
Fermatevi, dico a voi uomini e giovani del malaffare, sappiate – e ve lo dico con cuore paterno – la violenza non vi rende Eroi ma, vi trasforma inconsapevolmente in schiavi della vostra stessa arroganza. È proprio nell’eroismo illusorio che inizia il vostro cammino da vittime. E vi rammento che prima o poi verrà il giudizio di Dio! Siamo stanchi – e lo dico a nome delle comunità di Sibari e Lattughelle che il vescovo Savino mi ha chiamato a guidare – ad assistere a continui atti di sopraffazione che deturpano non solo la sfera personale, ma anche la bellezza innata della nostra terra. Sibari e la Sibaritide per illuminarsi preferiscono la bellezza delle coste che si rifrange, in un’alchimia di colori, nell’azzurro del mare, non i fuochi notturni che devastano i sacrifici di tanti e anemizzano ogni sussulto di speranza. Pertanto interpretando i sentimenti dell’intera comunità ecclesiale sibarita – e soprattutto a nome del vescovo – esprimo vicinanza alla famiglia Romeo, per l’atto delittuoso di cui è stata vittima, con la speranza nel cuore che al più presto si faccia luce sull’accaduto, per ristabilire, a Sibari e nell’intero territorio, il senso della giustizia e della legalità. Non ce la facciamo più a trascorrere intere notti con la fibrillazione sopraventricolare per la paura che al risveglio un nuovo episodio di brutalità abbia seminato ulteriore panico nelle coscienze della nostra comunità.
La nostra terra è sotto scacco, la violenza non si blocca davanti a nulla e si fa sempre più pretenziosa: il conto diviene ogni giorno più esoso. Il crescere esponenziale di azioni violente non può lasciarci in silenzio. Nella Sibaritide si respira il sapore semplice della vita, il senso dell’altro, del sacrificio, il gusto del bello, l’attitudine al dono, in sintesi, l’eredità di un altissimo umanesimo. Allora, questo popolo non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, ma deve maturare una coscienza nuova onde non sia la paura di molti a incoraggiare il sopruso di pochi, ma, al contrario, la forza di tutti ad esautorare la presunzione di alcuni. In fondo la criminalità si afferma nella nostra debolezza. Superare l’omertà e uscire da quel demone che si narra nel detto “mi faccio i fatti miei”. La logica mafiosa non si sconfigge con infeconde “crociate” o con vuoti “proclami”, ma con la “metanoia” delle coscienze e dei cuori, in poche parole con la “conversione”. Convertirsi vuol dire rompere col male, rompere col peccato per consolidarsi nel bene e strutturare in esso il proprio comportamento. Ecco perché, – come sovente va affermando il nostro vescovo – è tempo che la Chiesa si liberi delle “vecchie rughe” in materia di evangelizzazione e la gente, con l’aiuto delle autorità, oltrepassi risolutivamente il tarlo del silenzio complice. Serve reagire, non bisogna affatto rassegnarsi. Dinanzi a questa aberrazione bisogna aiutare la nostra cittadinanza a maturare una nuova coscienza etica, che sappia battere le vie della Pasqua per portare a dinamismo socializzante il desiderio di risorgere. Noi siamo un popolo vivo ma talvolta tale vivezza non è incanalata in categorie di liberazione.
Concludo con le parole ispirate e dal piglio profetico che il nostro amato vescovo Francesco – veterano di tante battaglie in questo ambito – non si stanca di ripeterci: “il Vangelo è salvezza dalle strutture di peccato che si annidano nella cultura, è liberazione dall’odio e dalla vendetta, è superamento del sentire e dell’agire mafioso”. Dunque contro la cultura mafiosa abbiamo un’unica grande chance, quella di propagare la logica del Vangelo, onde uscire dalla prigionia della rassegnazione e dare vita nella nostra terra ad una nuova primavera della speranza. Si sappia che, quando il terreno è fertile, tutti gli alberi possono crescere bene.
Pietro Groccia
parroco di Sibari e Lattughelle