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Lettera di Mons. Savino ai catechisti e agli operatori pastorali nel giorno del mandato


Cassano all’Jonio, 29 Ottobre 2022

Veglia missionaria

 

 

Carissimi operatori pastorali,

anche quest’anno, in occasione del mandato, sento nel mio cuore la gioia di rivolgervi alcuni pensieri che vi consegno attraverso questa lettera.

Gratitudine

Innanzitutto, desidero esprimervi la mia gratitudine di Vescovo della Chiesa particolare che è in Cassano all’Jonio per la generosità del vostro servizio! Un servizio spesso nascosto, ma che, lo so, richiede un impegno continuo eppure prestato gratuitamente, che può e deve avere una sola giustificazione: l’amore di Gesù e della Chiesa, perché il Regno di Dio si faccia sempre più strada nei cuori delle donne e degli uomini di oggi e di questo mondo! Il tempo e le energie da voi profuse sono anche l’esempio di quella corresponsabilità che ogni battezzato ha nella sinfonia dei diversi carismi e ministeri che lo Spirito del Signore non smette mai di donare al popolo di Dio. Sono il modo più concreto di partecipare al cammino sinodale in cui tutta la nostra Chiesa è impegnata.

Siamo tutti insieme popolo di Dio in cammino. Tutti uguali nel battesimo e nella dignità di figli di Dio, che rende voi e tutti i cosiddetti laici non dei semplici “collaboratori”, ma “corresponsabili” nel particolare servizio che ciascuno ha ricevuto, ma che è anche un carisma della vita e della missione della Chiesa.

Ciò significa che rispondete direttamente a Dio, oltre che alla comunità cristiana del vostro dono (charisma), tale perché ricevuto come grazia (charis) e pertanto da mettere sempre al riparo da quella “tentazione”, sovente accovacciata alla porta del cuore di tutti gli operatori pastorali e che Papa Francesco ha snidato, chiamandola “mondanità spirituale”.  È quella che Gesù rimproverava ai Farisei: voler fare della fede un mezzo per ricevere «gloria gli uni dagli altri», dimenticando di cercare sempre e solo «la gloria che viene dall’unico Dio” (Gv 5,44).

Papa Francesco la denuncia come «una tremenda corruzione con apparenza di bene» e chiarisce che «bisogna evitarla mettendo la Chiesa in movimento di uscita da sé, di missione centrata in Gesù Cristo, di impegno verso i poveri», concludendo accoratamente «Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali! Questa mondanità asfissiante si sana assaporando l’aria pura dello Spirito Santo, che ci libera dal rimanere centrati in noi stessi, nascosti in un’apparenza religiosa vuota di Dio» (Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 93 e ss, abbreviata come EG).

Essere costruttori di pace e di riconciliazione

Nello stesso documento (EG, 98-101), Papa Francesco mette in guardia gli operatori pastorali anche da un’altra brutta tentazione: quella che «porta alcuni cristiani ad essere in guerra con altri cristiani che si frappongono alla loro ricerca di potere, di prestigio, di piacere o di sicurezza economica. Inoltre, alcuni smettono di vivere un’appartenenza cordiale alla Chiesa per alimentare uno spirito di contesa. Più che appartenere alla Chiesa intera, con la sua ricca varietà, appartengono a questo o quel gruppo che si sente differente o speciale».

Avendo a cuore il Regno di Dio più di noi stessi, domandiamoci seriamente come Papa Francesco: «Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?». Pertanto da Vescovo, chiamato al continuo discernimento in mezzo ai fratelli e sorelle a lui affidati, vi invito anch’io con convinzione: «Chiediamo al Signore che ci faccia comprendere la legge dell’amore. Che buona cosa è avere questa legge! Quanto ci fa bene amarci gli uni gli altri al di là di tutto! Sì, al di là di tutto! A ciascuno di noi è diretta l’esortazione paolina: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rm 12,21). E ancora: “Non stanchiamoci di fare il bene” (Gal 6,9). Tutti abbiamo simpatie ed antipatie, e forse proprio in questo momento siamo arrabbiati con qualcuno. Diciamo almeno al Signore: “Signore, sono arrabbiato con questo, con quella. Ti prego per lui e per lei”. Pregare per la persona con cui siamo irritati è un bel passo verso l’amore, ed è un atto di evangelizzazione».

La grazia del cammino sinodale

Solo con queste premesse importanti per tutti e per ciascuno nel popolo di Dio, possiamo fare la nostra parte nel cammino sinodale in atto, aiutando, in sintonia con i presbiteri e con gli altri responsabili delle nostre comunità, a camminare insieme secondo le indicazioni che vengono consegnate dal Vescovo all’inizio di ogni anno pastorale.

