31 Maggio 2024

Omelia IX Anniversari dell’ingresso in Diocesi

FESTA DELLA VISITAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

Sof 3, 14-18; Cant 2,8.10-14; Lc 1, 39-56

IX Anniversario dell’ingresso in Diocesi di mons. Francesco Savino

 

Venerdì 31 maggio 2024

 

C’è un dono che il cammino sinodale ha già fatto a tutta la chiesa: il dono della conversazione spirituale.

È talmente bella la Parola di Dio poc’anzi ascoltata che esige un dialogo, una conversazione personale e assembleare, comunitaria con la Parola.

Lasciamoci in questo dialogo accompagnare e condurre da Maria che è la protagonista di un gesto talmente rivoluzionario che rimarrà come battistrada per tutti coloro che vogliono prendere sul serio Dio.

Tutta Maria si racchiude in due eventi significativi: il primo è l’Annunciazione, in cui Maria mette tutta se stessa nelle mani di Dio e con il suo “Eccomi” dice: “Fai tu, io sono pronta, disponibile, come una creta nelle mani del vasaio divino” (Dio, il Padre); il secondo, la Visitazione, in cui Maria passa dal “Fai tu” al “Facciamo insieme”, divenendo così la donna dell’amicizia e del servizio.

Mi piace sinteticamente individuare “sette passi” del nostro camminare con Maria, alla luce del Vangelo.

Il primo passo con Maria è: la consegna.

“In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna”: Maria è la donna del primo passo, delle strade in salita.

La consegna che Maria fa a Dio come apertura diventa servizio ai fratelli e alle sorelle. Maria ci insegna a realizzare una carità che non potrebbe esserci se non si nutrisse di preghiera. Mettiamoci sulla strada di Maria, donna della Visitazione, come donne e uomini “cristificati” e “cristofori”, portati da Cristo e portatori di Cristo.

Il secondo passo è: la fretta.

“Raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta”.

La fretta dell’incontro e del servizio. Ma l’incontro non avviene soltanto fra Maria ed Elisabetta: avviene anche tra coloro che ciascuna di esse porta nel grembo. Sono i figli, Gesù e Giovanni – il Nuovo e l’Antico Testamento – che già si incontrano prima di nascere. La fretta di Maria non è né frettolosità, né attivismo, né superficialità nelle relazioni con gli altri. In Maria la fretta si trasforma nella pazienza del restare. Maria porta ad Elisabetta lo Shalom, che è riconciliazione, pace, armonia. Lasciamoci raggiungere da questo saluto per essere i portatori dello Shalom di Dio li dove viviamo la nostra esistenza.

Il terzo passo è: la gioia.

“Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha danzato di gioia nel mio grembo”.

Elisabetta viene inondata di gioia, di una gioia che dice salvezza. Il saluto di Maria fa vibrare il cuore. Giovanni Battista sussulta, danza di gioia, perché anche lui si sente raggiunto dalla gioia messianica di cui lui stesso sarà il precursore. È la stessa gioia che i discepoli di Gesù sperimenteranno dopo la resurrezione: pace a voi. È la gioia di un incontro non casuale ma provvidenziale, voluto da Dio, di due donne visitate e abitate dalla Sua presenza.

Il quarto passo è: la fede.

“Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto»”.

Elisabetta, ricolma dello Spirito, è capace di vedere in Maria la fede di colei che ha creduto disponendosi a capire, ancora senza sapere, dove Dio la voleva condurre. È una fede obbediente, umile, intelligente.

Il quinto passo è: il canto.

“Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono»”.

Il cantico di Maria si pone in continuità con le grandi donne di Israele, per esempio il cantico di Anna, madre di Samuele. Maria manifesta la sua piccolezza davanti a Dio senza ripiegarsi narcisticamente su se stessa e canta la misericordia, la benevolenza e la gratuità di Dio che ha posato su di lei.

 

Il sesto passo è: gli ultimi.

«Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre».

Se nella prima parte del Magnificat Maria lascia parlare Dio in Lei, nella seconda parte parla di quello che Dio vuole operare in favore dei poveri, degli ultimi. Maria di Nazareth fa una lettura sapienziale della storia per introdurre tutti noi a scoprire l’agire di Dio, i suoi pensieri che non coincidono con i nostri. Gli ultimi sono coloro che hanno una corsia preferenziale per essere raggiunti dall’amore misericordioso di Dio.

