Omelie

XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 24 luglio 2016


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24 luglio 2016

“Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni il battezzatore ha insegnato ai suoi discepoli”. E’ la richiesta che fanno i discepoli a Gesù e che facciamo anche noi oggi. La preghiera non è un optional per  un cristiano, è costitutiva: non si fa esperienza cristiana senza preghiera.

E’ l’esperienza di preghiera del Maestro a spingere i discepoli a chiedergli di insegnare loro a pregare. Essi vedono  Gesù che prega  nel deserto, nella notte, al mattino presto. Egli nutre la sua relazione con Dio con la preghiera che, nella vita di Gesù, è “il respiro di Dio e il respiro del Padre”.

L’evangelista Luca insiste più degli altri sulla preghiera di Gesù nei momenti più significativi della sua vita, dalla preghiera durante il battesimo (cfr. Lc 3,21-22)  a quella sulla croce quando Gesù invoca dal Padre il perdono per i suoi carnefici (cfr. Lc 23,34), fino alla consegna del proprio “spirito” nelle sue mani (cfr. Lc 23,46).

Constatiamo dunque che Gesù insegna ciò che  vive; la sua è una preghiera molto personale, intima, a tal punto che chiama Dio “papà’”, a testimonianza di una confidenza che dice abbandono totale alla volontà del Padre; Lui vive tutta la sua esperienza umana come “figlio” di un padre, che è Dio, amato incondizionatamente.

Alla richiesta dei discepoli, Gesù consegna loro la preghiera del “Padre nostro” che, secondo Tertulliano, è la “sintesi di tutto il Vangelo”.  Del “Padre nostro” conosciamo le tre versioni di Matteo, di Luca ed una che appartiene  al primo catechismo della Chiesa, chiamato Didachè, cioè insegnamento.

Il “Padre Nostro”, nella versione di Luca,  è una specie di canone riassuntivo delle indicazioni sulla preghiera di Gesù, contenute nei quattro Vangeli. All’invocazione “Padre” seguono cinque domande con un ordine preciso.  Nella prima  “sia santificato il tuo nome”, il verbo “santificare” significa consacrare, cioè riconoscere il valore di qualcosa. Quando  personalmente  o  comunitariamente diciamo “sia santificato il tuo nome”,  riconosciamo il nome di Dio come Padre, un padre che riversa la sua “paternità” su tutti, senza distinzione di  merito. Con la domanda “venga il tuo Regno”,  chiediamo che la “signoria di Dio” sia affermata sulla terra attraverso la pace, la giustizia, la riconciliazione e, al tempo stesso, chiediamo la  “Sua venuta finale”, cioè il compimento del Regno iniziato da Gesù. La manifestazione della signoria di Dio implica la libertà da ogni forma di idolatria sbandierata nell’ipermercato del nostro tempo.

Al riconoscimento del nome di Dio e alla invocazione della sua signoria, segue la richiesta del “pane quotidiano”: un pane che deve nutrire ogni discepolo desideroso di vivere il tempo nuovo  iniziato nella storia con la presenza di Gesù, il Messia. Il pane  richiesto è Gesù stesso che risponde ad ogni bisogno, soprattutto a quello del “cuore”.

“Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”: è la richiesta di cancellare le nostre colpe, i nostri peccati, a condizione che il perdono venga accordato ai nostri fratelli.

E infine, l’ultima domanda: “non abbandonarci nella tentazione”, letteralmente “prova”. Qual è la prova nella quale chiediamo, a livello personale e a livello comunitario, di non essere abbandonati? E’ di non soccombere nell’ora nella quale possiamo “rifiutare” o “negare” Gesù Cristo: chiediamo di essere sostenuti in tutte le situazioni che possono mettere a dura prova la nostra fedeltà al Signore.

Dopo aver consegnato la preghiera del Padre Nostro,  Gesù racconta la parabola di uno che disturba un amico nel cuore della notte e gli chiede del pane per sottolineare la perseveranza e l’insistenza fiduciosa della preghiera. Non si può pregare “quando ci piace o vogliamo” ma “sempre” e con insistenza.

Gesù  invita  “a chiedere”, “a cercare” e a “bussare” nella certezza che “il Padre sa di quali cose abbiamo bisogno ancor prima che gliele chiediamo” (cfr. Mt 6,8).   E di più: nessuno può pensare che un padre dia al figlio “pietre al posto del pane”, una “serpe al posto del pesce”.

E’ il senso  della preghiera cui si aggiunge la conclusione: “Se voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre Vostro Celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” E’ lo Spirito Santo il dono che il Padre non fa mai mancare a colui che aderisce alla sua volontà: lo Spirito Santo è per eccellenza il dono più bello, la cosa più preziosa, il “dono dei doni”.

“Noi non sappiamo cosa domandare per pregare come si deve, ma lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza e intercede per noi con gemiti inesprimibili” (Rm 8,26): è lo Spirito Santo che non solo ci consente di entrare  nella relazione  in Cristo con il Padre ma ci aiuta anche a comprendere la sua volontà. Senza il dono dello Spirito Santo, l’unico necessario, non è possibile pregare.

In tempo di crisi spirituale  che è crisi di preghiera, siamo invitati a riandare alla scuola di preghiera di Gesù per recuperare l’″identità orante″ perduta, certi che “Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste bensì le sue promesse” (D.Bonhoeffer),  tutte le promesse che sono contenute nella stupenda pagina del Vangelo di Luca  di questa XVII Domenica del T.O.

Che sia per tutti una domenica di preghiera.

   Francesco Savino