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XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 14 agosto 2016


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 14 agosto 2016

Abbiamo appena sentito  che Gesù, rivolgendosi ai Discepoli dice: “sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già accesa! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma la divisione”.

Sono espressioni che possono generare equivoci e malintesi. Che cosa significano le parole di Gesù rivolte oggi a noi?

La naturale perplessità che ci prende è un invito a riflettere sulla nostra fede. Ci viene in soccorso un’affermazione di Papa Francesco:  “La fede non è una cosa decorativa, ornamentale; vivere la fede non è decorare la vita con un po’ di religione, come se fosse una torta e la si decora con la panna. No, la fede non è questo. La fede comporta scegliere Dio come criterio-base della vita, e Dio non è vuoto, Dio non è neutro, Dio è sempre positivo, Dio è amore, e l’amore è positivo!” (Angelus, piazza San Pietro, 18 Agosto 2013).

Gesù, il Cristo, il Risorto, è segno di contraddizione, di rottura. Lo disse per la prima volta a Sua madre,  la Vergine Maria, il giusto Simeone.

Gesù ha un cuore appassionato, ha viscere di misericordia, dinanzi ad ogni ingiustizia o sofferenza, si commuove, si schiera, prende posizione.

Gesù, cercatore instancabile della Verità, fedele alla volontà del Padre, non è mai neutrale, apatico o indifferente, è accanto agli ultimi,  sempre dalla parte delle vittime di ogni potere che schiaccia la dignità dell’essere umano. Gesù parla del battesimo nel quale sarà battezzato e aggiunge che è angosciato finché non sarà  tutto compiuto. E’ il battesimo di sangue del suo martirio. Gesù, come i profeti (cfr. prima lettura Geremia), paga di persona.

E così, a pagare di persona, siamo chiamati anche noi che ci professiamo cristiani. Siamo chiamati a vivere una fede che inquieta, che  sollecita ad essere come Gesù.

E’ difficile quanto il Vangelo ci propone soprattutto se pensiamo a quanto oggi si agita intorno a noi, agli scenari di distruzione, di guerra e di morte che si aprono quotidianamente ai nostri occhi in terre più o meno vicine. E tutto ci avvelena, mentre si insinua in ogni interstizio una crisi spirituale i cui sintomi non possiamo disconoscere anche nel nostro vissuto personale ed ecclesiale.

Ermes Ronchi è solito raccontare che sperimentava una grande libertà interiore quando  il suo confratello, padre Turoldo, diceva: “Io mi sento mandato a rompere le false paci dei conventi. Pace apparente, rotta da un modo più evangelico di intendere la vita da qualcuno che vuole riproporre il sogno di Dio”.

Essere discepoli di Gesù  significa abbracciare il Suo progetto di vita, senza paura e tergiversazioni, senza cedere alle logiche della mondanizzazione che mirano ad edulcorare e annacquare la fede facendole perdere la forza propulsiva e rivoluzionaria. È l’ora di recuperare la profezia. Siamo chiamati ad essere profeti anche scomodi e a far divampare il “fuoco” che lo Spirito  continua ad accendere in noi.

Il cardinale Carlo Maria Martini diceva in maniera efficace: “La differenza decisiva non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa”.  La differenza riguarda noi cristiani ed è tra chi si interroga su tutto ciò che accade ogni giorno e chi non si pone alcuna domanda e vive “adagiato su una poltrona o su un divano”, perché “sazio”, cedendo alla indifferenza. C’è incompatibilità assoluta tra la “sequela di Gesù” e l’indifferenza che nega l’altro con i suoi bisogni e le sue domande inquietanti.

Alla vigilia di ferragosto, il cuore dell’estate, il mio augurio è che, sulle orme del Maestro, decidiamo di vivere con un cuore appassionato, disposti a metterci completamente in gioco.

Che sia questa una Domenica di profezia per ciascuno!

✠   Francesco Savino