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IL SOGNO VERDE NELLA CURA DELLA TERRA


Renè Magritte, La chiave dei campi, 1936, olio su tela. Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid

 

A conclusione della Settimana Laudato Si’ (16-25 Maggio 2021), parte di una campagna globale in occasione del VI Anniversario dell’enciclica sulla cura della Casa Comune e a chiusura dell’Anno dell’anniversario speciale Laudato Si’, ho pensato di consegnare una riflessione intitolata: “Il sogno verde nella cura della terra”

C’è un’ossessione in Renè Magritte che rappresenta una sorta di lemma figurativo, un battesimo nell’arte che lo accompagna in maniera silenziosa dalla culla alla tomba con in mezzo qualche sussulto, schizzi di colore e giusto mezzo che ne hanno delineato una personalità complessa e veggente: le finestre.

Nel dipingere le finestre gli occhi di Magritte sono i nostri, sono quello che noi vediamo nello spazio figurativo della tela ma sono anche la proiezione di una certa interiorità che familiarizza con il creato.

Ne La chiave dei campi accade qualcosa di magico: divampa il dubbio. Quella rappresentata non è più la cera reale del mondo ma una sua trasfigurazione, qualcosa di nuovo che si presenta ai nostri occhi, che diventa phainómenon, qualcosa che appare, che accade.

A sei anni dalla stesura della Laudato si’, l’enciclica del Santo Padre che leggiamo come il bugiardino per la cura della casa comune, ho voluto ricercare nell’arte surrealista ed aiutandomi con le pennellate del pittore belga, qualcosa che ne fosse il sintagma, una unità autonoma e significativa che passasse dall’esperienza, per accarezzare lo scheletro del vissuto e rimbalzare sul cuore. Una lettura superficiale del quadro di Magritte ci restituisce una scena comune, una finestra rotta, ma gli artifici illusionistici che contornano il tempo narrativo sospeso, sono la chiave di lettura più profonda che avvicina questa opera al sentimento vero della Laudato si’: “Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode. (12)” In Magritte il problema si presenta con prepotenza, la finestra è la cornice dentro cui riversiamo il creato e non ci restituisce certo l’idea di una liberazione, né di una fuga ma, i frammenti sul pavimento, rimandano ad un grido che proviene dall’esterno, un richiamo disperato alla cura, una richiesta di aiuto che spezza il suo stesso riflesso e lo fa cadere in terra, con violenza. Questo fenomeno, questo apparire, ora spezza i vetri di ogni comoda certezza e ci impone di fermarci a riflettere su nuove direzioni “perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo” (Gen 2,5). La fecondità dell’azione di Dio passa attraverso il lavoro dell’uomo affinché coltivi e custodisca il suo giardino (Gen 2,8) perché lo renda terra del mondo con un pensiero globalizzante. Risulta evidente che non si possa affrontare il problema in maniera parziale perché tutto è connesso ed il punto di connessione preciso tra noi ed il mondo, il con-fine che è unione fertile direbbe Franco Cassano, è esattamente la finestra che vi si affaccia. Lo sguardo ampio sulla custodia della casa comune ha ragioni profonde che ci spingono a riconoscere i peccati contro la creazione (LS 8) e ad aderire ad una ecologia integrale, urge forse dire integralista, che parta dall’antropologia dell’abitare, passi per il global warming e non si nasconda davanti al grido dei poveri che l’Occidente oggi sembra non voler ascoltare.

Tanto più è universale l’appello, tanto più la trama della interconnessione si infittisce, tanto più il nostro impegno dovrà essere etico e costante. Il pericolo a cui andiamo incontro e che la pandemia da Covid-19 sembra sottolineare in blu, è che la forbice sociale sia sempre più larga ed il profitto di pochi mini gli interessi di molti. I vetri rotti rappresentano anche il grido della disuguaglianza. Affrontare il tema della integralità e della circolarità vuol dire necessariamente, come intuisce Papa Francesco, avvalersi del supporto della scienza e della tecnica: “La trasformazione della natura a fini di utilità è una caratteristica del genere umano fin dai suoi inizi, e in tal modo la tecnica «esprime la tensione dell’animo umano verso il graduale superamento di certi condizionamenti materiali». La tecnologia ha posto rimedio a innumerevoli mali che affliggevano e limitavano l’essere umano.” (LS 102) Ma cosa può la scienza senza l’affidarsi ad essa? Senza un cambiamento radicale del quotidiano che interiorizzi una corretta informazione ed una giusta comunicazione? Si rischia una deriva relazionale tradotta in sfiducia, abuso della tecnologia ed un tecnocentrismo esasperante. Richiamo qui alla differenza che M. Heidegger fece tra la tecnica antica e la moderna, la prima asseconda, la seconda violenta e desidera in maniera assoluta il “sempre di più”.

