At 10,25-30.33-35.44-48; Sal 29; Gal 3,23-29; Lc 4, 16-21

Giubileo Tenda di Gionata e delle altre associazioni

06-09-2025

Chiesa del Gesù, ROMA

Fratelli e sorelle,

l’aspersione con l’acqua battesimale, che ha segnato l’inizio della nostra Eucaristia, ha permesso ai nostri occhi di scorgere ciò che veramente ci unisce: l’amore di Cristo che regna fra noi donandoci una dignità incancellabile (Gal 3, 26-28). “Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà” (Evangelii gaudium 44): queste parole del caro papa Francesco ci ricordano che ciò che Dio è capace di realizzare nelle nostre vite viene prima di qualunque proposito umano. Dio, Dio solo, il Dio di Gesù Cristo, opera per mezzo della sua Chiesa. E la plasma per tutti, come invito e segno radicato nella comune umanità. Noi possiamo resistere o assecondare l’opera di Dio, che in Cristo si è compiuta, ma non si è conclusa. Questo è importante: in Cristo l’opera di Dio si è compiuta, non si è conclusa. Dio opera ancora. Basta guardarvi in volto, renderci conto di dove siamo e di che cosa stiamo vivendo, per constatarlo e commuoverci. Commuoverci, cioè lasciarci muovere dall’agire di Dio, che Gesù ha chiamato “Il regno di Dio”. Non c’è un altro Vangelo, non c’è un Vangelo diverso da quello che Gesù ha annunciato: “Il regno di Dio è vicino”. Dal principio questo implica una domanda: “Che cosa dobbiamo fare?”. E una risposta: “Convertitevi!”, cioè voltatevi, guardate nella direzione opposta rispetto a quella di prima.

Gli Atti degli Apostoli documentano questa esperienza come definitoria e definitiva. La Chiesa di Gesù sorge non dall’iniziativa degli apostoli ma dall’opera di Dio che Pietro e gli altri apostoli assecondano. La sola ‘dottrina’ cui debbono obbedire riguarda Gesù, il Crocifisso ora Risuscitato, la pietra scartata dal potere religioso, culturale e politico, ma da Dio posta come pietra angolare.

Nella pagina scelta per questa Eucaristia abbiamo ascoltato l’espressione di Pietro che meglio di ogni altra esprime il rapporto fra Chiesa e Rivelazione, fra Chiesa e Risorto, fra Chiesa e dottrina: «In verità sto rendendomi conto che». Lasciamoci colpire e convertire da questa parola, in cui è rivoluzionato il rapporto con la verità: «In verità sto rendendomi conto che». Ciascuno di noi – di voi qui presenti, dei vostri familiari, di noi pastori e discepoli del Signore – ha avuto nella vita da accogliere o da rigettare una verità vivente. Ricordiamo quello che diceva spesso Papa Francesco: “La realtà è superiore all’idea”. Preferendo la realtà al pregiudizio Dio può entrare. Opponendo alla realtà le idee, le idee stesse impazziscono e uccidono. È la differenza tra una verità viva e una verità morta: la verità viva fa vivere, la verità morta uccide.

Insieme allora possiamo pregare: Gesù tu sei via, verità e vita. Perché tu ancora precedi la tua Chiesa, chiedendo a Pietro e al Collegio apostolico di anteporre la verità viva alle verità morte. Ancora ispira a ognuno di noi, nel suo grado di responsabilità, la parola santa di Pietro: «In verità sto rendendomi conto che». Liberaci – liberami – da qualsiasi tentazione polemica o ideologica, perché solo te vogliamo servire e seguire, così che venga il tuo Regno e nessuno debba più sentirsene escluso, nessuno debba più temerlo come una minaccia, per tutti, tutti, tutti, il tuo Regno sia vita della vita. Gesù via, verità e vita, ancora rendi tua la nostra Chiesa.

Fratelli e sorelle carissimi, il modo in cui l’apostolo Paolo parla della Legge antica, nella quale era stato formato per tanti anni con grande rigore, può esserci di aiuto. Non c’è alcun dono di Dio che sia stato dato inutilmente. Anche ciò che può nel tempo essere diventato troppo stretto, anche ciò cui dobbiamo dire o gridare “basta”, perché siamo cresciuti e ci fa male, ha pedagogicamente il suo posto. E non solo i doni di Dio, ma persino i peccati umani, dobbiamo spingerci a confessare, divengono felix culpa quando Dio li trasforma da luoghi di morte in punti di partenza. Questa logica, di cui non approfittare per giustificare il male e le lentezze ingiustificabili, ci porta nel cuore del Giubileo, che è un tempo di riconciliazione e – dovremmo ormai dire – di giustizia riparativa. Il Giubileo nella tradizione ebraica era l’anno della restituzione delle terre a coloro a cui erano state sottratte, della remissione dei debiti e della liberazione degli schiavi e dei prigionieri, il tempo in cui liberare gli oppressi e restituire la dignità a coloro a cui era stata negata.

È l’ora di restituire dignità a tutti, soprattutto a chi è stata negata.

Ha dichiarato il card. Josè Cobo, Arcivescovo metropolita di Madrid: “La persona e la sua dignità devono essere il punto di riferimento per tutti i cristiani. Le comunità cristiane, anch’esse in cammino e impegnate a evitare ogni forma di ingiusta discriminazione e quei processi che disumanizzano, non possono fermarsi alla sola accoglienza: sono chiamate a promuovere una cultura del dialogo, dell’accompagnamento e dell’inclusione concreta di chi desidera camminare nella Chiesa. Per questo stiamo aprendo nuove porte e nuovi atteggiamenti pastorali che favoriscono la comprensione e ci aiutano a sentirci tutti pellegrini di speranza”.

Non si cancella il passato, non si strappano capitoli della nostra vita, non si nascondono le proprie stimmate: Dio però salva trasformando. Gesù, il Risorto riconoscibile dalle sue ferite, è il Nome di Dio. Siamo qui, a Roma, sulle tombe degli apostoli, per varcare quella sola porta santa che è Cristo. Egli mi ripete e ti ripete: “Io sono la porta”. Per lui si entra nella vita e concretamente – lo speriamo, lo vogliamo – nella vita della Chiesa, che per qualità umana e attenzione reciproca vuole e deve essere anticipazione della vita eterna. Così l’apostolo Pietro ci ha insegnato a ricrederci, l’apostolo Paolo a superarci. Da prima di Cristo a dopo Cristo: questa è la coscienza di Paolo, questo è il Nuovo Testamento, questo è il Giubileo della speranza.

“In Gesù vediamo e da Gesù ascoltiamo che tutto si trasforma, perché Dio regna, perché Dio è vicino”. Sono parole di Papa Leone nella veglia di Pentecoste, che ci aiutano ad entrare meglio nella missione liberatrice di Cristo: «Mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Continuava papa Leone: “Sentiamo qui il profumo del Crisma con cui è stata segnata anche la nostra fronte. Il Battesimo e la Confermazione, cari fratelli e sorelle, ci hanno uniti alla missione trasformatrice di Gesù, al Regno di Dio. Come l’amore ci rende familiare il profumo di una persona cara, così riconosciamo  l’uno nell’altro il profumo di Cristo. È un mistero che ci stupisce e ci fa pensare”. Caro Papa Leone, è vero! E anche qui, oggi, respiriamo questo profumo, questo stupore. E ci sentiamo autorizzati a sperare perché capaci di amare fino al dono di noi stessi.

 

   Francesco Savino

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