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Gli auguri di S.E. Mons. Savino per il nuovo anno


Ogni uomo deve decidere se camminerà nella luce dell’altruismo creativo o nel buio dell’egoismo distruttivo.

Questa è la decisione.

La più insistente e urgente domanda della vita è:

“Che cosa fate voi per gli altri?”.

 

(Martin Luther King)

 

Le virtù nel tempo che passa

 

Carissime e carissimi,

nell’abbraccio caloroso di questo anno che ci saluta e di un altro che si apre davanti a noi, desidero condividere con voi parole di tenerezza anche se preferirei che a raggiungervi fosse un mio abbraccio vero, una calda stretta di mano o la consolazione di un semplice sorriso. Le parole spesso immiseriscono la bellezza ma, credetemi, le mie sono mosse dal desiderio di nutrire il cuore della nostra comunità con il fervore della fede e dell’amore fraterno.

La fine di ogni anno, impone, quasi involontariamente, un tempo di riflessione e rinnovamento e, per questo tempo, invoco la tenerezza divina affinché possa avvolgere, ciascuna e ciascuno di voi, in un abbraccio che sempre più vi avvicini l’uno all’altra, declinando la fraternità nella sua accezione più sincera.

Per questa fine e questo inizio ho pensato di regalarvi degli ingredienti genuini, qualcosa che spero portiate con voi, a rinnovare il vostro tempo, a riempire le tavole delle vostre famiglie, delle vostre comunità: la gentilezza, la speranza e la tenerezza.

La ricetta di queste virtù, che sono anche emozioni, ha il gusto del sapore antico, del manicaretto cucinato con cura, della mensa da condividere, del pane spezzato e scambiato: è la ricetta della cura che dobbiamo auspicarci per il mondo. E allora ecco, eliminiamo il Q.B. (Quanto Basta) e abbondiamo nelle quantità di questi ingredienti, mescoliamoli e poi, serviamoli agli altri. Badate bene, non serviranno ricche stoviglie ed eleganti impiattamenti, ma solo la genuinità dell’impegno nel farsi dono.

Ecco, dunque, gli ingredienti:

La gentilezza, una parola che sembra provenire dal mondo inattuale della nostalgia, quasi come una forma di educazione sbiadita su un vetro opaco, qualcosa che sembra sfumarsi ma io, che ho “la passione del possibile” (come Søren Kierkegaard definiva la speranza), sono qui a ricordarvene la tempra, la forza con cui deve permeare le vostre vite. Per questo, come auspicio per il nuovo anno che verrà vi chiedo di recuperare questa lusinga di eternità che è la gentilezza e di accompagnarla alla domanda delle domande:

 

Che cosa fate voi per gli altri?

 

La gentilezza, che è dolcezza d’animo, è la virtù che ci guida verso la bellezza del vivere insieme. Ed è nella gentilezza che ritroviamo il riflesso dell’amore di Dio, quel riflesso che è un invito silenzioso ma potente che chiede di trattare gli altri con rispetto e delicatezza. E’ la gentilezza che ci fa sentire l’altro come persona, come appartenenza, nell’indicazione della sua provenienza linguistica – gentile da gentilis – e cioè dalla gens, una sorta di famiglia allargata, per i nostri antenati latini, di cui ci si onorava orgogliosamente di far parte. Per questo, in primis, nella ricetta di questo nuovo anno che verrà, vi invito ad acquisire questo primo ingrediente come principio sociale imprescindibile ed indispensabile; quel tratto profondo dell’essere umano che favorisce la creazione di legami veri e profondi.

Ce lo ha chiesto anche Papa Francesco, lo scorso anno, in occasione del Te Deum: “(…) l’esperienza ci insegna che essa, se diventa uno stile di vita, può creare una convivenza sana, può umanizzare i rapporti sociali sciogliendo l’aggressività e l’indifferenza”.

Insieme alla gentilezza, vi consegno altri due ingredienti, con la speranza che non manchino mai nella mensa del vostro cuore e cioè quelle che Eugenio Borgna chiama le emozioni sorelle: la tenerezza e la speranza.

 

“Portate i pesi gli uni degli altri: così adempite la legge di Cristo” (Galati 6,2).

 

In questa chiamata all’unità fraterna, risiede la radice della tenerezza cristiana, di quei cristiani che scelgono di non essere periferici ma fondanti perché se la legge di Cristo è una legge del “portare” lo è anche dell’“accompagnare” almeno come Dio ha accompagnato, con la sua pedagogia, gli uomini e lo ha fatto da sempre e per sempre fino alla sofferenza estrema del corpo crocifisso di Suo Figlio e della Sua Risurrezione. Nella legge del portare, Dio si è fatto comunione e ci ha insegnato a condividere il “peso” dell’altro, la sua realtà creaturale, la sua finitezza, invitandoci ad abbracciare una realtà in cui sovrabbonda l’amore, gratuito e sconfinato quello che ci invita a “ (…) gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10b). Siate dunque, sempre, quei fratelli che, come scrive San Paolo, hanno come unico debito l’amore (cfr. 13,8) perché, la lezione che abbiamo appreso dagli ultimi anni della nostra vita, è che essa è strettamente legata a quella degli altri. Fate in modo che la tenerezza sia esigente come un amore che guarda alla necessità dell’altro, che non lascia indietro alcuno e responsabilizza. Fate a gara per darne in abbondanza, fate in modo da non vivere un tempo sciapito ma gustoso e di donarla senza la pretesa che torni indietro.

La tenerezza ci rende compassionevoli, capaci di perdonare e di accogliere senza riserve, ed è quel filo d’oro che tiene insieme “cielo e terra” come riflesso dell’infinita misericordia di Dio.

State attenti però, la tenerezza è fragile e può disperdersi se non ne avrete la giusta cura.

Infine, non per ordine di importanza, aggiungete la speranza, quella luce radiante che illumina il cammino della nostra vita e che è molto più di una semplice attesa fiduciosa: è la certezza che, anche nei momenti più bui della nostra vita, è la mano di Dio a guidare il nostro cammino. Un arcobaleno nato dopo una tempesta, è una promessa di rinnovamento e di rinascita, la forza che ci risolleva dalle fatiche…

“Ma quanti sperano nel Signore riacquistano forze, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi”. (Isaia 40, 31)

Ecco dunque la ricetta completa, con questa ultima ancora salda alla promessa di Dio Padre, una virtù che merita di essere costruita perché aiuta a disegnare porte, finestre e brecce anche lì dove sono eretti alti muri. La speranza non è una fuga dalla realtà ma una salda presa sulla roccia inalterabile della nostra fede e, quindi, della nostra vita.

“Buona mensa”, dunque, per questo nuovo anno che nasce, con la speranza, la gentilezza e la tenerezza, che la mia umile ricetta sia, ogni giorno del nuovo anno, sulle vostre tavole ma, soprattutto, che siate sempre affamati e disposti ad invitare l’altro al vostro banchetto, rendendo la condivisione un riflesso dello sguardo di Cristo, nostro unico Signore.

E se “la gioia è il sentimento del reale”, non vi manchi mai la gioia di una vita autentica (Simone Weil).

 

Buon anno!

 

             Francesco Savino

      Vescovo di Cassano all’Jonio

Vicepresidente Conferenza Episcopale Italiana 

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