterilità. L’amore trinitario è contagioso, sa ridare vigore ad altre relazioni bloccate”.

Ed è proprio bello comprendere che il Padre e il Figlio hanno entrambi lo sguardo rivolto costantemente fuori di sé.

Nell’Amore Trinitario ciascuno ha una propria individualità pur rimanendo una cosa sola. Dio non è “banalmente amore”, è amore che concilia l’individualità e la comunità.

È amore che genera. E noi, uomini e donne, creati a sua immagine, siamo chiamati ad amare in modo eccedente, ad annunciare il Vangelo di salvezza e a testimoniare la Carità in ogni circostanza.

Buona Domenica.

 

   Francesco Savino