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Omelia XVIII Domenica del Tempo Ordinario 2 Agosto 2020


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XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (anno A)

Is 55,1-3; Sal 144; Rm 8,33.37-39; Mt 14,13-21

2 Agosto 2020

“La vita di Gesù è strettamente legata a quella di colui che è stato il suo maestro, Giovanni il Battezzatore, da lui definito «il più grande tra i nati di donna» (Mt 11,11). Gesù ha iniziato il suo ministero pubblico subito dopo che Giovanni è stato arrestato (cf. Mt 4,12), quasi a raccoglierne il testimone. Ora, ricevuta la notizia della morte violenta di Giovanni, avverte il bisogno di ritirarsi in disparte e si reca in barca in un luogo deserto. La sua non è una fuga, ma una pausa necessaria per meditare quell’evento in solitudine e giungere a discernere il suo significato davanti a Dio” (E. Bianchi).

Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città”: le folle hanno bisogno di Gesù, della sua parola che dà senso ai loro desideri più veri. Vogliono stare con Lui. Il Maestro prova compassione per loro dopo il vuoto lasciato da Giovanni il Battista. Sono “pecore senza pastore” (Mt 9, 36) ed Egli si prende cura di loro.

“Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare»: l’evangelista Matteo annota una contrapposizione di mentalità tra i discepoli e Gesù rispetto al bisogno di cibo della folla: i discepoli sono l’espressione della mentalità del “congedo”, del “lavarsi le mani”, del non poter far nulla; Gesù, al contrario, esprime la mentalità della condivisione, dell’andare oltre la oggettività di una difficoltà, e dice: “non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare”. I discepoli gli rispondono: “qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci” ed Egli replica: “portatemeli qui”.

 Per Gesù non conta avere molto per rispondere ad un bisogno di tanti ma conta mettere a disposizione quello che si è e quello che si ha.  L’evento della moltiplicazione, che a me piace chiamare più della condivisione, accade proprio quando mettiamo a disposizione degli altri ciò che siamo e ciò che abbiamo! Il “miracolo” avviene quando andiamo oltre il nostro io e l’altro diventa il luogo epifanico dell’incontro con Dio.

L’episodio della condivisione dei pani e dei pesci è talmente importante che tutti gli evangelisti lo riportano e vedono in esso non soltanto un segno compiuto dal Signore, ma vedono raffigurata e anticipata la cena Eucaristica. 

“E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla”: sono gli stessi gesti compiuti da Gesù nell’ultima cena (Cfr.Mt26,26), sono gli stessi gesti che consentirono ai due discepoli di Emmaus di riconoscere Gesù come Risorto (Cfr. Lc 24, 30-31), sono gli stessi gesti che  ripetiamo in ogni Celebrazione Eucaristica, sono la sintesi di tutta la vita di Gesù donata e consegnata fino alla morte per amore dell’umanità.

 Ecco che cosa si nasconde, in modo meraviglioso, in questo gesto della condivisione dei pani e dei pesci: come Cristo ha consegnato la sua vita per tutti, così ogni discepolo di Gesù, ogni cristiano, ogni battezzato deve donare la propria vita per tutti.

Il Vangelo di questa Domenica si conclude con questa annotazione: “tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini”: il dono di Gesù è sovrabbondante, eccedente. È il Messia promesso a Israele e a tutta l’umanità! Il Messia “mite e umile di cuore”. È Lui che è il più grande nel Regno dei cieli, che si prende cura di noi donandoci la sua vita e chiedendoci di avere gli stessi suoi sentimenti e di ripetere tutti i suoi gesti.

Buona Domenica.

   Francesco Savino