Omelie

La parabola del Padre prodigo d’amore, il “Vangelo nel Vangelo”


IV DOMENICA DI QUARESIMA [SCARICA]

6 marzo 2016

La Quaresima procede spedita: siamo alla IV domenica, nella quale  la cosiddetta parabola del “figliol prodigo”, meglio detta  parabola del “Padre prodigo d’amore”, ci interpella mettendoci, ancora una volta, davanti a Gesù che annuncia la misericordia gratuita e preveniente di Dio, forza capace di convertire le nostre vite.

E’ talmente bella e significativa questa parabola che i Padri della Chiesa la definivano “Vangelo nel Vangelo”.

Abbiamo ascoltato, secondo l’evangelista Luca, la motivazione per cui Gesù dice questa parabola: “Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: Costui riceve i peccatori e mangia con loro (Lc 15,1-2)”.

Gesù offre le ragioni del suo comportamento, perché accoglie i pubblicani e i peccatori, perché non fa distinzione fra coloro che sono giusti e coloro che hanno bisogno di perdono. Gli uomini  ‘religiosi’, i farisei e gli scribi, sono talmente ‘ciechi’ da non riconoscersi peccatori e non capiscono che Gesù è “venuto a cercare e a salvare ciò che è perduto” (cfr. Lc 19,10). Dio attende solo che ci riconosciamo peccatori e accettiamo che Egli avvolga le nostre miserie con la sua Misericordia inesauribile.

La parabola è costruita in modo semplice, come tutti i racconti del genere parabolico. Inizia con “Un uomo aveva due figli” quindi con la precisazione dei personaggi  che sono tre: il padre e i due figli. Segue l’articolazione di tre scene, dove ciascuno di questi tre personaggi è in primo piano: nella prima scena il figlio minore, nella seconda  il padre e nell’ultima il figlio maggiore.

Soffermiamoci sulle tre scene.

Il figlio minore parte dalla casa paterna verso un paese lontano; è la fase della fuga: fugge da casa sua e da suo padre. Poi c’è il movimento di ritorno: dal paese lontano verso la casa paterna: la sua conversione. Domandiamoci, che cosa conduce questo figlio ad andare lontano? Scrive Luciano Monari: “La voglia di autonomia, di libertà? Il desiderio di mettersi alla prova? Ormai è diventato grande, pensa di camminare con le sue gambe e tenta questa avventura. Ebbene, il Vangelo non lo dice: non dice le motivazioni. Dice soltanto che va in un paese lontano. Quel “lontano” (da casa sua, da suo padre, …) contiene tutto il significato della sua avventura; ha tagliato i ponti, sciolti i legami, non vuole avere niente a che fare con il suo passato. E’ convinto di poter vivere più libero, di poter realizzare se stesso lontano dal padre”. Accade esattamente il contrario: questa vita “lontano” diventa disperazione; quel figlio tocca il fondo più buio di se stesso. E’ costretto a fare lavori al servizio di un padrone. Sottolineiamo: era ricco ed è diventato povero. Ha cercato l’autonomia e si ritrova servo, nella condizione più umiliante. A questo punto accade che quel figlio  “rientra in se stesso”, cioè si rende conto della sua situazione e inizia un percorso di conversione. Si tratta di una conversione autentica, vera e sincera. Ritorna dal padre senza pretese, non pretende di essere accolto ancora come figlio, anzi accetterebbe anche una condizione di salariato.

Qui termina la prima scena e subentra una seconda il cui protagonista è il padre. C’è un termine che identifica e fotografa bene il padre: “commosso”.

Commosso significa che è mosso da “compassione”, cioè le sue viscere sono in movimento, il suo cuore ha colto già da lontano la condizione disperata del figlio e questa compassione, tipica dell’’utero’ di una mamma, spiega e motiva tutti i gesti del padre. Il padre anticipa qualsiasi parola del figlio, lo previene e lo accoglie. Bella l’immagine di questo padre che corre, spinto dall’amore e dalla gioia di  rivedere finalmente suo figlio. Lo rimette ancora nella condizione filiale ed organizza per lui una festa perché “questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Gli fa indossare il “vestito più bello” che dice l’identità dell’uomo, della persona espressa nella dignità del suo vestito. Non è il corpo nudo ma è il corpo vestito che esprime l’identità della persona. Il “vestito bello” dice che  è “figlio”: questa è la sua identità. L’”anello” sottolinea che, restituito come figlio, è di nuovo partecipe in casa dell’autorità di suo padre e i “calzari ai piedi” marcano l’identità restituita. Egli non è servo in quella casa e “il vitello grasso” è il segno oggettivo della festa.

La parabola potrebbe avere qui la sua conclusione, ma non è così perché  propone la terza scena in cui  protagonista  è il fratello maggiore, il quale si dimostra, come dice Enzo Bianchi, incapace quanto l’altro di comprendere il grande amore del padre. Proprio questo figlio  rappresenta  quegli scribi e quei farisei che contestano a Gesù il suo stile di vita, il suo modo di essere. Questo figlio maggiore ha un’idea del padre come padrone e prova disprezzo verso suo fratello, che definisce “questo tuo figlio”. Ancora una volta il padre esce incontro verso quest’altro figlio esortandolo a partecipare alla festa, spiegandone la ragione: “Bisogna fare festa perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

Cerchiamo  il significato della parabola.

Gesù è la traduzione concreta del “pensiero-sentimento” del Padre. Egli narra con le parole e con i gesti l’eccedenza, l’asimmetria dell’amore-misericordia-compassione di Dio.

E questo è difficile da accettare!

Riporto una straordinaria affermazione di H.Nouwen: “Accettare il perdono di Dio è una delle più grandi sfide della vita spirituale. C’è qualcosa in noi che si aggrappa ai nostri peccati e non lascia che Dio cancelli il nostro passato e ci offra un inizio completamente nuovo”.

Accettare l’amore-misericordia è forse più difficile che darlo.

A Dio, lento all’ira e grande nella misericordia, sta a cuore sempre e comunque, aprire, con il suo abbraccio di tenerezza di padre e madre, un futuro di vita per ognuno dei suoi figli. Il Dio di Gesù è un dio biofilo.

Lasciamoci abbracciare dalla Carità di Dio e danziamo la vita con gioia.

†  Francesco Savino