Omelie

Lunedì della IV Settimana di Quaresima anno B


 

Is 65, 17-21; Sal.29; Gv 4, 43-54

 

Cattedrale di Bari, pellegrinaggio Madonna Odegitria

Vicariato II e IV

Lunedì  11  Marzo  2024

 

Carissimi,

vorrei parlarvi di tre sorprese.

Le pagine evangeliche ci riservano cose nuove ogni volta che vi facciamo ritorno. Dobbiamo accostarle come ci avvicineremmo a Gesù in persona: per stupirci, per cambiare. Se no, che veniamo qui a fare?

La prima sorpresa. Abbiamo letto, dai versetti finali del quarto capitolo del quarto vangelo, di Gesù che ritorna “a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino” (4,46). Non un luogo qualunque. Ebbene, sale da Cafarnao “un funzionario del re”, deciso a portarsi a casa il Maestro. Mi sorprende che un uomo di corte abbia qualcosa da chiedere. Pensateci un momento: nonostante la posizione raggiunta e l’importanza della carica, ha nel cuore un pensiero che lo spinge lontano dal re. È un funzionario del re, ma c’è qualcosa che cerca altrove. Ai margini, rispetto ai luoghi che contano. “Gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire” (4,47): cerca una vita che il prestigio non dà. Come sosteneva papa Benedetto XVI: “Non è il potere, né la ricchezza, che salvano ma l’amore di Dio”.

Sorelle, fratelli, per vivere occorre un diverso potere da quei poteri che come cittadini e come Chiesa abbiamo troppo spesso inseguito. Per vivere occorre un nuovo tipo di autorità. Ed è quell’autorità credibile, liberante, gioiosa, sganciata dal denaro, dal dominio e dall’esibizione di sé di cui Gesù suscita evidentemente il presentimento. La nostra terra ha conosciuto discepoli di Cristo forti di un’altra forza rispetto alle alleanze criminali o alla dittatura della mediocrità. Le corti vivono di adulazione e di banalità, il potere si nutre di ciò che fa ammalare i nostri figli, togliendo loro vita e futuro. In noi però c’è il presentimento di un “poter essere” nuovo, di un’autorità che autorizza.

Ecco la prima sorpresa che condivido con voi, miei cari: il cuore sa da chi andare, il cuore spinge verso la vita. Lo Spirito ci porta come Chiesa e come singoli fuori dalle corti e dalle logiche cortigiane. Esercitino su di noi il loro fascino i più audaci testimoni di vangelo incarnato.

La seconda sorpresa. Torniamo al vangelo e sembra che quel padre non ce la faccia: ritornerà verso Cafarnao da solo. Il funzionario del re sembra ricevere un no. In realtà, non è cosa nuova per il lettore del vangelo. Proprio a Cana era già avvenuto a Maria di scontrarsi col Figlio come con un muro: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora” (2,4). Questa volta, però, non si tratta di vino, ma di un bambino in pericolo: si tratta di vita o di morte. Riascoltiamo la risposta e riconosciamo anche la nostra sorpresa. Dice Gesù a quel Padre: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete” (4,48): una risposta sconcertante, un no che ripresenta la durezza di Cana: “Donna, che vuoi da me?”. È duro da riconoscere, è difficile da ammettere, ma non c’è guarigione senza risveglio della coscienza. Da Gesù non si va come da un politico, da un vescovo, o peggio da un boss, per ottenere qualcosa. Il potere di Gesù non concede servizi e favori che legano o addirittura imprigionano. Il potere di Gesù interviene riattivando la profondità dell’interlocutore. Gli regala uno shock che può diventare svolta, conversione. Siano benedetti coloro che allo stesso modo si sono sottratti alle nostre pretese, per rimetterci in cammino. Siano benedette le inversioni a U – conversione, metanoia – che ci rimettono pensosi e scossi sulla via di casa.