Ricomporre dai piccoli cocci.

Il post Covid ci ha orientati al telelavoro, al lavoro agile ma come si fa a parlare di progresso scientifico oggi senza tenere in considerazione l’esistenza di una altissima percentuale di poveri digitali, in particolar modo minori in età scolare che nell’ultimo anno si sono dovuti necessariamente adeguare alla didattica a distanza e che non hanno avuto i mezzi per farlo? Il divario digitale rompe i vetri e si traduce, ancora una volta, in povertà educativa. Occorrerà ripensare a nuovi spazi educativi, a nuovi percorsi che interessino la scuola, la comunità ed il territorio, perché il dramma di uno sia di interesse di tutti affinché si tronchino quelle disuguaglianze che, con il tempo, possono tradursi in criminalità e marginalizzazione. Fare eco-logia socioculturale è trovare una rispondenza alle esigenze delle persone che sia anche eco-nomica (la povertà educativa dei minori è evidentemente associata alla povertà economica della famiglia di appartenenza – Save the Children Italia 2016). Non si può più pensare ad un pronto soccorso educativo che intervenga in maniera emergenziale e momentanea; la ferita provocata rischia di radicarsi e di determinare e favorire la nascita di vere e proprie élite oligarchiche. Una azione che non sia proiettata nel tempo, rischia di farci rimanere nella dimensione dei cocci di vetro e defocalizzare il meraviglioso panorama che è oltre la finestra.

Il riciclo della responsabilità e la filiera della vigilanza.

Come tutte le scelte, anche quella di migrare verso una transizione ecologica (termine in loop negli ultimi tempi) ha dei rischi che solo una attenta e vigilante responsabilità può arginare: esprimere in termini di economia tutto ciò che riguarda la ecologia. La radice comune dei termini trae in inganno soprattutto se associata a logiche poco ortodosse. La DIA (Direzione Investigativa Antimafia) nel rapporto dei primi sei mesi del 2019 ha dedicato un capitolo specifico al tema “Mafia e Rifiuti”. Non è nuovo alle cronache l’attento interesse che le organizzazioni criminali rivolgono alla questione rifiuti, complici una farraginosa gestione e dis-organizzazione che favorisce, per la sua complessità, l’annidarsi di interessi deviati: snellire la burocrazia, ridurre gli intermediari (produttori, trasportatori, intermediari, impianti ed export), ridurre le discariche al minimo e favorire l’utilizzo di termovalorizzatori, può essere una scelta oltre che necessaria, anche ecologica ed economica. Non si può sognare un mondo a “rifiuti zero”, pur continuando a garantire una formazione consapevole alla cura dell’ambiente, al corretto smaltimento nelle case e ad una nuova educazione ambientale che non può più tradursi solo nelle manifestazioni violente. Al singolo cittadino affidare, infine, la filiera della vigilanza, non per sostituirsi allo Stato ma per esserne parte attiva nella denuncia di pratiche malavitose.

Il Sud di qualcun altro.

È forte nel testo del Santo Padre il riferimento alla possibilità di “accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo” (LS 193) di proiettarsi verso una diversificazione produttiva che favorisca anche il produttore della porta accanto senza obbligarlo a subire i costi delle politiche ambientali nonostante una quasi nulla industrializzazione che incide fortemente sull’ambiente e sui costi ad esse connesso e alla cui spesa partecipiamo tutti: l’ecologia può rispettare i confini umani e storici se prima verranno rispettati quelli politici. Querida Amazonia (Esortazione apostolica Postsinodale, Papa Francesco) è il punto di partenza di questo nuovo mondo, una nuova finestra sull’avvenire, un contenitore di sogni, il bioma della necessità. Coniugare e consolidare il buon vivere con un grido profetico contro gli interessi colonizzatori che hanno acuito le migrazioni e gli sfruttamenti. Non è un caso che il Santo Padre abbia utilizzato quel Querida che è cura, I care, qualcosa che sta a e nel cuore. L’Amazzonia diventa così il luogo dei luoghi, la cartina tornasole della Chiesa.

Servirà un surrealismo verde, un cambiamento radicale e radicato che parta dalla più intima natura dell’uomo affinché al di là di quelle finestre sul mondo, si possa guardare ed ammirare con amore i panorami che la nostra Terra ci regala.

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Cassano allo Ionio, 25 maggio 2021

✠ Francesco Savino

 Vescovo di Cassano all’Jonio