Il settimo e ultimo passo è: l’essenzialità.

“Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua”. Maria si ferma presso di lei per tutto il tempo per cui c’è bisogno, con uno stile di semplicità e di semplicità.

L’essenzialità, oggi più di ieri, e penso domani più di oggi, è una virtù che dobbiamo maturare sia a livello personale che come chiesa perché ci toglie tutte quelle zavorre inutili e superflue.

Quando nove anni fa feci il mio ingresso in questa bella Cattedrale pensavo – e oggi penso ancora in maniera più convinta – alla felice coincidenza tra l’inizio del mio ministero episcopale in mezzo a voi e la festa liturgica della Visitazione di Maria a sua cugina Elisabetta.

Facendo mie le parole del cantico della Madonna elevo al Signore un canto di gratitudine verso di Lui che mi ha donato la vita e ha voluto fare di me un cristiano, un sacerdote, un vescovo.

Con le parole dell’apostolo Paolo dico: “Rendo grazie a Colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero” (1 Tm 1, 12).

Al tempo stesso questa sera sento, senza falsità, il bisogno di riconoscere la mia insufficienza e chiedere perdono per il bene che non ho compiuto e le mancanze che ho commesso. Ma, credetemi, in coscienza, mai volontariamente!

Una gratitudine che definisco speciale, va ai miei genitori, mamma Rosa e papà Pasquale, alle mie sorelle, ai miei cognati, ai nipoti e pronipoti, ai tanti amici e alle tante amiche della città di Bitonto e della Diocesi da cui provengo dove sono stato generato alla fede e dove ho svolto il mio servizio sacerdotale.

Gratitudine profonda sento per la Diocesi di Cassano all’Jonio: più la conosco più le voglio bene. Sono contento di essere Vescovo per voi e con voi. Non posso non rendere pubblica testimonianza della vostra accoglienza, presbiteri, diaconi, religiosi e laici, nei miei confronti. Posso dire, con amore di padre e di fratello, che amo tutti voi, che nella libertà del progetto di Dio su di me e su di voi, ci ha fatto incontrare. E sento tutta la responsabilità della cura che devo esercitare come amico dello sposo, Cristo Risorto, nei vostri confronti, che siete la sposa amata di Cristo.

Grazie alla mia esperienza con don Tonino Bello e la conoscenza, attraverso i suoi libri, del cardinale Carlo Maria Martini, posso dire con convinzione profonda che tre sono le certezze che il Signore mi ha donato in questi anni di cammino sulle strade della chiesa e degli uomini.

La prima certezza è questa: la via della chiesa non è facile, non è un’autostrada ben segnata, priva di ostacoli e di attraversamenti. La via della chiesa passa per le case e per i campi, vicino alla realtà della gente, e testimone di tutto ciò che accade nei territori in cui insiste la chiesa affidata alla cura del Pastore. E posso sostenere che la via della chiesa e dei cristiani che la compongono e del Vescovo che cammina è partecipe di tutte le vicende e delle sofferenze della gente e non può sentirsi estranea a nessuna di esse.

La seconda certezza deriva dalla prima. La via della chiesa, anche se è difficile, è larga, accogliente, aperta a tutti e inclusiva. Nessuno deve sentirsi fuori. La chiesa non si preoccupa di dire: “Tu non sei dei nostri, non sei con noi”, quanto invece di dire con Gesù: “Anche tu non sei lontano dal Regno di Dio, anche tu puoi fare un tratto di strada con noi”.

Infine, una terza certezza. La via della chiesa, che attraversa tutte le sofferenze ma è aperta e invitante, è la via della vita, opposta alla via della morte. È una via che si percorre nella fede e che suscita ed esige una decisione personale.

Il Vescovo,  credetemi, è una delle mie esigenze prioritarie, è colui che deve risvegliare e motivare sempre la vita e la fede di ogni persona. Mi sta veramente a cuore comunicare, anche questa sera a tutti, che il dono più bello che può accadere nella vita è l’incontro con Gesù. A me è successo e voglio comunicarlo gridando a tutte le persone che incontro sui sentieri della mia vita.

Chiediamo a Maria, la donna della prossimità, che metta nel nostro cuore il desiderio passionale di incontrare Suo Figlio Gesù, morto e risorto per noi.

Grazie che ci siete!

 

 

         +   Francesco Savino