Ciò è necessario anche per superare sterili campanilismi e per sentirsi sempre più membra vive di un’unica realtà che è la Chiesa particolare, tenendo presente che la parrocchia è definita giustamente come “la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie”.  In essa tutti gli operatori pastorali sono pertanto corresponsabili di un’unità fondamentale che non può venire meno né può essere minata da campanilismi divisivi e mondani, che sfigurano il volto della Chiesa e la rendono poco credibile!

Accoglienza e dialogo con tutti

Vostro, dunque, care e cari operatori pastorali, è il compito di essere l’avamposto della Chiesa, nei ventidue comuni della Diocesi di Cassano all’Jonio, per annunciare il Vangelo di Gesù e concretizzare quelle indicazioni pastorali con le quali, nelle conclusioni dell’VIII Assemblea diocesana, ho declinato il “cantiere della strada e del villaggio”, invitando tutta la nostra diocesi a coltivare lo stile della “conversazione spirituale”.

Ecco le domande che ci devono necessariamente abitare e continuamente interpellare: Cosa mi sta a cuore di te? Che cosa mi incuriosisce di chi non viene in chiesa? Che cosa so di importante di chi viene? Che cosa mi stupisce di mio figlio? Che tempo ho per parlare coi miei alunni? Da quanto non vado a trovare il mio vicino? Quali spazi di ascolto mi concedo coi miei concittadini? E come ascolto, che cosa chiedo, quanto riverso di me sugli altri prima di averli fatti entrare con la loro diversità?

Usciamo allora da noi stessi e dai luoghi abituali dove aspettiamo che gli altri vengano a noi. Gli altri sono già lì dove dobbiamo cercarli. Aspettano il nostro incontro. Non perdiamo i tanti appuntamenti ai quali Gesù ci aspetta insieme con loro. Altre volte nemmeno serve uscire: sono loro ad entrare e per noi si tratterebbe di uscire da noi stessi. Impariamo, dunque, l’arte dell’autentica conversazione, coltiviamo lo stile di una umanità che passa dall’“io” al “tu”, al “noi”, dall’autoreferenzialità narcisistica alla “comunione dei volti” e lasciamoci plasmare dall’incontro trasfigurante con Cristo, la sua Parola e l’Eucaristia. Solo così potremo contribuire a dare forma al sogno di una Chiesa-casa accogliente “dalle ampie finestre da cui guardare e grandi porte per trasmettere fuori l’attenzione, la prossimità, la cura dei più fragili e il dialogo sperimentati al nostro interno, per far entrare il mondo intero con i suoi interrogativi e le sue speranze” (cfr. Relazione di Silvia Zanconato, biblista, VIII Assemblea Diocesana).

I centri di ascolto

Dal cammino sinodale ci viene l’indicazione dell’incontro con Gesù e con i fratelli nel cantiere dell’ospitalità e della casa. Chiedo pertanto a voi di essere corresponsabili per l’attuazione dei centri di ascolto della Parola, favorendo l’incontro di gruppi famiglia che nelle case o nei condomini si ritrovano per ascoltarla, confrontarsi e pregare insieme.

Lo stile di questi incontri sia quello che, durante l’Assemblea diocesana, ha ricordato il cardinale Grech: «Assumere, nella catechesi, una prospettiva sinodale significa, in primo luogo, diventare coscienti che la catechesi non è opera di alcuni specialisti – quelli che chiamiamo “catechisti” – ma di tutti, perché l’intera comunità cristiana è per sua natura evangelizzatrice». Che vuol dire questo concretamente? Che la catechesi, adottando lo stile sinodale, dovrà imparare sempre più a caratterizzarsi per il comune coinvolgimento di diversi attori: non solo il catechista, ma anche il presbitero e il diacono, il consacrato e la consacrata, l’animatore della liturgia e il maestro del coro, il lettore e l’accolito, il responsabile dell’oratorio e l’allenatore sportivo, gli operatori della carità ma anche le famiglie, i malati, le persone fragili, i poveri.

L’esperienza cristiana, per chi vi si affaccia – si tratti del bambino, del ragazzo, del giovane o dell’adulto – ha il volto stesso della comunità cristiana. È la Chiesa intera che deve impegnarsi nella formazione permanente dei suoi membri: in tal modo ogni comunità è, al tempo stesso, catechizzata e catechizzatrice, e coloro che in essa sono stati formati sono naturalmente indotti a diventare a loro volta formatori (cfr. EG 120).

Un primato indispensabile

Come ho sottolineato anche nelle conclusioni dell’VIII Assemblea diocesana, per crescere nell’arte della “conversazione” occorre maggiormente prendersi del tempo per sedersi e ascoltarsi reciprocamente, con l’intento fondamentale di ascoltare sempre ciò che lo Spirito di Gesù sussurra alla sua Chiesa.