Certo, il funzionario del re non ha ricevuto solo un rifiuto. Deve incassare e rielaborare l’insuccesso della sua richiesta, ma nel rimandalo a casa Gesù ha sussurrato qualcos’altro. “Tuo figlio vive” (4,50): è la Parola seminata nella sua coscienza ormai dissodata. Come un aratro che squarcia la terra indurita del cuore, Gesù ha preparato il terreno in cui seminare “soltanto una parola”. Noi lo ripetiamo a ogni messa – e chissà se ci crediamo: “Ma di’ soltanto una parola!”. Accolta con fede, quella parola accompagna il funzionario nel suo ritorno verso casa. Egli, dunque, non cammina più solo: in sé porta un vangelo con cui lottare. Ha bisogno di silenzio e di strada: ogni passo è improvvisamente necessario. L’incontro con Gesù, infatti, non si esaurisce mai in un momento. Lungo la strada del ritorno, l’incontro è ancora in corso e sta anzitutto risuscitando lui, il funzionario del re, un uomo adulto e arrivato, invidiato e sicuro.

Ed ecco la terza sorpresa. Che quella seminata in lui sia vita vera sono altri a confermarlo: “Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: Tuo figlio vive!” (4,51). Riconosce allora sulla bocca dei servi le parole stesse del Maestro, quel grano di senape posto nel suo cuore inquieto. Tanta sorpresa, ovviamente, cerca risposte. Il testo evangelico diventa bellissimo: “Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia” (4,52-53).

San Giovanni, un artista della Parola, ci ha così colpito tre volte col messaggio: “Tuo figlio vive” (4,50.51.53). Vi sarete accorti: il racconto ce lo fa riascoltare tre volte, come un seme messo anche nella nostra terra. Giovanni poi ci segnala, evocando ancora le nozze di Cana, che “questo fu il secondo segno che Gesù fece”. Se corriamo al capitolo 20, quello in cui si incontra il Risorto, noi leggeremo: “Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (20,30-31). Care sorelle, cari fratelli, c’è un vino buono che nessuno ci può vendere. Non si beve neanche a corte. È la vita nel suo Nome. «Va’, tuo figlio vive». Come vorremmo tornare a casa da questo pellegrinaggio, stasera, e vedere realizzarsi nei nostri figli questa parola. La vita nel suo Nome. Non è una vita cristiana di etichetta, di abitudine, superficialmente cattolica. È la vita della vita, quella che ci manca quando non sogniamo più, né insieme, né da soli. Non si sogna neanche da soli, se ci mancano sogni comuni. La vita nel suo Nome è vita di comunità. Vita di un popolo che si rialza. Siamo riscattatati dalle nostre schiavitù. Siamo raggiunti nelle nostre povertà da Colui che si è fatto povero per arricchirci.

Non ci sono alibi, diciamocelo. Come il funzionario del re, ci siamo sentiti dire dal Signore dei no e ci è stata seminata una parola nel cuore. Il nostro lavoro è non lasciarla sepolta. Credere. Crederci. 

“Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (10,10): ecco la promessa. Di ladri ne abbiamo conosciuti. E ce ne sono ancora. Fuori e dentro la Chiesa: lupi. Ma rileggo con voi le parole di San Giovanni alle sue comunità: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena” (1Gv 1,1-4).

Sorelle, fratelli: la gioia è possibile. E come oggi il Vangelo ci ha insegnato, cresce solo lungo il cammino. Camminare insieme. Sinodalità. Non sono slogan.

“Sinodo e chiesa sono sinonimi” (San Giovanni Crisostomo).

È la vita nel suo nome che qui, ai piedi di Maria, madre del cammino, invochiamo uniti.

Madre di Gesù,

Donna di Cana e della Croce,

insegnaci ad ascoltare tuo Figlio.

Accompagnaci a cogliere i “Sì” nascosti nei suoi “No”,

risveglia e attiva le nostre coscienze,

perché siano coscienze credenti,

in una Chiesa e in una società

che cercano vita e vita in abbondanza.

Indicaci la via, Madre di Gesù e nostra,

prendendoti cura oggi e sempre di noi

discepoli amati del Figlio tuo.

Amen.

 

 

   Francesco Savino