La III Domenica di Avvento è tutta pervasa dal tema della gioia. È la domenica della gioia!
Tradizionalmente questa domenica si chiama domenica del “laetare”, cioè la domenica del “rallegrati”, dalle parole di San Paolo nella Seconda Lettura: “Rallegratevi sempre nel Signore; ve lo ripeto, rallegratevi”.
Il motivo della gioia è sempre lo stesso: il Signore è vicino, è in mezzo a noi, cammina con noi, rimane con noi nella storia, nelle vicende della nostra esistenza.
Il nostro Dio ha deciso di lasciarsi coinvolgere dalle vicende umane!
Si è fatto e si fa continuamente prossimo!
La gioia di cui parlano il profeta Sofonia e l’apostolo Paolo è una gioia non solo da vivere ma anche da conquistare attraverso scelte quotidiane, impegnative e sofferte, per partecipare gradualmente ad una festa che non dura solo una notte, ma che è senza fine, perché ha il suo fondamento in Dio, che non delude ed è sempre fedele alle sue promesse.
Per accogliere, pertanto, nel modo giusto l’invito alla gioia è necessario porsi domande, interrogativi, proprio come fanno le varie categorie di persone che, dopo aver ascoltato la predicazione di Giovanni Battista, gli pongono la domanda di senso e coinvolgente: “Che cosa dobbiamo fare?”. Come sono importanti le domande! Esercitano la ragione! Ci aiutano a superare quel sonno della ragione che genera mostri. La ragione interroga la fede e la fede interroga la ragione: scambio reciproco di grande importanza. È un dialogo generativo!
Le domande ci permettono di indagare la realtà e di riconoscere chi umanamente contribuisce a svelarci il mistero della vita e della sofferenza, pur restando alle soglie del processo di fede.
“Attraverso l’osservazione delle storture della società e la conoscenza dell’uomo, si delinea un percorso per recuperare la vera essenza del nostro essere umani. Si scopre così che nel mondo dominato dalle strategie per essere vincenti, dal fascino dell’esclusività, dalla bellezza, dalla fatica di vivere dell’individuo, il ‘magico potere’ della gioia non è altro che la capacità che tutti abbiamo dentro, di passare dalla dimensione dell’io a quella del noi, di vivere in relazione con gli altri contando sui legami affettivi, guardando in faccia il presente senza le costruzioni di desideri difficili o impossibili che spostano sempre la gioia al futuro, senza i rimpianti che respingono nel passato. E scopre soprattutto che questo potere può essere appreso, per migliorare finalmente la nostra vita”(Vittorino Andreoli, La gioia di vivere).
Giovanni Battista indica tre regole alle tre categorie di persone: alle folle, ai pubblicani, ai soldati.
Prima regola: “Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto”.
Sapientemente annota padre Ermes Ronchi: “Regola che da sola basterebbe a cambiare la faccia e il pianto del mondo. Quel profeta moderno che era il Mahatma Gandhi diceva: ciò che hai e non usi è rubato ad un altro. Giovanni apre la breccia di una terra nuova: è vero che se metto a disposizione la mia tunica e il mio pane, io non cambio il mondo e le sue strutture ingiuste, però ho inoculato l’idea che la fame non è invincibile, che il dolore degli altri ha dei diritti su di me, che io non abbandono chi ha fatto naufragio, che la condivisione è la forma più propria dell’umano”.
Seconda regola: Ai pubblicani, ufficiali pubblici, che vengono a farsi battezzare, che hanno un ruolo, Giovanni indica di non esigere nulla di più di quanto è stato loro fissato. È una regola che invita all’onestà, a non rubare. Ai soldati che lo interrogavano Giovanni risponde di non maltrattare e di non estorcere niente a nessuno, vale a dire di non abusare della forza o della posizione per offendere, umiliare, far piangere, ferire e spillare soldi alle persone.
Anche in questa terza regola, indicazione, non c’è nulla di straordinario!
Significativa la conclusione del Vangelo: Giovanni alza lo sguardo sul popolo “in attesa” e con rigore e onestà dice loro “Io vi battezzo con acqua; ma viene Colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”. È il più forte non per ragioni di potere, ma perché la sua forza consiste nell’amare senza pretese e senza condizioni.
In questa Domenica, mentre si avvicina la Solennità del Natale, poniamoci anche noi la domanda: “Che cosa dobbiamo fare per convertirci, per cambiare radicalmente la nostra vita?”.
Non eludiamo la risposta ma, ritagliandoci uno spazio e un tempo di preghiera silenziosa, verifichiamoci e disponiamoci ad un cambiamento reale, non gattopardesco, perché il Signore che è venuto, che viene e che ritornerà, possa veramente nascere dentro di noi, facendo di noi una vera e propria “mangiatoia di Betlemme”. Persone nuove!
✠ Francesco Savino