III Domenica di Pasqua

04-05-2025

 

At 5, 27b-32. 40b-41; Sal 29; Ap 5, 11-14; Gv 21, 1-19

 

Domenica  4 Maggio  2025

 

In questa III Domenica di Pasqua continuiamo a leggere il Vangelo di Giovanni da dove lo abbiamo lasciato Domenica scorsa, e passiamo all’ultimo capitolo, quello che è stato aggiunto al racconto iniziale.

Questa aggiunta è densa di significati simbolici, di richiami, di suggestioni: il mare di Galilea, la pesca miracolosa, la distribuzione dei pani e dei pesci, il dialogo fra Gesù e Pietro, che vuole recuperare il rinnegamento di quest’ultimo.

È tanta la ricchezza della Parola di Dio di questa Domenica che non è assolutamente facile farne una sintesi.

Lasciamoci interpellare dall’esperienza di Pietro insieme agli Apostoli nella Prima Lettura tratta dagli Atti e da alcuni snodi significativi del Vangelo di Giovanni.

Pietro negli Atti dichiara con forza che bisogna obbedire a Dio e non agli uomini! Invece di tacere (quante volte il silenzio può essere segno di omertà o di mancanza di coraggio o addirittura di complicità) come gli uomini del potere gli intimavano, annuncia che “Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono”. È chiaro che la conseguenza di questa libertà di Pietro e degli Apostoli fu la persecuzione: “Fecero flagellare gli Apostoli e ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù … se ne andarono lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù”.

È una grande lezione per noi questa testimonianza: mai complici o organici al potere che ci impedisce di testimoniare la verità!

Siamo chiamati in questo tempo ad essere segno di contraddizione, di rottura, al seguito di Gesù Cristo crocifisso e risorto.

Il Vangelo di Giovanni ci presenta ancora una manifestazione del Risorto ai discepoli, questa volta sul mare di Galilea.

Sostiene la teologa Simona Segoloni Ruta: “Dopo la Pasqua, anche se Gesù si è mostrato risorto, lo smarrimento e l’indecisione sono dominanti. Non è davvero facile capire che cosa significhi ciò che è successo. Alcuni dei discepoli tornano a pescare, alle loro terre, al loro mestiere. E qui Gesù, come all’inizio di tutta la vicenda, si fa trovare sulla riva. Mentre loro si affannano a pescare o a nuotare (Pietro si butta per raggiungerlo quando capisce che è lui), Gesù prepara un fuoco di brace e si fa dare il pesce fresco. Il vincitore della morte prepara la cena, fa il gesto che tutte le donne (e oramai qualche uomo) conoscono bene: il gesto della cura quotidiana, del nutrimento, dare forza a chi sia ma rallegrandolo con un sapore buono. Gesù prepara il fuoco e cuoce il pesce, poi lo distribuisce ai suoi. È una scena di intimità (non c’è bisogno nemmeno di parlare) e di condivisione, è un momento che permette di capire tutta la storia precedente che ha reso Gesù e i suoi un solo corpo, è il gesto più semplice ed efficace del mondo che svela il mistero di Dio di cui Gesù è vissuto: preparare un cibo che tutti possano gustare. Nessuna grandiosità. Nessuna potenza. Nessuna gerarchia. Il Signore si china sul fuoco e cucina per i suoi. Mangiano insieme. E così il mistero di Dio, madre e nutrice, si schiude nei gesti quotidiani che tutti fanno e tutti comprendono. La chiesa dovrà essere poi il riflesso di tutto questo, dove chi più ha ricevuto si china a nutrire altri perché abbiano anche loro tutto il possibile e dove tutti si nutrono dell’unico mistero di vita che allontana la morte non nella grandiosità del potere, ma nel nascondimento dei gesti che sono propri della cura e dell’amore vissuto. Per questo Gesù merita che tutta la creazione gli si inchini davanti, lo esalti e lo lodi, perché tutta la sua vita e tutta la sua carne sono state amore vissuto: fedele, frainteso, condiviso, tradito, ma fermamente offerto, fino all’ultimo respiro. Colui che viene esaltato è un uomo che ha saputo amare e prendersi cura e per questo, tornato dalla morte, si china e prepara la cena per chi ha bisogno di mangiare”.

E, per concludere, significative ed emblematiche, le tre domande che Gesù rivolge a Pietro: «sempre uguali, sempre diverse: Simone, mi ami più di tutti? Pietro risponde con un altro verbo, quello più umile dell’amicizia e dell’affetto: ti voglio bene. Anche nella seconda risposta Pietro mantiene il profilo basso di chi conosce bene il cuore dell’uomo: ti sono amico. Nella terza domanda succede qualcosa di straordinario. Gesù adotta il verbo di Pietro, si abbassa, si avvicina, lo raggiunge là dov’è: Simone, mi vuoi bene? Dammi affetto, se l’amore è troppo; amicizia, se l’amore ti mette paura. Pietro, sei mio amico? E mi basterà, perché il tuo desiderio di amore è già amore. Gesù rallenta il passo sul ritmo del nostro… Pietro sente il pianto salirgli in gola: vede Dio mendicante d’amore, Dio delle briciole, cui basta così poco, e un cuore sincero. Nell’ultimo giorno sono certo che se anche per mille volte avrò tradito, il Signore per mille volte mi chiederà soltanto questo: Mi vuoi bene? E io non dovrò fare altro che rispondere per mille volte, soltanto questo: Ti voglio bene!» (p. Ermes Ronchi).

Augurandovi una buona Domenica, vi esorto a lasciarci nutrire dalla Parola di Dio, così bella e significativa.

“La comunicazione della fede si può fare soltanto con la testimonianza, e questo è l’amore. Non con le nostre idee, ma con il Vangelo vissuto nella propria esistenza e che lo Spirito Santo fa vivere dentro di noi” (Papa Francesco).

Buona Domenica.

 

   Francesco Savino

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