XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Domenica 19 giugno 2016

XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Domenica 19 giugno 2016
18-06-2016

XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO [SCARICA]

19 giugno 2016

In questa Domenica, XII del T.O., abbiamo la possibilità di riflettere e rispondere a queste due domande che costituiscono il senso della esperienza cristiana: Chi è Gesù? Chi è il discepolo di Gesù?

La narrazione evangelica appena ascoltata si apre con la dichiarazione  che Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. In tale precisazione si coglie come l’evangelista Luca definisce l’identità di Gesù. Contemplazione e azione sono la sintesi della sua  vita:  Gesù è un contemplativo.

Silenzio,  solitudine e preghiera sono le condizioni fondamentali per entrare nella profondità del proprio essere, per fare Verità sulla propria identità. E’ nel silenzio e nella solitudine che la Verità si incontra e, quando la Verità si fa tangibile, si sperimenta una grande libertà e si è capaci di fare scelte autentiche e positive.

Dopo il silenzio e  la preghiera, Gesù pone ai discepoli una  domanda che è doppia: “Le folle, chi dicono che io sia?”. “Ma voi chi dite che io sia?”. Alla prima domanda i discepoli riportano le diverse “dicerie” su Gesù:  alcuni dicevano che era Giovanni Battista, altri Elia, altri uno degli antichi profeti che era risorto. Alla  domanda “chi sono io per voi, per te?”, risponde Pietro: “Il Cristo di Dio”.

La domanda “Chi sono io per te ?” non è da sondaggio o da referendum popolare ma  esige una risposta che tocca l’esistenza del discepolo, il suo cuore. E la risposta di Pietro è una risposta di grande significato: “Tu sei il Messia di Dio, il suo progetto, la sua bocca, il suo cuore, il suo braccio”.

La reazione di Gesù coglie di sorpresa Pietro e gli altri: “ordinò severamente di non riferirlo ad alcuno”. Sembrerebbe  davvero strano quest’ordine  di mantenere il segreto sulla propria identità, se non fosse completato da quanto  Gesù  aggiunge: “il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato tagli anziani, dai capi dei sacerdoti e degli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”.

Si chiarisce così ciò che Gesù consegna ai suoi: la proclamazione della fede nella sua Persona come Cristo di Dio deve passare prima dalla sua esperienza di umiliazione e di sofferenza, di passione e di morte.

Viene resa chiara l’identità del Messia intorno a cui circolavano tante convinzioni direi confuse: qualcuno pensava ad un Messia politico, altri ad un Messia moralizzatore, altri ad un Messia che avrebbe violentemente realizzato un’ insurrezione contro il potere romano. Gesù dice che egli è Messia in quanto è il “servo di Jahvè” che deve rinunciare ad ogni pretesa di successo, di affermazione personale, attraversare  la strada del rifiuto e della sofferenza per redimere l’umanità e spalancare  con la  sua resurrezione, la vita rinnovata ed eterna per tutti.

Definita l’identità di Gesù,  segue quella del discepolo: “se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. Rinnegare se stessi, afferma Enzo Bianchi, “significa smettere di voler affermare se stessi, lottare contro l’egoismo che sempre ci minaccia, contro quella terribile malattia che la tradizione cristiana ha definito philautia, “amore di sè”: una brama perseguita a ogni costo, anche contro e senza gli altri; una preoccupazione esclusiva per sè che induce a considerare il proprio io come misura della realtà”.

Chi è capace  di vincere l’egoismo mortifero può  prendere la sua croce,  come segno di fedeltà a Gesù e  di rinuncia ad ogni autogiustificazione.

Questo è lo stile  di Gesù, questo è lo stile  di chi vuole mettersi alla sequela di Gesù, che trasforma uno strumento di esecuzione capitale in “strumento di Gloria”.

Rinnegare se stessi, prendere la sua croce e seguirlo sono le tre condizioni che costituiscono la vita del discepolo di ieri e di oggi. La sintesi di tutto è nelle parole conclusive di Gesù: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la vita per causa mia la salverà”.

Qui c’è la differenza cristiana: perdere la vita per amore di Gesù. Questa è la vera beatitudine possibile da vivere nel “qui ed ora”. Se non comprendiamo ciò, non possiamo dirci cristiani! Per concludere possiamo dirci con grande sincerità che nel Vangelo di questa domenica risuonano parole molto incisive di Gesù.

E’ anche consolante, però, sapere che ci sarà sempre “un terzo giorno“: la Resurrezione. La croce, come segno martiriale della nostra fedeltà a Cristo, appartiene sempre e comunque alle penultime realtà della vita, perché l’ultima è la Resurrezione.

Una Domenica bella per tutti nella quale ciascuno di noi è chiamato a dare una risposta personale e vera alla domanda che Gesù rivolge a ciascuno: “Chi sono io per te?“.

   Francesco Savino

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