Non è necessario fare tante cose e affannarsi in esse – non multa! – ma fare bene la cosa indispensabile – multum! – da cui tutto il resto trae forza e vitalità.

Uno stile sinodale, infatti, ci educa a leggere il Vangelo alla luce delle diverse esperienze di vita, così che la pratica della lectio divina, che certo chiede anche il silenzio e una guida preparata per una lettura senza fraintendimenti, non sia senza le risonanze di ciascuno.

Il Vangelo ci permette di leggere la vita e la vita ci permette di ritornare al Vangelo: dobbiamo ogni volta ricostruire, nei modi giusti e possibili, questo circolo virtuoso.

Nel documento “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” i Vescovi italiani scrivevano: «Giovanni Paolo II ci ricorda che “la nostra testimonianza sarebbe insopportabilmente povera se noi per primi non fossimo contemplatori del volto di Cristo… E la contemplazione del volto di Cristo non può che ispirarsi a quanto di lui ci dice la Sacra Scrittura, che è, da capo a fondo, attraversata dal suo mistero”. La parola di Dio, che è capace di farci apostoli, ci chiede anzitutto di essere discepoli. I cristiani maturi dovrebbero essere dei “rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna” (1Pt 1,23). Così nasce la Chiesa e così vive e si espande. Va dunque attentamente meditato il fatto che essa è chiamata a essere il luogo nel quale si riuniscono coloro che anzitutto vengono evangelizzati. Sarebbe assurdo pretendere di evangelizzare, se per primi non si desiderasse costantemente di essere evangelizzati. Dovremmo nutrirci della parola di Dio “bramandola”, come il bambino cerca il latte di sua madre (cfr. 1Pt 2,2): per la vitalità della Chiesa, questa è un’esperienza essenziale. Perché la parola e l’opera di Dio e la risposta dell’uomo si tramandino lungo la storia, è assolutamente indispensabile che vi siano tempi e spazi precisi nella nostra vita dedicati all’incontro con il Signore. Dall’ascolto e dal dono di grazia nasce la conversione e l’intera nostra esistenza può divenire testimonianza del lieto annuncio che abbiamo accolto. Ci sembra pertanto fondamentale ribadire che la comunità cristiana potrà essere una comunità di servi del Signore soltanto se custodirà la centralità della domenica, “giorno fatto dal Signore” (Sal 118,24), “Pasqua settimanale”, con al centro la celebrazione dell’Eucaristia, e se custodirà nel contempo la parrocchia quale luogo – anche fisico – a cui la comunità stessa fa costante riferimento. Ci sembra molto fecondo recuperare la centralità della parrocchia e rileggere la sua funzione storica concreta a partire dall’Eucaristia, fonte e manifestazione del raduno dei figli di Dio e vero antidoto alla loro dispersione nel pellegrinaggio verso il Regno» (CVMC, 47).

In che modo, allora, possiamo “scegliere la parte migliore” e intensificare il nostro essere comunità di ascolto orante di Dio e dei fratelli?

Spesso ci sono aspettative che incombono su di noi e ci dominano. Gesù ci vuole liberare da questa preoccupazione, che alla fin dei conti è per noi stessi, per quel che gli altri diranno di noi, e renderci estroversi – appunto – attirandoci a sé e alle tante esigenze del Regno di Dio. “Cercate invece, anzitutto, il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33).

Secondo Papa Francesco è proprio qui che risiede la “guarigione” da quelle piaghe già indicate. Guariamo se cerchiamo di essere «una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono» (EG 92).

Per coltivare questa “mistica”, vi invito nuovamente al primato della formazione spirituale, che è necessariamente un lavorare sulla propria umanità, così che lo spostamento di baricentro dall’io verso il tu, cambi il modo di fare le cose di sempre.

Senza questa “mistica” il rischio è di lasciarsi andare a quella mondanità spirituale che corrompe, imbruttisce le nostre Comunità e che, anziché farci camminare insieme, divide e lacera! L’Inno paolino della Lettera ai Filippesi possa essere il criterio per verificare continuamente la qualità della nostra vita spirituale e comunitaria: «Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, / non ritenne un privilegio / l’essere come Dio, / ma svuotò se stesso / assumendo una condizione di servo, / diventando simile agli uomini. / Dall’aspetto riconosciuto come uomo, / umiliò se stesso / facendosi obbediente fino alla morte / e a una morte di croce».

È questa la “via mistica”, da percorrere insieme, in questo tempo e in questo lembo di terra che è la Diocesi di Cassano all’Jonio!

Coraggio! Non stanchiamoci di camminare insieme, alla sequela di Cristo, verso le donne e gli uomini del nostro tempo, animati dalla gioia del Vangelo!

Vi benedico con tutto il cuore e vi affido a Maria, la Vergine in ascolto, la prima missionaria.

                                    Vostro

                  don Francesco, Vescovo